MaM
Messaggio del 28 aprile 1986:Vi dono quanto di meglio posso dare: me stessa e mio figlio!

Le ali e la stella (Santa Gemma Galgani)

24/03/2005    2943     Gli angeli    Angeli  Santa Gemma Galgani 
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«ANGELO MIO, QUANTO BENE TI VOGLIO! »


Verso la fine del mese di luglio del 1902, a pochi mesi dalla morte, Gemma scrive una lunga lettera a padre Germano, nella quale tocca diversi argomenti. Fra l'altro, gli narra anche una particolare apparizione del suo angelo custode:

« Già lo saprà, è vero, che per due giorni in filo, il 14 e il 15, ebbi una visitina del mio caro angelo. O chi ce l'avrebbe fatto? Mi sopraggiunse inaspettato; mi riposavo insieme a Gesù. Nel vederlo mi turbò un po', fui presa da un po' di timore. Gli dissi: "Se sei mandato da Dio, vieni che ti accetto; se sei un mandato dal diavolo, ti sputo in faccia". Esso allora sorridendo adorò la maestà di Dio, poi fece un saluto alla Santissima Trinità. Caro babbo, ma come si rimane quando vengono siffatte visite! Si rimane... non si sa che dire ».

Come si vede, Gemma è turbata per questa inaspettata presenza e mette subito in campo gli antidoti per le false apparizioni che le erano stati prescritti dal confessore. L'angelo sorride e loda la Trinità.

Gemma prosegue:

«Alla sua presenza mi vergognai di avere avuto verso di lui nessuna riverenza, nessuna devozione; mi feci coraggio e gli chiesi perdono dicendogli che mi perdonasse, perché alla sua presenza avevo peccato, perché al suo tenero amore avevo preferito l'amor proprio. Quante volte esso mi aveva suggerito di mutar vita, e io senza mai dargli ascolto! Quante volte mi aveva suggerito di non offendere quell'Infinita Bontà, che voleva comunicarsi alla anima mia, e io invece continuavo! O Dio! Alla presenza del mio buon angelo feci quasi tutta (dirò così) la confessione. Quanto bene mi dimostrò di volermi! Mi guardava sì affettuosamente! E quando fu per partire (ché mi accorsi, perché mi si avvicinò e mi baciò in fronte), lo pregai a non lasciarmi ancora, ed esso: "Bisogna che vada". "Va' pure", gli dissi, "saluta Gesù". Mi dette un ultimo sguardo dicendomi: "Non voglio più che tu intraprenda discorsi con le creature: quando vuoi parlare, parla con Gesù e con l'angelo tuo" ».

Gemma ha di fronte una presenza abituale e fraterna. Eppure le sembra come se fosse la prima volta. In varie altre circostanze l'angelo aveva adottato con lei uno stile molto severo; ora invece è pieno di premure e di affetto. Vi è una specie di familiare solennità in questo colloquio, che ha quasi il sapore di un congedo. L'abituale coscienza del peccato si acutizza: Gemma si esamina di nuovo di fronte allo spirito celeste. L'angelo la ascolta, le manifesta il suo amore con uno sguardo prolungato pieno di affetto ma... deve andarsene. Lo scopo della visita è raggiunto. Però Gemma desidererebbe che restasse ancora un po': ne ha veramente bisogno. La malattia che la porterà alla tomba prosegue inesorabile il proprio cammino e lei si sente debilitata.

Ma l'angelo la conforta anche nel fisico. Dopo la firma, nella stessa lettera, Gemma aggiunge: «L'angelo dette a bevermi alcune gocce di un liquido bianco in un bicchierino dorato, dicendomi che era la medicina colla quale il medico del paradiso guariva i suoi infermi ».

Quando l'angelo si congeda, la bacia sulla fronte. Questa volta però Gemma non si schermisce per il gesto affettuoso che altre volte aveva rifiutato.

Di nuovo la celeste presenza si manifesta a Gemma all'improvviso e con altri gesti affettuosi il giorno successivo. L'angelo le promette che sarà sempre per lei «guida sicura», «compagno indissolubile».

« Il giorno dopo, alla medesima ora, neppure ci pensavo, eccolo di nuovo. Mio Dio! Da' lume al mio babbo, e io crederò a lui solo. Mi si avvicinò, mi accarezzò, e mi venne fatto di dirgli con tutto l'affetto: "Angelo mio, quanto bene ti voglio! ". "E perché mi vuoi bene?", mi chiese. "Ti amo, perché m'insegni l'umiltà, e perché mantieni la pace interna del mio cuore. Se qualche volta sono cattiva, caro angelo, non ti adirare; voglio esserti grata, sai, prima a Gesù, poi a te". "Sì… soggiunse, "io sarò tua guida sicura; sarò il tuo compagno indissolubile" ».

Questa lettera è davvero una piccola sintesi dei rapporti intercorsi tra Gemma e il suo angelo. Sul loro significato torneremo più avanti. Ora ci interessa soffermarci sulle modalità della presenza angelica nei confronti della mistica lucchese.


LE ESTASI


Interrogarsi sulle modalità delle apparizioni angeliche non è semplice curiosità. Padre Germano, da attento osservatore quale era, nella sua biografia di Gemma ci offre preziose indicazioni:

« Notai che ogni qual volta ella alzava gli occhi per mirare l'angelo, ascoltarlo o parlargli, fosse pure fuori di tempo di meditazione o preghiera, perdeva l'uso dei sensi; e in quel momento la si poteva scuotere, pungere, che non l'avrebbe sentito. Come poi ritirava da lui lo sguardo, o cessava il colloquio, nel momento stesso ritornava in sé; e se cento volte vi si fosse provata, anche in brevissimo spazio di tempo, altrettante si ripeteva il fenomeno anzidetto, della perdita totale dei sensi».

Ogni volta, quindi, che Gemma parlava all'angelo o questi con lei, si verificava, secondo padre Germano, una metamorfosi cognitiva a un livello esperienziale diverso e più profondo di un comune sentire relazionale. Padre Germano, al riguardo, parla a lungo di tre livelli di estasi. Le piccole, meno perfette, erano le più frequenti, più spontanee e semplici, e potevano accaderle parecchie volte al giorno. Vi erano poi le grandi, meno frequenti ma più profonde e alte, che le accadevano solitamente la mattina in chiesa al momento di fare la comunione o nelle visite eucaristiche. Infine c'erano le estasi straordinarie, che si producevano in genere il giovedì sera e il venerdì verso le tre del pomeriggio oppure in altre particolari circostanze. Padre Germano le chiama straordinarie per la loro « peculiare intensità » e per gli effetti straordinari che si generavano.

Nella lunga lettera del 9-13 maggio del 1901 a padre Germano, Gemma scrive quanto le accadde la mattina dell'8 maggio, festa della Madonna di Pompei: «L'angelo mio custode mi sembrò che mi accompagnasse da Gesù, quando andai a riceverlo. Fu per me un giorno di paradiso quello ». E qualche riga più avanti, con la stessa naturalezza, racconta che «dopo tanto, infine, oggi è comparso pure il suo caro angelo. Quanto era più bello! La stella lucente che sempre posa sul suo capo, quanto risplendeva di più! Si figuri, è venuto in cucina mentre Mea faceva le polpette! Io ero lì a vederle fare, e pensavo... pensavo (...) a Gesù e lo ringraziavo (...); ho sentito allora posarmi una mano sulla fronte e alzarmi il capo. Era l'angelo suo (...). Terminate queste parole, mi ha baciata, e se n'è andato via, e mi ha lasciata contenta contenta. Io dico che proprio Mea non se ne sia avveduta, perché dopo non mi ha accennato nulla. Era così bello, babbo mio, e aveva tanta luce intorno a sé, che mi oscurava la vista ».

L'angelo custode si prende cura della salute della sua protetta; lo abbiamo già visto darle da bere un liquido bianco in un bicchierino dorato, e non sarà l'unica volta. E ancora leggiamo nel diario: «L'angelo custode non cessa di vigilarmi, d'istruirmi e darmi dei savi consigli. Più volte al giorno mi si fa vedere e mi parla. Ieri mi tenne compagnia mentre mangiavo, però non mi forzava, come fanno gli altri. Dopo che ebbi mangiato, non mi sentivo per niente bene; allora lui mi porse una tazzina di caffè sì buono che guarii subito, e poi mi fece anche un po' riposare. Tante volte gli faccio chiedere a Gesù se lo lascia tutta la notte con me; va a dirglielo, poi torna e non mi lascia fino alla mattina, se Gesù glielo permette ».

Gemma gode di una assistenza pressoché continua da parte degli spiriti celesti: «L'angelo custode non un minuto secondo mi abbandona. Ieri ne vidi più degli angeli; il mio mi assisté continuamente, e ne vidi un altro pure di un'altra persona, e qui non occorre certo che descriva i più minuti particolari ».

Per Zoffoli «è chiaro che la santa, mentre l'angelo l'assisteva, non era in estasi, come invece suole premettere parlando di altre visioni».

Nella lettera del 13 settembre 1899 a monsignor Volpi, Gemma parla di una visione di Gesù Bambino che le viene in braccio; negli ultimi di settembre, sempre del 1899, allo stesso monsignor Volpi scrive di aver avuto una visione di san Gabriele dell'Addolorata; nell'ottobre dello stesso anno, parla di una visione di Gesù visto con la croce sulle spalle; lo stesso ripete nella lettera successiva del novembre 1899. « La descrizione dei particolari», asserisce sempre Zoffoli, «obbliga a ritenere che Gemma effettivamente vedeva, sentiva, gustava. Lo stesso timore che altri si accorgessero della presenza dell'angelo (cfr. lettera a monsignor Volpi del 10 agosto 1900) e il desiderio che anche Cecilia udisse la sua voce inducono a credere che i sensi esterni della Galgani fossero realmente impressionati ».

Padre Germano, invece, è più incline a parlare di estasi sempre e comunque, anche se non molto profonde: «Le piccole estasi, che erano ancora le più frequenti, anche di parecchie volte al giorno, erano insieme le più spontanee e semplici. Per poco che nella sua mente scendesse un lume infuso men che comune, ovvero le si rappresentasse una celeste visione, fosse pure delle più ordinarie, di tratto il mondo sensibile le scompariva dinanzi, un profondo raccoglimento la comprendeva tutta, e in un attimo ella era in cielo con tutta se stessa, senza che alcuno scuotimento precedesse o accompagnasse quel volo, che era unicamente dello spirito. Per avvedersene conveniva guardarla negli occhi scintillanti che in quel momento erano fissi al cielo, ovvero al punto della visione ».

Sempre padre Germano asserisce che notava Gemma astratta dai sensi e profondamente partecipe anche quando, per esempio, recitavano insieme la liturgia delle ore. Parlando delle visioni dell'angelo, Germano scrive: «Quante volte ancora, trovandomi con essa a discorrere, e domandandole se il caro angelo custode fosse sempre al suo posto a farle d'intorno la guardia, Gemma volgeva con incantevole disinvoltura lo sguardo verso quella parte, e mirandolo rimaneva estatica e alienata dai sensi, per tutto quel tempo che si tratteneva a contemplarlo! »

Leggiamo ancora che, per padre Germano, le «piccole estasi» erano «meno perfette, di breve durata e puramente sensibili per lo più. Erano inoltre pochissimo profonde, in quanto che in esse, ad eccezione del senso del tatto, la perdita degli altri sensi non era totale; quindi accadeva non di rado che, stando in tale stato di astrazione, potesse nondimeno trattenersi non solo a leggere, ma anche a scriver lettere, ovvero a conferire col suo padre spirituale».

Più avanti, parlando delle apparizioni di cui Gemma fu favorita quasi di continuo dal 1899 fino a pochi giorni dalla morte, Germano richiama quelle dell'angelo custode, la cui «dolce, familiare e proficua presenza poteva dirsi continua di giorno e di notte ».

Germano è perentorio: « Gemma in estasi mostrava tutte le qualità di persona sanissima, e in stato perfettamente normale a regola di fisiologia; non pallore cadaverico, non gesti concitati, non inusitati atteggiamenti, non contrazione di muscoli. I soli sensi esterni non agivano più»`. Insomma, le estasi, le visioni, le locuzioni di Gemma non avevano nulla a che fare con l'ipnotismo o lo spiritismo.


UNA BELLEZZA CELESTIALE


Un angelologo di formazione tomistica, Giovanni Mongelli, scrive: «Gli angeli sono esenti dal legame e dalla pesantezza della materia; sono persone individuali essenzialmente diverse dalla materia e dagli esseri che si uniscono sostanzialmente alla materia, come sono, in quest'ultimo caso, le anime nostre, create per informare un corpo e vivificarlo».

Gli angeli, quindi, non hanno corpo e sfuggono a ogni raffigurazione adeguata. Sono esseri misteriosi e potenti. Irrompendo dal mondo soprannaturale, solitamente incutono timore, stupore, meraviglia.

La figura angelica che si presenta in forme sensibili a Gemma Galgani sembra corrispondere, nei dati fondamentali, all'iconografia tradizionale cristiana con cui vengono rappresentati gli spiriti celesti. Nelle case e nelle chiese di Lucca non mancavano certo rappresentazioni iconografiche degli angeli sia popolari sia artistiche.

La fisionomia è, dunque, quella umana; sembra ovvio che l'angelo sia di aspetto giovanile, nell'apparenza maschile, anche se Gemma non accenna mai all'età o all'aspetto «sessuato» degli angeli. Vede l'angelo come un essere umano alato. Lo scorge volare per portare le lettere ai vari destinatari; con le ali spiegate e le mani tese lo ha davanti agli occhi sopra il capezzale; in segno di protezione l'angelo le distende planando su di lei, quando esce di casa, a meno che non si accompagni al suo fianco.

Sulla fronte degli angeli Gemma vede una stella risplendente, che brilla in varia misura, secondo i diversi personaggi e secondo particolari circostanze di tempo e di luogo. Sull'aspetto sensibile degli angeli che le appaiono, Gemma non dice altro. Non si perde in dettagli fisionomici. Non descrive mai il volto degli angeli, non dice quale sia il colore dei capelli o la qualità, la foggia e il colore degli abiti che indossano. Non li chiama mai per nome e non ci dice se avessero nomi propri. Solo le ali e la stella. Forse non sente il bisogno di entrare in particolari descrittivi perché... nessuno glielo ha chiesto. E’ tale e tanta la familiarità con gli angeli, che reputa superfluo attardarsi a descrivere particolari per lei tanto consueti e che, nella sua semplicità evangelica, suppone conosciuti anche dagli altri.

Gemma è rapita dalla loro sovrumana bellezza, questo sì. Quale riverbero sensibile promanasse da questa celestiale bellezza, non pensa a descriverlo. Se indugia in qualche dettaglio, ciò è sempre funzionale a una particolare circostanza che l'ha colpita e di cui deve riferire. I testimoni che hanno assistito alle sue estasi vedevano riflessi sul suo volto trasfigurato i raggi della luce arcana che la illuminava.


«VEDO (MA NON MAI COGLI OCCHI) UNA LUCE, UN BENE IMMENSO..»


Rispondendo a un quesito di padre Germano su « come veda e senta Gesù», il 7 settembre del 1900 Gemma scrive: «Vedo Gesù non cogli occhi del corpo, ma lo conosco distintamente, perché mi fa cadere in un dolce abbandono, e in quest'abbandono riconosco lui; la sua voce mi si fa sentire sì forte, che più volte ho detto che mi ferisce più la voce di Gesù che una spada a molti tagli, tanto mi penetra fino all'anima; le sue parole sono parole di vita eterna. Quando vedo Gesù e lo sento, non mi sembra di vedere né bellezza di corpo, né figura, né un suono dolce, né un canto soave; ma quando vedo e sento Gesù, vedo (ma non mai cogli occhi) una luce, un bene immenso; una luce infinita, che da nessuni occhi mortali può essere veduta; una voce che nessun può udirla: non è voce articolata, ma è più forte e si fa più sentire al mio spirito, che se udissi parole pronunziate ».

Può essere questo un barlume significativo sulla impressione che la mistica aveva pure degli altri spiriti beati? Sembra di no.

Per gli angeli si deve parlare di apparizioni che toccavano particolarmente la sfera sensibile della percezione, in maggiore o minore misura, come ben spiega padre Germano. Gemma, nel testo citato, accenna a «bellezza di corpo », «figura», «suono dolce», «canto soave». Sembra che descriva esperienze avute in prima persona, percezioni sensibili che deve avere sperimentato in altre apparizioni, quelle degli angeli, appunto, e che esclude in modo esplicito come riferimento diretto alle visioni cristologiche. Del volto di Gesù, Gemma nulla ci dice, e nemmeno del volto della Vergine Maria. Ciò che più la colpisce è la voce dei personaggi celesti che le si manifestano. Per lei la voce è tutto. Soprattutto le visioni cristologiche sembrano rientrare nel novero delle visioni cosiddette « intellettuali ». Esse sono le più alte, meno supportate da impressioni sensibili. Illuminano l'intelletto su una determinata verità. Per loro tramite, i mistici sperimentano una profonda comprensione della realtà divina e godono di grazie molto più efficaci e durevoli nei loro effetti.