MaM
Messaggio del 13 novembre 1986:Cari figli, oggi vi invito tutti a pregare con tutto il cuore e a cambiare di giorno in giorno la vostra vita. Specialmente vi invito, cari figli, a incominciare a vivere santamente con le vostre preghiere e sacrifici, perché desidero che ognuno di voi, che è stato a questa fonte di grazia, arrivi in Paradiso con il dono speciale che è stato dato a me, cioè la santità. Perciò cari figli, pregate e cambiate ogni giorno la vostra vita affinché diventiate santi. Io sarò sempre vicino a voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!

Paradiso: Visione beatifica di Dio (3)

20/09/2004    2367     Paradiso    Aldilà  Paradiso 
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Il Nome di ciascun Beato
Quando Gesù chiamò al suo seguito Simone, gli assegnò un nome nuovo: Pietro. Nessuno, neppure lo stesso interessato, comprese allora quel nome che poi divenne chiaro per la funzione di pietra fondamentale della Chiesa che Simone era chiamato ad assolvere.
L’Apocalisse (2,17) ci attesta che nell’eternità ognuno dei Beati riceverà un nome proprio nuovo. Nome così specifico e personale che lo comprende solo chi lo riceve. Forse indicherà la posizione specifica che ognuno dei Beati occuperà in Paradiso. Forse indicherà il seggio che gli spetterà in mezzo alle miriadi degli altri Beati. Forse esprimerà la relazione particolare di ciascun Beato con Dio, il posto più o meno profondo nel suo cuore.
Il nome nuovo nel Cielo è confidenziale. Dio, nel glorificare i Beati, rivela segretamente a ciascuno di essi il suo nome nuovo, cioè il nome che esprime con esattezza il modo di essere preciso e individuale di ciascuno. Il nome nuovo spiega chiaramente la personalità esclusiva e la particolare funzione di felicità che ognuno dovrà godere in Paradiso. E la definizione esatta di ogni Beato glorificato; è la rivelazione luminosa della sua vocazione terrestre e celeste. Non si può immaginare éon quale giubilo e riconoscenza il Beato accoglie il suo nome nuovo; conosce allora l’essenza della sua personalità e vede che si addice esattamente alla sua eterna vocazione di gioie e di piaceri.
Il nome nuovo è un segreto, perché si riferisce soprattutto alla «gloria essenziale» che si va a godere direttamente con Dio; perché concerne le sottili caratteristiche o sfumature particolari d’amore con cui si ameranno eternamente Dio e il neoglorificato. Include il principale godimento che il Beato riceverà dall’intero Paradiso Cosmico, come pure quel godimento che in cambio il Beato darà all’universo glorificato.
In questa vita terrena è un segreto a causa del peccato che oscura ogni cosa.
Quale sussulto di gioia e amore sentirà ciascuno di noi quando si sentirà chiamato con quel nome strettamente personale da Dio, dai Beati, dagli Angeli. Già fin d’ora Gesù ha assegnato a ciascuno di noi un nome proprio (Giov. 10,3): «Egli chiama le sue pecore una per una». Questo significa che ognuno di noi già fin d’ora ha un posto determinato nella mente e nel cuore di Dio.
Questo nome proprio, personale (noto ora soltanto a Dio, un giorno anche a noi) indica la misura della nostra perfezione, la bellezza specifica della nostra personalità, la nostra fisionomia naturale e soprannaturale della grazia. Quando poi questa fisionomia si sarà fissata per sempre in un determinato grado di perfezione e di bellezza soprannaturale, Dio la svelerà a noi stessi, esprimendola con quel nome nuovo per noi, ma non per Lui.
Nel Giudizio universale, al cospetto di tutti, sarà pronunziato ad alta voce dalla bocca di Dio quel nome che ci esprime veramente e ci individualizza tra le miriadi degli altri uomini. Sulla terra invece il nome datoci dagli uomini è dovuto a una casualità, o a una ostentazione, o a una derivazione o ricopiatura senza senso.
All’appello generale di tutte le creature umane e angeliche a comparire e a rispondere davanti al Giudice divino, noi saremo chiamati col nostro nome particolare. Sarà chiamata di giustizia, però se amiamo il Signore non dobbiamo trepidare, perché saremo chiamati al convegno dell’Amore Eterno.
Appena ciascuno di noi entrerà in Paradiso, comprenderà subito, come dice San Paolo (Ef. 3,18): «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità» dell’Amore divino, che sorpassa tutto l’amore dei Beati e degli Angeli concentrato verso un unico Beato, perché il loro amore, per quanto sia immenso, è sempre limitato, mentre l’amore di Dio verso ciascuno dei Beati è illimitato, infinito.
La presenza divina invade tutta la personalità del Beato, facendosi sentire nella sua mente come Verità assoluta, nel suo cuore come Amore assoluto. La possibilità si stringersi in questo contatto immediato con la Perfezione infinita fa provare al Beato le vertigini dell’amore e della gioia». Egli prova sperimentalmente che Dio è l’Amore personificato, sente che in Lui possiede l’Amore personale. Perciò su questi innamorati a fondo, Dio e l’uomo, si salda l’unione di amore nel modo più stretto possibile, fino a una comunione e a Uno scambio realissimo di vita, fino a una mutua assimilazione. Sarà semplicemente amarsi, ma in tutta l’estensione e la portata dell’amore, senza che più nulla Si opponga minimamente, senza più istanti d'interruzione o di distrazione dall’amore, senza più timore che Possa cessare o diminuire l’ardore affettivo, senza che Possa intervenire alcuna causa a disturbare o anche solo a infastidire l’idillio eterno.
L’Essere Divino e l’essere umano del Beato nel Paradiso permangono sempre distinti, ma così strettamente uniti, che trapassano da un cuore all’altro continui trasporti di amore e riconoscenza, continui influssi mutui della felicità di amare e di essere amati, continui flussi e riflussi di amore e di gioia. Fino a quali vertigini arriva il delirio della gioia e dell’amore in Paradiso, noi non possiamo neppure immaginarlo. Una pallidissima idea ce la danno i mistici. Santa Maria Maddalena dei Pazzi, in preda a un parossismo di amore, andava gridando per i corridoi del suo convento: « Se una sola goccia di quello che io sento nel mio cuore cadesse nell’Inferno, l’Inferno sarebbe cambiato all’istante in Paradiso! Se voi aveste visto un solo raggio della gloria del mio amato Gesù, vorreste soffrire mille morti per poterlo rivedere ancora». Vedere la Bellezza infinita di Dio, comprendere la Verità infinita di Dio, sentire l’Armonia infinita di Dio, amare ed essere amato dall’Amore infinito di Dio, gustare la Felicità infinita di Dio, la quale sulla terra è un favore momentaneo riservato ad alcune anime privilegiate, in Paradiso invece costituirà lo stato ordinario in cui si troveranno per sempre i Beati: la Visione beatifica sarà questa.

Raffronto tra le gioie dell’amore divino e umano

Ogni amore umano genuino ha un pò del sapore della gioia infinita del Paradiso, però in realtà nessun amore umano ce la può dare veramente.
Quante esistenze sfortunate che per anni hanno portato la catena di un affetto leale nell’attesa di vederlo finalmente corrisposto. Alla fine però sono state messe da parte freddamente!
Quante giovinezze radiose che nella fioritura dell’amore si sono offerte precocemente o con troppa foga, sono rimaste bruciate irrimediabilmente dal gelo spietato dell’egoismo umano! Ogni giorno quante creature, frementi di vita ma imprudenti, sognano l’amore dappertutto; credono di sentirlo in ogni parola cortese alloro indirizzo; credono di scorgerlo in ogni sguardo spalancato momentaneamente su di loro; restano di continuo con il cuore sospeso e il piede alzato pronto a fare il passo nel buio, appena una voce invitante la chiama per nome. Ma appena il passo è fatto, l’amore si dilegua. Povere giovinezze che a venti anni o meno trangugiano già con ripugnanza estrema io sconforto delle delusioni supreme irreparabili! Povere vittime cui la parola così bella «amore», risveglia ormai solo l’immagine di un serpe viscido posato sul fiore più bello! Povere infelici cui l’idea di felicità familiare suona ormai solo vergogna e colpa, oppure inganno e rovina! Forse il giorno tanto sospirato delle nozze segnò pure quello dei funerale del loro amore e della loro felicità in terra. Bisognose di affetto, di compagnia e sostegno nella vita, sono rimaste a scandire le ore della loro solitudine nella tristezza più cupa.
Tutte costoro sperimentano le ferite dolorose dell’amore, ma invano ne sognano le ebbrezze! La vera patria dell’amore non è questa terra. Anche nell’amore più santo, benedetto e consacrato da Dio coi Sacramento del matrimonio, spesso le delusioni più amare arrivano ad avvelenare ogni gioia.
Allora si cerca di dimenticare e, se fosse possibile ignorare tutte le incostanze, le meschinità, le falsità degli amori terreni, atti più a fare soffrire che a godere. Soprattutto ci si liberi del pessimismo deleterio proprio della giaventù bruciata che, nella stagione più rigogliosa e più potente, dispera già dell’amore e si chiede desolata: a che serve amare? E se non serve ad amare, a che cosa serve la vita?
Serve a preparare e meritare l’incontro cuore a cuore con l’Amore infinito, incontro realizzabile soltanto al di là del tempo e dello spazio, però per sempre: in Paradiso!
Queste povere creature, cui è toccato fare l’esperienza più dolorosa, sollevino gli sguardi al Paradiso, dove splende il sole del Divino Amore con le sue promesse infallibili di felicità completa e perpetua, osservino la legge del Signore, offrano tutto il loro dolore a Gesù, portino con pazienza la loro croce e poi sperino con grande confidenza perché è lo stesso Amore Increato che le attende lassù a braccia e cuore spalancati.
Il nostro incontro facciale con Dio invece di ridursi, come scioccamente immagina qualcuno, alla presenza noiosa di due che si guardano a distanza, realizzerà invece la convivenza perenne dei cuori più teneramente e più ardentemente innamorati e l’abbraccio dei più grandi e dei più potenti amori. In Paradiso si ama, si ama liberamente senza più freno o misura, si ama e si gode senza più interruzione e distrazione l’Amore infinito.

Gioie inesauribili

Qualcuno potrebbe temere che col passare dei secoli e dei millenni l’immensa gioia dell’amore di Dio si possa affievolire, o possa generare in noi sazietà, perdendo qualche cosa della sua intensità ed ebbrezza iniziale. Non è così: un Paradiso deperibile non è più Paradiso! Si teme che la felicità dell’amore celeste con l’andare del tempo, si possa affievolire perché lo si concepisce come l’amore terreno, che è limitato e quindi soggetto a raffreddarsi, o anche a spegnersi. Invece l’Amore divino è l’incendio assolutamente inesauribile perché tenuto vivo e continuamente riattivato dall’Onnipotenza divina. I Beati e gli Angeli con atti eternamente successivi continue ranno a scruta rio scoprendo in Lui meraviglie di bellezze sempre nuove e continue ranno ad amarlo con slanci d’amore sempre nuovi e sempre ardenti. La felicità celeste sarà eterna perché la sorgente di felicità e di gioia, alla quale gli abitanti del Paradiso si disseteranno, non potrà esaurirsi mai!
In Paradiso, fino al giorno della resurrezione dei corpi, i Beati ameranno Dio con la sola anima, come gli Angeli; dopo la resurrezione Lo ameranno sensibilmente anche col corpo.
Come la felicità dell’anima si riverserà anche nel corpo così il nostro amore per Dio farà sussultare anche il nostro cuore di carne, il nostro corpo materiale. tutti i nostri sensi, perché l’uomo è formato sostanzialmente di spirito e di materia e perciò in Paradiso noi ameremo spiritualmente e sensibilmente. Non dimentichiamo inoltre che la santa umanità di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, Maria Santissima, noi e tutti gli altri Beati saremo vicendevolmente a discrezione dei nostri abbracci sensibili, dei nostri baci umani, delle nostre effusioni ardenti d’amore per sempre.

Immedesimazione delle creature con Dio

Omettendo, per amore di brevità, tanti altri argomenti bellissimi, passiamo al numero ultimo della felicità eterna del Paradiso: la nostra trasformazione in Dio. Questa opererà nella nostra natura meschina una elevazione così sublime da immedesimarci con Dio, non in tutto s’intende, ma in qualche grado e misura realissimi.
Realtà incredibile e inconcepibile! Con la resurrezione dei corpi noi saremo reintegrati nella nostra natura umana, però avremo finito per sempre di essere soltanto uomini. Per avere una pallida idea di questa mutazione incredibile, possiamo pensare al trattamento con cui il semplice ferro viene trasformato in durissimo acciaio, il quale conserva ancora la natura del ferro, ma acquista una tempra di ben altra resistenza. Tale resistenza si produce nel ferro mediante un’immissione di carbonio nelle sue molecole e una modificazione della loro struttura e disposizione. Così Dio immetterà realmente qualche cosa di se stesso per così dire, negli atomi del nostro «io» conferendogli come una tempra divina. Il paragone per quanto possa valere, rappresenta una realtà certissima. Il Paradiso sarà una felicità costruita nell’intimità più profonda di tutto il nostro essere e immedesimata con esso, e non soltanto un appagamento venuto alle nostre potenze e facoltà dall’esterno. Su questa terra la nostra umanità non è attrezzata per godere intensamente, perché le gioie troppo vive finiscono troppo presto per farci godere molto poco. Quando poi l’oggetto vero della nostra gioia dovrà essere il Bene infinito, Dio, la nostra trasformazione, per poter sostenere il peso di una gioia infinita, sarà una reale assimilazione a Lui, fino a immedesimarci con Lui.
I Santi, i Dottori della Chiesa, i Teologi qualificano questo stato di assimilazione e immedesimazione dei Beati con Dio con la parola «deiforme». San Tommaso, riassumendo il pensiero dei Santi Padri specialmente di S. Agostino e di S. Atanasio, scrive (III, qu. 37, a):
«Il Figlio di Dio si è fatto uomo non per se stesso, ma per fare di noi degli “dei”per grazia». San Giovanni della Croce specifica (Cantico spirituale): «La sostanza dell’anima, pur non essendo sostanza divina, perché questa non può mutarsi in lei, tuttavia, trovandosi unita a Dio e assorbita in Lui, è Dio per partecipazione. L’anima diventa luminosa; è inondata dalle gioie e dalla gloria di Dio fino nella sua sostanza più intima. Dio le comunica il suo essere soprannaturale di maniera che sembra di essere Dio e di possedere ciò che possiede Dio.
Quando Dio accorda all’anima questa grazia sovrana, si fa una tale unione tra Dio e lei che tutte le cose di Dio e quelle dell’anima diventano una cosa sola in trasformazione partecipante, di modo che l’anima pur restando totalmente distinta da Dio, sembra che sia più Dio che se stessa. Dio vuole fare di noi degli “dei” per partecipazione, mentre Lui lo è per natura». Noi saremo uomini divinizzati, che conservano intera la propria natura e nello stesso tempo partecipano a quella di Dio: creature deiformi, simili ma non uguali a Dio. Il catechismo Romano, che dice «deificati», lo spiega con il solito paragone: come il ferro, immerso nel fuoco, assume ia natura del fuoco senza perdere la propria essenza di ferro, così i Beati, infiammati del divino amore, assumono la natura divina senza perdere la propria essenza di uomo e così vengono a trovarsi in uno stato di uomo molto diverso dal nostro stato presente, che non il ferro freddo dal ferro incandescente.

Deificazione simile ma non uguale a quella dell’umanità di Cristo

La ragione di questa, chiamiamola così, «incandescenza divina» della nostra natura umana, come dice il catechismo, avviene perché Dio compenetra il Beato, s’immedesima con tutto il suo essere umano e si unisce alle sue facoltà in modo immediato. Questa unione Senza intermediario è così profonda e definitiva che i Teologi non vedono altra unione che possa equivalerle se non l’unione del Verbo Divino con la natura umana in Cristo. Come l’umanità di Cristo, mediante la sua unione personale con la seconda Persona della SS.ma Trinità, partecipa indissolubilmente dell’essere stesso del Figlio di Dio, così nei Beati la natura umana resta unita a Dio indissolubilmente per mezzo del «lume di gloria». Se riflettiamo sulla vera natura del «lume di gloria», ci rendiamo conto ch’esso costituirà per la nostra povera natura umana un vero grado di deificazione. Infatti il lume di gloria non sarà come la luce del sole, esterno a noi e agli oggetti, per rendere questi visibili e noi videnti, ma sarà invece una capacità visiva inerente alla sostanza spirituale dell’anima nostra, una nuova facoltà mentale di comprendere in un modo nuovo. Sarà il potere di vedere e godere Dio come si vede e si gode Lui stesso. Quale fortuna inconcepibile!
L’anima nostra, anche rapita in questo sconfinato godimento sovrumano, conserverà intatta la sua intelligenza e la sua volontà, la quale, con tutta l’intensità di cui è capace, vorrà Dio, Bene assoluto, per sempre perché non è più libera di non volerlo. Quindi in Paradiso, pur amando Dio senza misura, non acquisteremo ulteriori meriti, ma godremo soltanto il premio dei meriti acquistati in terra.
Il nostro «io umano» deificato continuerà a esistere intatto, anima e corpo, e a funzionare con i mezzi propri della sua natura umana, però potenziati. Noi non scompariremo in Dio, ma coesiste remo insieme.
Tu dunque, o Dio, ricevendoci nella tua felicità, ci tirerai, ci circonderai e ci stringerai colle tue braccia, anzi ci compenetrerai, ci riempirai di divino fin nel più intimo di noi stessi. Sarà il tuo spirito ad animarci, la tua sostanza a vivificarci, il tuo essere stesso a darci consistenza. Introducendoci nel tuo gaudio compirai in noi una seconda creazione, la creazione della perfezione che, assorbendo ogni nostra debolezza o deficienumana innata, ci farà essere come altrettante perfezioni divine partecipate e sussistenti, e come altrettanti utenti e fruenti dell’unica beatitudine infinita, che è la sua stessa natura.
Signore, quando realizzerai finalmente un disegno così stupendo?