Medjugorje, qui è come fare un tuffo nel mare
16/06/2020
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Il primo impatto con Medjugorje è un tuffo in mare. Veniamo immersi nella preghiera come nell’acqua: ci si bagna, se ne resta impregnati, si impara anche a nuotare. Un uomo inginocchiato sul banco della chiesa prega indifferentemente in italiano e in croato. All’esterno della Chiesa, a destra e a sinistra, filari di persone si confessano da sacerdoti segnalati a seconda della lingua: croato, portoghese, italiano, polacco, spagnolo, tedesco, francese... Le confessioni catturano il tempo e mettono di fronte a un’umanità desiderosa e sofferente, in un flusso continuo di persone riunite a grappoli che si sfaldano e si ricompongono. Un popolo vario e unito come a Pentecoste. Un grande annuncio del Regno, con predicatori di cartello e improvvisati, religiosi e laici. La fede si vede, si tocca, si cammina. Come nell’antica Tebaide egiziana, quando si lasciava la città per andare in luoghi deserti, che diventavano nuovamente abitati. Un’esperienza di esercizi spirituali: silenzio, preghiera, ascolto, sguardo, cammino. Il popolo di Dio rinasce dai sacramenti. Maria rigenera a Dio i suoi figli, come al sorgere del sole tra i rami degli alberi nel fresco limpido dei monti.
Siamo presi dentro la liturgia eucaristica serale, lineare e solenne in una lingua sconosciuta eppure comprensibile nel ritmo dei canti, nella sequenza dei gesti, nella partecipazione delle persone: il coro degli uomini e delle donne a guida di una suora e l’ampio anfiteatro di popolo ai piedi dell’altare rialzato, la grande corona dei sacerdoti, mentre il sole tramonta nel fresco della sera. Cristo risorto è vivo e presente. È la vigilia dell’anniversario della prima apparizione. L’indomani, alla festa di ringraziamento sacerdoti concelebranti, provenienti da tutto il mondo, sono 220. L’adorazione che segue la Messa sulla spianata all’aperto, è intensa senza ostentazione. Silenzio di fronte all’Eucaristia o alla Croce, intervallato da canti a canone e brevi espressioni sussurrati in varie lingue che arrivi finalmente a capire nella limpidezza dell’italiano.
Un clima che evoca antiche serate nel tendone di Taizè, mille anni fa. Sorge il paragone con quello che è rimasto delle grandi feste popolari in onore del patrono nei nostri paesi, con salti e balli e quasi senza preghiera. Qui la festa è Gesù, che compone l’unità del popolo e lo allieta. Sale la musica di chitarra o violino o di canto solista al quale si associano voci dalla folla. Chi sei tu o Cristo che trattieni davanti a te tanta gente? Medjugorje è un luogo dove anche i preti pregano e credono. I laici dicono: «Perché qui alla preghiera non mi annoio, anche se non capisco quasi le parole?».
La salita da stazione a stazione nella Via Crucis sul monte è accompagnata dal libretto di Santa Faustina Kowalska, che parla con Gesù e lo fa parlare cuore a cuore. Incrociamo gruppi e gruppetti: famigliole; un gruppo numeroso si scambia l’abbraccio di pace dopo la stazione della morte di Cristo; qualcuno procede scalzo sul cammino di sassi sconnessi come le nostre difese a mare e aspri come la lingua croata, levigati dai passi dei pellegrini. Dopo la preghiera davanti alla bianca croce in vetta, alta parecchi metri, fiorisce tra noi un dialogo intenso: la preghiera, la vita, la crisi, la difficoltà, Cristo riconosciuto e seguito, la compagnia nella fede… Nella discesa, a una svolta, quasi nascosta da una siepe, la vecchierella della quale un amico esperto di viaggi a Medjugorje ci aveva parlato, sembra lì ad attenderci, con i rosari a due colori, cordiale e senza pretese, e un abbraccio per tutti.
La fede trabocca in strada. Nei negozi sovrabbondanti di statuine della Madonna e di ricordi, nella preghiera che percorre vie e sentieri, nella Chiesa e nella cappella dell’adorazione, nelle comunioni e nei silenzi. Si può rimanere a meditare e pregare per ore, accanto a centinaia di persone eppure ciascuno personalmente di fronte a Cristo. Un polmone di grazia che dà respiro alla Chiesa; una sorgente da raccogliere e far scorrere nella vita delle nostre comunità. La carità invade le periferie del paese: comunità di accoglienza per giovani e di ospitalità per bambini; carismi fioriti sul ceppo principale; iniziative di nuove forme di consacrazione e di preghiera.
I veggenti? Al termine della Messa tre signori – due uomini e una donna – della cui identità mi rendo conto solo il secondo giorno, si accostano al leggio accanto all’altare e pregano il Magnificat. Non avvertiamo messaggi o commenti, anche se un’omelia richiama con forte accentuazione il carisma di Medjugorje. Al mattino del giorno della partenza, in chiesa e sul piazzale tratteniamo in un ultimo sguardo l’Eucaristia e la statua di Maria.