MaM
Messaggio del 10 giugno 1982:Voi sbagliate quando guardate al futuro pensando solo alle guerre, ai castighi, al male. Se pensate sempre al male vi mettete già sulla strada per incontrarlo. Per il cristiano c'é un unico atteggiamento nei confronti del futuro: la speranza della salvezza. Il vostro compito é quello di accettare la pace divina, viverla e diffonderla. E non a parole, ma con la vita.

Cosa è il Paradiso

28/04/2004    5403     Paradiso    Aldilà  Paradiso 
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Prima di inoltrarci nell’argomento del Paradiso, premettiamo uno sguardo panoramico.
L’Apostolo San Paolo, avendo visto in estasi qualche cosa del Paradiso, riesce soltanto a dire di aver visto, sentito e gustato cose che la parola umana non può esprimere.
Ciò che è il Paradiso supera ogni nostra immaginazione, perché noi siamo abituati a formare le nostre idee in base alle cose apprese dai nostri sensi. Quindi è molto difficile farci un’idea, anche approssimativa, del Paradiso.
Il Paradiso — insegna la Chiesa nel suo Catechismo — «Il godimento eterno di Dio, nostra felicità, e, in Lui, il godimento di ogni altro bene senza alcun male».
Su questa terra non passa giorno senza la visita di qualche tribolazione. Talvolta siamo così oppressi dal dolore e dalle difficoltà della vita, da essere tentati per sino a desiderarci la morte.
Durante questa vita terrena, soffriamo nel corpo. Ogni senso e ogni membro è esposto a malattie e a sofferenze. Vi sono malanni della giovinezza, dell’età matura, della vecchiaia. Certi disturbi ci possono accompagnare per molti anni, fino a che ci conducono alla tomba.
Quaggiù ci sono sofferenze che affliggono il nostro spirito, le quali sono talvolta più crudeli di quelle del corpo.
Lo spirito è ansioso di scoprire ogni verità e ogni segreto di natura. Ma quante cose non sapremo mai, o solo parzialmente.
Lo spirito anela alla libertà, ma quante costrizioni fisiche o morali ci legano a quanto non vorremmo.
Lo spirito è proteso verso il raggiungimento di nobili ideali di virtù, di grandezza, di felicità. Invece trova ostacoli ovunque: nella concupiscenza, nella malizia degli uomini, nella ristrettezza del tempo e delle cose di questa terra.
Ciò che rattrista di più però la nostra vita sono le sofferenze del nostro cuore, che è fatto per amare e per essere riamato con amore intenso. Vorremmo amare e amare sempre. Ma l’oggetto del nostro amore non è mai così perfetto da appagare pienamente le nostre aspettative. E se anche lo fosse è questione di tempo, perché circostanze impreviste, eventi insospettati, oppure la morte ce ne separano amaramente.
A nostra volta, vorremmo che il nostro amore venisse ricambiato e che tutta la nostra esistenza venisse circondata da premure affettuose, da amore costante. Vorremmo che almeno qualcuno pensasse a noi come a qualcosa di necessario e di insostituibile. Vorremmo che le nostre azioni venissero prese nella debita con siderazione, elogiate, ripagate con dimostrazione di stima e di preferenza...
Invece la nostra delusione è grande; abbiamo la terribile sensazione di essere soli, dimenticati..., e altri, che reputiamo meno meritevoli di noi, di essere più onorati e preferiti.
Inoltre, calunnie, incomprensioni, gelosie, invidie, infedeltà, intrighi e contrasti sono l’amaro cibo di molta parte della nostra vita. Per questo San Paolo esclamava: O me infelice! Chi mi libererà da questa vita ch’è agonia di morte?
Noi sappiamo che la triste condizione presente è conseguenza del peccato originale e dei nostri peccati personali. Però la nostra fede non è così viva da tener conto di questo e di rassegnarci alla nostra sorte, per cui la nostra sofferenza è ancora più grande e più amara.
Ebbene queste dolorose conseguenze del peccato non potranno oltrepassare la porta del Paradiso: le sofferenze del corpo, dello spirito e del cuore avranno fine per sempre! Ce l’assicura San Giovanni nell’Apocalisse (21,4): «Là (cioè in Paradiso) non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate per sempre».

In Paradiso si godrà ogni bene
L’assenza totale di sofferenza è già molto, ma in Paradiso vi sarà ogni sorta di bene per il corpo, per lo spirito e per il cuore.
Il nostro corpo sarà esente da ogni imperfezione. Sarà splendente di luce, agile come uno spirito. I sensi avranno il loro completo appagamento.
Il nostro spirito (che noi comunemente siamo soliti chiamare « anima») sarà totalmente immerso nel possesso e godimento di Dio. Vedrà finalmente Dio faccia a faccia, e, in Lui, conoscerà tutte le verità e i misteri. Conoscerà come Dio ha creato l’universo e saranno svelate tutte le leggi che governano la natura. Vedrà le vie della Provvidenza nel governo del mondo, dei popoli e delle singole persone umane e si svelerà il meraviglioso intreccio di interventi da parte dell’infinita Sapienza, Bontà e Misericordia di Dio.
Il cuore, tanto assetato d’amore, avrà soddisfatte tutte le sue esigenze. Il nostro cuore esulterà per sempre! Sarà come se Dio non avesse altri su cui concentrare il suo infinito amore se non noi soli. Con tutti gli Angeli e i Beati, stretti assieme da dolcissimo amore, godremo una felicità senza limiti e per tutta l’eternità.

Che cosa è il Paradiso

Il nome «Paradiso», come si suole chiamare il luogo della felicità eterna, deriva dalla parola greca «paràdeisos = giardino, luogo di delizie».
La felicità o beatitudine è il godimento totale, assoluto ed eterno.
La felicità del Paradiso si divide: in primaria e secondaria.
La felicità primaria consiste nel vedere Dio come Egli è, nel possederlo e amarlo per l’eternità; la felicità secondaria consiste nei godimenti sensibili dell’universo creato che delizieranno i Beati con il loro corpo risuscitato.
Nell’esporre la dottrina sul Paradiso bisogna evitare due scogli:
1) quello di materializzarlo troppo sul tipo di una felicità soltanto terrena, non tenendo presente che — come dice S. Paolo — si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale;
2) quello di spiritualizzarlo al punto tale da eliminare la partecipazione viva e sensibile del corpo. Tale paradiso però non entusiasma affatto a raggiungerlo e non ci dà forza sufficiente per accettare le inevitabili croci terrene e la morte. Dopo aver letto o ascoltato — come dice S. Agostino — certe dotte prediche sul paradiso troppo spiritualizzato, i fedeli restano turbati dalla preoccupazione del come poter sopportare la noia eterna nello stare immobili a guardare Dio e a cantargli per sempre «Amen, Alleluia».
Al riguardo il Vangelo ci dà tanta luce. Nelle sue apparizioni Gesù risorto parla, è toccato, mangia con gli Apostoli, il suo corpo vive, ma è spiritualizzato tanto da attraversare le pareti, da apparire e scomparire. Il suo corpo non è fisso al punto da rimanere immobile ed estatico. Il suo inserimento nell’eterno non gl’impedisce di rimanere in modo reale e attivo nel tempo. La Visione Beatifica di Dio beatificherà pienamente anche il nostro corpo, senza però bloccarlo in una condizione nella quale la corporeità materiale non avrebbe più espansione e senso. Per questo gli Apostoli, i Santi Padri, i Dottori della Chiesa, dopo aver messo in evidenza la felicità primaria del Paradiso, descrivono pure le bellezze e i godimenti sensibili del corpo risorto e cioè la felicità secondaria del Paradiso che, per essere noi immersi nella nostra esperienza terrena, ci colpisce e ci attira di più.
Quindi, nonostante che la felicità essenziale del Paradiso sia quella primaria (cioè la visione beatifica di Dio), non bisogna sottovalutare quella secondaria richiesta dai sensi del corpo risorto, come sono soliti fare coloro che, con un certo dissimulato disprezzo, vi accennano di passaggio. Eppure la felicità corporale, oltre ad avere la sua importanza, è quella che fa sempre più effetto sulla gran maggioranza del popolo, poco abituato alle sublimi astrazioni della Visione Beatifica; è quella che noi comprendiamo meglio e che ci attira di più. Per tale motivo, prima di parlare della Visione Beatifica, parleremo della felicità corporale che godremo in Paradiso col nostro corpo risorto.
Ad evitare però le fantasticherie e le esagerazioni che potrebbero far consistere il Paradiso in una continuazione delle nostre baldorie terrene, o che potrebbero falsificare il vero Paradiso col paradiso sensuale di certe religioni, è opportuno far notare fin d’ora che i corpi risorti dei Beati non avranno più la vita animale e vegetativa come su questa terra, e che perciò non ci sarà più la concupiscenza carnale da soddisfare; non ci sarà più fame e sete; saranno sospese per sempre la funzione generativa, la funzione nutritiva e quella del ricambio. Le secrezioni interne ed esterne delle nostre molteplici ghiandole, dalle quali deriva la maggior parte degli stimoli animaleschi, saranno eliminate del tutto — come ci insegna S. Tommaso d’Aquino — per cui sarà impossibile ogni passione, ogni emozione con relativa modificazione organica.
Ma allora — si potrebbe chiedere — a un corpo ridotto così cosa resta per godere sensibilmente? A prima vista sembrerebbe poco o nulla. Invece la realtà è completamente diversa, perché il corpo risorto sarà capace di godimenti sensibili immensamente di più di quando era sulla terra. Quaggiù infatti il godimento naturale è limitato, passeggero, e sempre misto ad amarezze per la sua poca durata, per la stanchezza che provoca, per i sacrifici richiesti dal suo godimento.
In Paradiso invece il godimento soprannaturale esclude ogni minima sofferenza, contiene ogni gioia e soddisfa ogni nostra aspirazione, ogni nostro desiderio, totalmente ed eternamente.
E giusto che in Paradiso abbia la sua felicità non solo l’anima, ma anche il corpo, perché sulla terra l’uomo soffre con tutto il suo essere, anima e corpo, quindi è giusto che in Paradiso il Beato goda con tutto il Suo essere, anima e corpo.
Come sulla terra il corpo fu per l’anima strumento di sofferenza, privazione, mortificazione, ecc., così in Paradiso il corpo sarà per l’anima strumento di gioia, di godimento. Perciò la felicità del Paradiso, oltre alla Visione Beatifica, contiene pure il godimento sensibile del corpo. Quindi il Paradiso, per saziare pienamente tutto l’uomo (anima e corpo) deve essere provvisto pure di tutte le bellezze, di tutti gli splendori e di tutti i godimenti possibili.
Fino al giorno del Giudizio Universale, i Beati, non avendo ancora i corpi, avranno in Paradiso una vita soltanto spirituale come gli Angeli; ma, dopo la resurrezione dei corpi, i Beati ritorneranno a vivere anche la vita corporale sensitiva.
I corpi risoni, pur rimanendo sostanzialmente gli stessi della terra, saranno rinnovati e integrati nella loro perfezione naturale; saranno arricchiti di doni preternaturali e saranno rafforzati, potenziati dall’influsso della gloria celeste, così che la vita del Paradiso sarà di assoluta impeccabilità, di perfetta santità, di totale ed eterna felicità.
Inoltre, come già accennato, in Paradiso la capacità di godimento del corpo risorto, sia per la vivezza del le gioie e dei godimenti sensibili, sia per la loro intensità, sia per il loro numero, sia per la loro inesauribile varietà, sarà senza alcun dubbio smisuratamente superiore alla capacità di godimento che aveva sulla terra.
Nel disegno di Dio l’uomo e le cose materiali sono così dipendenti l’uno dall’altro e così ordinati l’uno all’altro che è assurdo concepirli separati dopo la resurrezione finale. Infatti se la felicità eterna fosse tutta spirituale, essa non sarebbe più umana perché l’uomo è composto essenzialmente di spirito e di materia, di anima e di corpo. Perciò l’intero universo materiale è destinato a divenire in eterno l’ambiente effettivo e reale del Paradiso per l’uomo glorificato.