MaM
Messaggio del 2 luglio 2005:Cari figli, come Madre gioisco con voi, perchè come Madre vi invito. Vi porto mio Figlio. Mio Figlio, vostro Dio. Purificate i vostri cuori, chinate la testa davanti al vostro unico Dio. Permettete che il mio Cuore materno esulti di gioia. Grazie.

I doni di Dio di Don Giuseppe Tomaselli

02/01/2006    3679     Vita Cristiana    Conversione  Don Giuseppe Tomaselli 
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PREFAZIONE

Quanto di bene si riscontra nelle creature, viene dal Creatore. A Dio dunque vada l'onore e la gloria. Purtroppo, ordinariamente, non si pensa a ciò. Il ricco dice: La ricchezza è mia; io ne sono padrone e ne faccio quello che più mi aggrada! -
Chi ha qualche attitudine, fisica od intellettuale, ne va orgoglioso e suole disprezzare chi ne è privo. Questo scritto si propone di far vedere quali siano i principali doni che Iddio fa all'umanità, di esortare al sentimento di gratitudine e di far meditare sulla responsabilità che ognuno ha davanti a Dio per i doni ricevuti. L'importanza del lavoro si può rilevare dalle parole di Gesù Cristo: A chi più è stato dato, più sarà domandato. -

IL MAESTRO DIVINO

La sapienza degli uomini è molto limitata. Il maestro insegna dalla cattedra, ma può sbagliare oppure esagerare nelle sue asserzioni.
Il Maestro Divino, Gesù Cristo, fonte di verità e di giustizia, non può errare ed è divinamente esatto. Egli, per inculcarci meglio le sublimi verità, si serve delle parabole e conviene spigolarne qualcuna che vada per il caso nostro, cioè che riguardi la responsabilità dei doni ricevuti da Dio.
Tutto ciò che l'uomo è e tutto ciò che egli ha, sia nell'ordine della natura come in quello della Grazia, tutto è dono gratuito del Padre Celeste. Il Divin Maestro nei suoi insegnamenti rivendica la fecondità inesauribile del suo Padre Celeste, donatore instancabile. Nella figura generosa e fiduciosa di un personaggio alla vigilia di un lungo viaggio, nasconde e rivela se stesso, insegnando che la vita è dovere e non divertimento; è conquista e non semplice ornamento per la vanità; è lavoro e fatica e non oziosità gaudente e passiva. Insegna inoltre che la vita si svolge nel tempo e sulla terra, ma deve tendere al Cielo ed aspirare all'eternità.
Ogni persona dunque deve custodire e difendere, illuminare ed accrescere, insomma apprezzare il dono della vita per quello che attende alle porte dell'eternità. Là si dovrà schiarire il mistero dell'esistenza di tutti e di ciascuno: o sarà fallimento completo e definitivo per chi è vissuto di terra e per la terra, o vittoria eterna per chi ha trafficato bene i talenti avuti da Dio.

IL PADRONE

Un ricco signore stava per partire per un paese lontano; aveva intenzione di assentarsi a lungo e per non lasciare i suoi dipendenti nell'inoperosità, li chiamò a sè e così loro parlò:
- Io vi affido i miei beni. Assegno a ciascuno parte della mia ricchezza. Non tutti riceverete la stessa somma, poichè non tutti avete la stessa capacità. Al mio ritorno mi darete conto, in proporzione di quanto avrete ricevuto. -
A chi diede cinque talenti, a chi due ed a chi uno.
Partito che fu, i servi si misero all'opera, nella speranza del guadagno.
Chi ebbe cinque talenti, pensando alla serietà degli ordini del padrone, consapevole della propria responsabilità, si diede a trafficarli. Col tempo riuscì a guadagnare altri cinque talenti.
Ed anche colui che ne aveva ricevuti due, pote con la buona volontà acquistarne altri due.
Colui invece che ebbe un solo talento, ragionò così: C'è pericolo che io lo perda. E' meglio nascondere il talento in una buca, sotto terra, e quando ritornerà il padrone, glielo consegnerò. Intanto vivo senza grattacapi e mi diverto. - Difatti andò a sotterrare il talento.
Dopo molto tempo il padrone ritornò e chiamò i servi alla resa dei conti. Coloro che avevano fatti dei guadagni erano lieti; il servo pigro era fortemente triste.
- Tu, disse il ricco signore, ricevesti da me cinque talenti. Che cosa ne hai fatto?
- Signore, ecco! Con la mia abilità ne ho acquistato altri cinque.
- Bene, servo buono e fedele! Meriti lode. Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità sul molto. Entra nella gioia del tuo padrone! -
Si presentò poi quello che ne aveva ricevuti due e disse: Signore, mi hai dato due talenti; ecco: ne ho guadagnato altri due. -
Gli rispose il padrone: Così va bene! Tu sei un buon servo e poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità sul molto. Come l'altro servo, entra nel gaudio del tuo padrone! -
Si presentò a sua volta colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, sapendo che tu sei un uomo severo, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, ho avuto paura ed ho nascosto il tuo talento sotto terra; eccoti quello che è tuo! -
Gli rispose il padrone irato: Servo iniquo ed infingardo! Io ti giudico dalle tue stesse parole. Tu sapevi che sono severo. E perché allora non hai messo il mio denaro alla banca? Al ritorno io l'avrei ritirato con l'interesse... Ed ora, voi servi, toglietegli il talento e datelo a chi ne ha dieci! - Signore, gli fecero osservare, ma quello ne ha già dieci!
- Non importa! Perché a chi ha, sarà dato e sarà, nell'abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere. Ed ora, gettate questo servo inutile nelle tenebre; ivi sarà pianto e stridor di denti. -

SIGNIFICATO

Il Padrone della parabola evangelica è Dio; i servitori siamo noi. I talenti Egli ce li ha affidati allorché ci ha creati. Ci ha messi sulla terra in prova, con il compito di trafficare i suoi doni.
Quali potrebbero essere questi doni? Il primo è quello della vita. Noi non esistevamo ed ora siamo nel grande quadro della creazione. E' dono di Dio il tempo, cioè la durata più o meno lunga della dimora sulla terra. Sono talenti i beni del corpo e dell'anima: la sanità, i cinque sensi, i beni di fortuna, l'intelligenza, le attitudini particolari, la libertà, la Redenzione, i Sacramenti, le divine ispirazioni... Quando avrà luogo la resa dei conti? Subito dopo la morte, appena l'anima starà per entrare nella vita eterna. Il Padrone allora non sarà misericordioso, ma severo, sarà cioè ammantato d'infinita giustizia e non si lascerà corrompere da forza umana; Egli darà a ciascuno ciò che gli spetta. Domanderà conto di tutto, anche di una semplice parola, secondo il detto evangelico: Di ogni parola oziosa che gli uomini avranno detta, mi daranno conto di essa nel giorno del giudizio! -
Se il padrone della parabola fu così duro con il servo che non aveva fatto fruttare il talento, quale severità non avrà Dio con coloro che si saranno serviti dei talenti per andare contro di Lui stesso, offendendolo e disprezzando i suoi comandamenti?

RICONOSCENZA

La gratitudine è un dovere di giustizia. Diciamo: «Grazie!» - a chi ci offre un bicchiere d'acqua, a chi ci indica una via, a chiunque ci faccia qualche favore. Lo stesso cane, seguendo il suo istinto, saltella attorno al padrone, quasi in segno di riconoscenza, per un tozzo di pane ricevuto.
E noi non abbiamo il sacrosanto dovere di essere grati a Dio per quello che siamo ed abbiamo?
Si dirà: Iddio non ha bisogno di nessuno. Quale importanza potrà dare ad un « grazie » di una misera creatura? - Non è così. Il Signore esige la riconoscenza e più grande è il dono che elargisce, più riconoscenza si aspetta. In conferma di ciò, meditiamo il seguente episodio, che racconta l'Evangelista S. Luca.
Dieci uomini, colpiti da lebbra, stavano lontani dall'abitato; per evitare il contagio del male, erano costretti a stare nella solitudine. Si accorsero che Gesù Cristo stava per entrare nel vicino villaggio. Pieni di fede nella sua potenza taumaturga, si diressero a Lui e, stando un po' lontano, gli gridarono: Gesù Maestro, abbi pietà di noi! - Poche parole, ma che dimostravano grande cordoglio e vivo desiderio di guarire. Gesù li mirò, ne ebbe compassione e disse: Andate; mostratevi ai Sacerdoti! - I dieci uomini si misero in cammino e all'istante la lebbra sparì. Avevano ricevuto il gran dono della perfetta sanità. In preda alla gioia, corsero al villaggio, desiderosi di farsi vedere guariti; non pensarono a ringraziare il Divin Maestro. Però uno dei dieci sentì il dovere della riconoscenza e tornò indietro. Si prostrò dinanzi a Gesù, ringraziandolo con le lacrime agli occhi: Grazie, o Signore, del dono che mi hai fatto! -
Gesù rimase contento e lodò il povero uomo; ma restò afflitto per l'ingratitudine degli altri. Esclamò allora in tono di rimprovero: Non ne ho guariti dieci? E gli altri nove dove sono? Soltanto uno, straniero, è venuto a ringraziare ed a dare gloria a Dio? -
Dalle parole di Gesù appare chiaro che Iddio vuole essere ringraziato dei doni che ci concede. Chi non è riconoscente, è un ingrato.

LODE A DIO

Per coltivare la riconoscenza a Dio, conviene essere convinti che tutto viene da Lui.
E' in errore chi dice: Quanto di bene c'è nel mio corpo, è dovuto ai genitori. Devo essere riconoscente a loro e non a Dio! -
Tutti i corpi umani vengono da Adamo e da Eva e questi nostri progenitori furono creati direttamente da Dio. Io sono nell'agiatezza. Ho tanti beni temporali. Ringrazio coloro che me li hanno fatto ereditare. Che cosa ha da fare il Signore con questi beni? - Errato questo ragionamento.
La ricchezza, di cui tu godi, è venuta da Dio. Le campagne dei tuoi antenati fruttavano; ma era il Signore che dava la fecondità ai semi e la pioggia ed il sole in tempo opportuno. Ogni fatica umana è nulla senza il concorso divino.
- Devo ringraziare me stesso dell'agiatezza in cui mi trovo. E' tutto frutto del mio lavoro e della mia intelligenza. -
E chi ti ha dato le membra per lavorare, la salute per resistere alla fatica e l'intelligenza per ben operare? Tutto ciò non è dono di Dio?
Si ringrazi dunque il Sommo Donatore ed ogni istante della vita sia un continuo atto di riconoscenza. Senza il divino aiuto non si potrebbe vivere neppure un istante. Che cosa sarebbe degli esseri viventi, se Iddio annullasse l'aria che si respira? Che cosa avverrebbe sulla terra se il Creatore estinguesse le energie solari? Che capiterebbe nell'universo se l'Onnipotente togliesse la legge di attrazione e di repulsione, che regola il movimento degli astri?
Lode dunque a Dio.

A CHI PIU' E' DATO

Un servo ricevette, in consegna cinque talenti; un altro ne ebbe soltanto due. Il primo avrebbe avuto diritto d'insuperbirsi o di disprezzare il secondo? Sarebbe stato uno stolto. Il merito era del padrone, il quale manifestava bontà e fiducia.
Chi ha ricevuto più doni da Dio, ha diritto di andarne orgoglioso e di disprezzare chi ne ha avuto di meno? Sarebbe grande stoltezza.
Coloro che riconoscono di avere più talenti degli altri, devono stare molto umili, per non togliere la gloria a Dio e provocarne la collera.
Il Signore è geloso della sua gloria e resiste fortemente ai superbi, secondo il detto scritturale: Iddio resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili. -
Ed allora, chi si riconoscesse ricco di favori divini, cosa dovrebbe fare?... Essere più umile degli altri, ringraziare più spesso Dio e vivere in coscienziosa trepidazione per il conto che dovrà dare all'Eterno Padrone: A chi più è stato dato, più sarà domandato. -

IL TEMPO

Tre donne sono sedute presso la soglia e chiacchierano. Ognuna racconta le proprie prodezze e si ride. Si entra nell'argomento dell'età.
La più giovane dice: Io rinunzio a divenire vecchia come voi due. Ad una certa età è meglio morire, perché c'è più da soffrire che da godere. Ho venticinque anni e per adesso voglio divertirmi!
- E tu, risponde la più vecchia, disprezzi me perché sono così avanzata negli anni.... “Io ne conto ottantacinque e spero di vivere almeno quanto mia madre, che morì a novantasei anni. Tu sei bambina davanti a me e sappi che è un onore giungere alla mia età. Io, quando penso che sono morti tanti conoscenti, nati venti o trent'anni dopo di me, mi sento ringiovanire! Più anni porto, più vanto ne faccio!
- Questo è ragionamento da vecchia! - Ed il tuo da ragazzina!... Ed ora smetti di parlare, perché non sai quello che dici!... -
Segue un po' di silenzio e poi si prende un altro argomento.
Merita compassione la donna giovane, perché crede che gli anni le siano stati dati per godere; pure è degna di compassione la vecchia, perché non medita sul conto che dovrà dare a Dio degli anni della vita. Ogni anno, ogni mese, anzi ogni ora di tempo, è dono di Dio, di cui bisogna rispondere.

ANCORA UN ANNO

Gesù narrò una parabola: Un uomo aveva un fico piantato nella sua vigna ed andò a cercarvi i frutti. L'albero era carico di foglie, ma senza fichi. Indispettito, disse al vignaiolo: Da tre anni vengo a cercare frutto da questa pianta e non ne trovo. Tagliala! A che sta ancora qui ad occupare il terreno? -
Ma l'altro gli rispose: Signore, lascia ancora quest'anno la pianta. Proverò a zapparla meglio ed a concimarla intorno. Speriamo che faccia frutto.
- Aspetterò, soggiunse il padrone, ancora un anno. Passato questo tempo, se non frutterà, taglierai il fico e sarà messo nel fuoco. -
- Così, concluse Gesù, farà il Padre mio Celeste, se non farete frutti di buone opere. -

UTILIZZARE IL TEMPO

Le parole di Gesù son degne di profonda meditazione. La vigna raffigura questa terra e le piante siamo noi! Iddio ci fa dono del tempo, perché desidera che s'impieghi bene e che frutti per la vita eterna. Guai a sprecarlo! Uno dei più grandi doni che il Signore possa fare è proprio il tempo ed Egli lo elargisce come meglio crede, secondo i suoi sapientissimi disegni: a chi concede pochi mesi di vita, a chi venti anni, a chi cinquanta ed a chi cento. Non apprezzare il tempo è da insipienti.
Allora si apprezza un bene quando si è perduto o sta per sfuggirci. Domandiamo ad un riccone o ad un re quanto pagherebbero, sul letto di morte, per avere un anno ovvero un giorno di vita!... Ma chi potrebbe comprare una semplice ora di tempo?
Dice il Signore nel libro dell'Ecclesiaste: Figlio, custodisci il tempo e non sprecare particella del grande - dono! -
Ma quale uso si fa del tempo? Un terzo della vita si dedica al sonno; è un bisogno naturale e quindi Iddio non domanderà conto del tempo impiegato nel giusto riposo.
Una parte notevole della vita è dedicata al lavoro, per il pane quotidiano. Anche questo tempo non sarà imputabile, anzi potrebbe essere fonte di merito, se si compie il lavoro con spirito di fede, come penitenza dei peccati e come atto di giustizia verso i propri cari ed il prossimo in genere.
E' tempo perduto per l'eternità, quello impiegato nel lavoro, allorché ci si affatica come le bestie, senza alzare la mente a Dio e senza un fine superiore.
Quanto tempo si spreca in inutili divertimenti! Lo svago necessario dà gloria a Dio; il troppo perdi-tempo è un'offesa alla Divinità, in quanto si fa andare a male un grande tesoro.
Eppure, quanti dicono: Faccio questo per ammazzare il tempo!... -
Tu, anima cristiana, vieni a conoscenza della morte di una persona amica. Che cosa pensi allora?... Perché non rientri in te stessa?... Pensa così: E' morta la tale persona; era più giovane di me. E perchè Iddio dà a me più anni di vita?... Perché non impiego bene il tempo che mi è concesso?... E se questo fosse l'ultimo anno che Iddio mi regala?...

APRITE GLI OCCHI!

Darà conto al Creatore chi non utilizza il tempo. E come si troveranno al tribunale divino coloro che impiegano il tempo a fare peccati? Servirsi di un dono per offendere il Donatore! Non si medita mai abbastanza il giudizio che dovrà sostenersi dopo la morte, a motivo del tempo impiegato male.
Due ore trascorrono nel cinema, a contemplare scene indecenti... Si protrae a lungo una conversazione scandalosa...
Ore intere volano in certe serate da ballo, custodendo poco o niente il cuore ed i sensi... Ore libere si dedicano a letture passionali... Un tempo notevole trascorre in grave mormorazione, in critica ed in burla del prossimo... Potrebbe dirsi a costoro: Aprite gli occhi!... Non vedete il grande pericolo in cui vivete, di dannarvi eternamente?... Credete che il Signore vi conceda il tempo per insultarlo, calpestando i suoi comandamenti?... State vigilanti, perchè il tempo vola ed ogni giorno che passa è un giorno di meno di vita che vi resta! Guai se il Padrone Eterno si stancasse di voi e non vi lasciasse neppure il tempo di rimettervi in grazia sua!

IN TRENO

Il treno era partito da Messina per giungere a Palermo. Era pericoloso viaggiare, perchè i bombardamenti bellici incalzavano.
In una vettura erano tre militari. Ognuno narrava i pericoli superati, augurandosi di vedere presto la fine della guerra.
Due militari avevano ottenuto il permesso di fare una visita alla famiglia. Il terzo era fuori di sè per la gioia. - Neppure, diceva, mi par vero! Sono stato in prigionia. I miei parenti neppure sanno che io sia vivo. Ci arriverò all'improvviso! Oh, che felicità nel riabbracciarli!
- E come hai fatto a scappare dalla prigionia?
- Mettendo in pericolo la vita!... Superata la cinta di sorveglianza ed oltrepassata la frontiera, dopo circa un mese di peripezie, finalmente arrivo a casa.
- E' lontano il tuo paese?
- Due stazioni prima di Palermo. - Il treno accelerava, in previsione di qualche mitragliamento. Oltrepassata la stazione di Cefalù, si sentii motore di un apparecchio e subito dopo il mitragliamento. Il treno intensificò la corsa, mentre i viaggiatori cercavano riparo. I tre militari si distesero, qua e là, sotto i sedili della vettura. Dopo alcuni minuti, cessò il fuoco.
- Finalmente! - esclamò uno, questi minuti mi son sembrati un'ora! - Si affacciò al finestrino per assicurarsi del passato pericolo.
Il secondo, rassicurato, si rizzò in piedi, dicendo: Non ci lasciano in pace neppure vicino casa nostra! - Il terzo era ancora rannicchiato sotto il sedile.
- Eh, sveglia!... Vieni fuori, che l'apparecchio si è allontanato!... Non aver paura! -
Ma l'altro non si dava per inteso.
- Stiamo per arrivare al tuo paese!... Vieni qua al finestrino! - Poiché indugiava, i due militari gli si avvicinarono e lo tirarono per una gamba. Quale meraviglia!... Il soldato era morto!... Un proiettile gli aveva forato la schiena ed il petto. Era proprio colui che ritornava dalla prigionia e stava per giungere al paese natio.
I due giovani scoppiarono in pianto.- E' morto!... Poveretto!... Vicino casa sua!... Avrebbe potuto capitare anche a noi la sua sorte!... -
Ci domandiamo: Perché un giovane morì e gli altri due restarono in vita? - Chi conosce i fini di Dio? Gli anni che la Provvidenza aveva assegnati al militare, erano compiuti. Aveva superato tanti pericoli, ma giunta l'ultima ora, non poté liberarsi dalla morte.
Quante volte si ripete, sotto diversi aspetti, la scena! La vita umana è insidiata di continuo e, quando meno si aspetta, giunge l'ultima ora.

L'OSPIZIO DEI CIECHI

L'edificio dell'Ospizio è maestoso. Una villetta rende gaio l'ingresso al personale di servizio ed ai visitatori. Ai poveri ricoverati la villetta dice poco o niente: sono ciechi.
Due giovani, dagli occhiali oscuri, stanno in conversazione con un visitatore.
- Voi due, da molto tempo siete in questo ospizio?
- Da parecchi anni.
- Siete stati sempre ciechi? - Sin dalla nascita.
- Chi sa come desideriate di vedere il sole, le persone care, i fiori!...
- Dato che non è possibile, ci rassegniamo.
- E che svago avete in questo ambiente?
- Prendiamo un po' di aria nel cortile, ci svaghiamo con qualche chiacchiera e poi... suoniamo. La musica è la nostra grande soddisfazione.
- Quale strumento suonate? - Tutti e due il violino.
- Ma dite, come immaginate voi che sia il mondo?
- Non sapremmo dirlo.
- Ed i bei colori del creato, dei fiori, come li immaginate?
- Quando io sento parlare del verde, penso alla nota «mi» del violino.
- Poveretti!... Contentatevi di ciò che potete conoscere... -
Intanto scende dello scalone una squadra di ciechi e si avvia al cortile. E' l'ora della ricreazione. Non ci sono schiamazzi; si formano vari gruppi di amici ed ognuno passeggia e chiacchiera. Il visitatore segue con lo sguardo tre ciechi che passeggiano e pensa che abbiano a battere contro il vicino muro; ma non è così. Un passo prima di giungere alla parete, ecco tornare indietro serenamente. E' la pratica che li guida. - Voi siete nato cieco?
- No! Sino ai venti anni avevo una vista eccellente. Sono accecato per un infortunio nel lavoro; e ci soffro più dei ciechi nati, perché io posso valutare quale ricchezza sia la vista. Ringraziate Dio che - voi ci vedete!... - Dopo uno sguardo rapido ai vari ambienti, il visitatore esce dall'ospizio con un po' di amarezza nell'anima e spontaneamente esclama: - Fortunato me, che non sono cieco! -

USO DEGLI OCCHI

La vista! Quale dono di Dio! L'uomo per mezzo degli occhi si mette a contatto col mondo esterno, può evitare i pericoli, può sovvenire a tante necessità personali ed essere di aiuto agli altri. Privo della vista l'uomo è mezzo morto.
Come non ringraziare Iddio della vista di cui godiamo?... Pensiamo però che gli occhi ci sono stati donati dalla natura per volontà del Creatore e che sono un prezioso talento, di cui dovremo rispondere.
E che uso si fa comunemente degli occhi? Sogliono essere strumento di peccato!...
Dice Gesù Cristo: Chi guarda una persona con fine cattivo, ha già peccato nel suo cuore. - Quanti sguardi liberi lungo le vie, nei passeggi! Quante sconcezze si guardano al televisore!
E' lecito guardare ciò che Dio permette; ognuno stia vigilante, perchè lo sguardo, volendo, facilmente si può volgere altrove, oppure si possono abbassare le palpebre e non guardare affatto.
Pio lettore, non dimenticare che gli occhi sono le finestre per cui puoi fare entrare o il bene o il male, o l'Angelo o il demonio.
Oggi tu dici: Meno male che ho la vista! - Forse al tribunale di Dio, nel giorno del rendiconto finale, sarai costretto a dire: Sarebbe stato meglio se io fossi nato cieco! Non avrei commessi tanti peccati di pensiero e di opere! -
E' bene maggiore essere ciechi, anziché avere gli occhi ed abusarne profanandoli.
Lo sguardo cattivo dà la morte all'anima.

CENTO MILA LIRE

Un proprietario, ad Àdrano, desiderava vendere il frutto del suo giardino. Un mediatore si presentò, nella speranza di avere una buona percentuale: M'interesserò io a trovare il compratore del vostro raccolto. - Quando sarà firmato il contratto di compra, rispose il padrone, avrete cento mila lire. - Dopo qualche settimana di brighe, il mediatore ritornò lieto: Ho trovato il compratore; vi darà due milioni. - Durante la conversazione, per un'osservazione avuta, il mediatore pronunziò una bestemmia contro il Signore. - Basta, gridò il padrone, uscite da casa mia! Qui non si bestemmia! Non voglio aver da fare con voi! - Scusate; la bestemmia mi é sfuggita!
- Ho detto basta! Uscite! -
Il bestemmiatore tentò di calmare il proprietario, ma non ci riuscì. Con le lacrime agli occhi rifece la scala, ripetendo: Per una bestemmia ho perduto cento mila lire!... Cento mila!... -
Dopo due giorni il raccolto delle arance fu venduto ad un prezzo maggiore. Infelice bestemmiatore! Hai pianto per aver perduto una somma di denaro! Avresti dovuto piangere per ben altro! Iddio ti ha dato la lingua per lodarlo e tu te ne sei servito per bestemmiarlo! Sarebbe stato meglio per te essere nato senza loquela! Non avresti tanta responsabilità al cospetto del Sommo Dio!

L'AMORE PERDUTO

Il giovanotto era stato preso dalle ottime qualità della signorina e riuscì a fidanzarla; i sentimenti però erano diversi: lui era irreligioso e la donna reli giosa, anzi militante nelle file dell'Azione Cattolica. Il giovane comprese subito che non sarebbe riuscito a sposarla, se si fosse manifestato tale quale era. Stava quindi bene attento a parlare in casa della fidanzata.
Giunse il giorno delle nozze. Parenti ed amici accompagnarono la coppia al Tempio. Mentre si stava per entrare nella Casa di Dio, e precisamente nella Cattedrale di Trapani, il fidanzato, per essere inciampato nel fare la piccola gradinata, pronunziò un'orribile bestemmia contro Dio. La fidanzata inorridì e tacque; l'improvviso pallore del volto fece capire come fosse rimasto ferito il suo cuore.
S'iniziò il sacro rito. Allorché il Sacerdote disse: « Signorina,... volete voi prendere il signor... per vostro legittimo sposo...?, la giovane rispose a voce alta: No, non lo voglio! - Il Sacerdote, sorpreso, chiese spiegazione: E perché non lo volete? - Non starò giammai con un uomo, che bestemmia contro Dio. -
Il giovane con le lacrime domandò perdono alla signorina. - Non lo farò più! - Ed io non ti voglio per sposo. - I parenti si provarono a calmare la giovane, ma trovandola risoluta, fu giocoforza interrompere il rito. Restarono male tutti, ma specialmente il fidanzato, il quale umiliato e deluso, diceva piangendo: Ho perduto il tesoro del mio cuore!... Ho perduto il vero amore!... Maledetta bestemmia!... -
Misero giovane! Avresti dovuto lacrimare per l'offesa recata al Creatore e non per aver perduto una creatura!... Non sapesti trafficare il talento della lingua ed il Signore ti colpì nel cuore, togliendoti l'ogetto del tuo amore.

PER OGNI PAROLA OZIOSA...

Quanti muti, di ambo i sessi, ci sono nel mondo! Basta visitare certi ricoveri di sordo-muti! Sono infelici costoro? Davanti al mondo si! Sono però più infelici coloro che, avendo il dono della favella, se ne servono male. Bestemmie, bugie, giuramenti falsi, imprecazioni, ingiurie, parolacce, discorsi immorali, cattivi consigli, calunnie e detrazioni... quanti peccati si commettono con la lingua!
Un operaio si presentò al suo Arcivescovo, a Parigi, per chiedere denaro; manifestò i suoi bisogni ed ebbe una discreta offerta. Avrebbe dovuto essere grato. Invece andò a comprare, con il denaro ricevuto, una pistola e quando l'Arcivescovo faceva il suo ingresso solenne in Cattedrale, gli sparò contro. Davanti al tribunale poi dichiarò: Ho avuto il piacere di sparare contro di lui, servendomi del suo stesso denaro! -
Mostruosità umana!... Ma è più mostruoso colui che, avendo il dono della loquela, adopera la lingua per imprecare contro il Creatore, seminando lo scandalo con i cattivi discorsi e spingendo gli altri al male.
Quale uso fare dunque della lingua? Lodare Iddio e fare del bene al prossimo. L'Eterno Giudice chiederà conto anche di una semplice parola oziosa.

UN MOMENTO DI PIACERE

Siamo in Ismaelia. I pochi casolari, qua e là sparsi, in certi periodi dell'anno sono soggetti a delle visite poco gradite. Qualche volta è lo sciacallo che va in giro, altra volta è la iena. Ormai si conosce la voce di queste bestie ed al primo allarme i casolari sono serrati.
Verso il tramonto compare una iena, la quale, trovando tutte le porte chiuse, si avventa con rabbia contro un uscio, quasi per abbatterlo. Gli unghioni penetrano nel legno e vi lasciano le impronte di piccolo scalpello. Il padrone della casa ha già pensato come sbarazzarsi della fiera. Ha una buona porzione di carne; vi mette nel mezzo una discreta dose di stricnina e corre sul terrazzino.
La iena è inferocita per la fame ed appena vede cadere dall'alto quel buon boccone, l'avventa e lo divora. Non è sazia, ma per il momento si quieta.
Intanto l'uomo guarda, sorridendo, ed attende a braccia conserte la prossima fine della bestia.
La iena si allontana lentamente, si sofferma, riprende il cammino... All'improvviso cade e si contorce; si alza, ma non può camminare. L'azione del veleno è potente. La fiera smaniosa si sdraia sopra un grosso sasso e, sentendo il bruciore alle visceri, strofina fortemente il ventre sopra una sporgenza della pietra stessa; l'agonia si protrae per circa venti minuti tra gli urli ed i gemiti.
Nel frattempo vengono parecchi uomini ed assistono alla scena. Il sangue della fiera imporpora il sasso. Assicurati che la iena sia morta, alcuni dei presenti vogliono prendersi il gusto di darle un calcio; uno afferra la coda e trascina la bestia in casa.
Quale non è intanto la sorpresa! Il petto ed il ventre della iena sono aperti, come se una grossa lama vi fosse passata sopra; è stato l'effetto del ripetuto sfregamento sulla sporgenza del sasso.
Un tale esclama: Meglio cosi! Sarà più facile togliere la pelle. -
Povera iena! Sentivi i latrati della fame, credevi di saziarti con quella carne, hai avuto pochi istanti di soddisfazione e poi la morte atroce!
Come bestia, meriti compatimento. Ma quanti, uomini e donne, imitano la tua condotta, pur avendo la ragione! Il corpo vuole godere. Pochi momenti di piacere sono seguiti da grandi pene. Guai a dare al corpo qualunque piacere!

CHI SEMINA VENTO...

La vista, l'udito, la favella... sono doni di Dio; ma il dono maggiore è il corpo stesso, con tutte le sue membra. Il corpo è strumento dell'anima e deve servire ad operare il bene; è Tempio dello Spirito Santo, reso sacro dalle Acque Battesimali e dal Crisma della Cresima; è ricettacolo di Gesù Sacramentato, sotto le Specie Eucaristiche; dovrà risorgere alla fine del mondo, per riunirsi eternamente all'anima.
Ma il corpo umano è rispettato come si deve? Quante profanazioni! Disse Iddio al tempo di Noè, quando vi era grande corruzione: Mi pento di aver creato l'uomo! -
E per quanti potrebbe il Signore dire anche oggi: Mi pento di avervi donato il corpo! Invece di rispettarlo come un vaso sacro, lo deturpate con il vizio... -
Quella iena pagò con gli spasimi e con la morte la soddisfazione di un po' di carne; le creature umane, che non sanno resistere alle passioni, pagano momentanei piaceri con rimorsi, con lunghe e penose malattie, con la perdita dell'onore e con la stessa morte!... Basta visitare certe corsie di ospedali, ove giacciono le vittime del vizio, certi reparti di manicomi e le stesse galere!...
Tu, anima cristiana, non vorrai fare la fine di tanti infelici! Frena sempre il tuo corpo e vivi in grande purezza. Dopo la morte, quando le tue membra saranno cadavere, tu vedrai il Creatore. Che cosa risponderai al divino giudizio, alla domanda: Dammi conto del corpo che ti ho affidato! -? Oggi forse, per attutire i rimorsi, dici a te stessa: Del resto non sono sola a fare questo male! - Davanti a Dio tale scusa non vale. Il Sommo Padrone ti darà ciò che avrai meritato. Chi semina vento, raccoglie tempesta. Chi vive nella corruzione, chi si dà alla vita animale, non potrà vivere un giorno in Cielo nella purezza degli Angeli.

DEGRADAZIONE

Il palazzo imperiale era in festa. Era l'ora del ricevimento degli alti personaggi e Napoleone si disponeva ad entrare nella grande sala.
Intanto il figlioletto, Napoleone II, stava presso una finestra e guardava fuori, attraverso i vetri. Il suo volto era malinconico.
Napoleone lo accarezzo e gli chiese: Che cosa hai? -
Il bambino non rispose.
- Ma dimmi, perché sei triste?... Che cosa desideri?
- Vorrei andare a giocare con quei ragazzi, laggiù! Vorrei divertirmi come loro! -
L'Imperatore contemplò la scena che si svolgeva sulla via. Alcuni monelli, scalzi, camminavano sulla pozzanghera e di tanto in tanto lanciavano manate di fango.
- E tu, continuò il padre, vorresti essere come uno di quelli? Non ti basta la ricchezza e lo splendore di questo palazzo? - Voglio andare a giocare laggiù!... - Napoleone lasciò il figliuolo e si avviò nella sala dei ricevimenti, dicendo tra se: - Che stranezza, che stranezza!... - Quanti imitano il figlio di Napoleone! Potrebbero usufruire dei tesori inerenti alla pratica della purezza, restare all'altezza della dignità dei figli di Dio, ed invece preferiscono tuffarsi nel fango della disonestà.
Il figliuol prodigo era ricco nella casa di suo padre, comandava ai servi ed era onorato. Ma quando si mise sulla cattiva strada, divenne povero, lacero, abbietto e fu costretto a fare il guardiano dei porci; il suo cibo erano le ghiande che gli animali immondi lasciavano. La stessa fine è riservata a chi non frena le passioni e si lascia trascinare dalle perverse voglie del corpo.

MANCANZA DI FRENO

Il treno Trapani-Palermo era per giungere alla capitale. Disgraziatamente alla stazione precedente il macchinista non si assicurò se i freni funzionassero. Quando, in prossimità della stazione centrale, si tentò di far funzionare i freni, essendo inutile ogni rimedio, si diede il segno d'allarme. I passeggeri spaventati tentarono di scendere mentre la macchina era in moto. Giunto il treno sotto l'ampia tettoia della stazione, il macchinista spiccò un salto, altri imitarono il suo esempio e la macchina, uscita dal binario, superò il marciapiede ed entrò nell'ufficio-tesori. Alla seconda parete il treno si fermò. Le vittime furono inevitabili.
Il primo ad essere arrestato fu il macchinista, perché responsabile di tutto; avrebbe dovuto essere più vigilante. Il corpo umano alle volte è più terribile d'un treno in corsa. Guai a non adoperare il freno! Il Creatore ha dato ad ognuno un freno potente, che nessuna forza umana può rompere: é la volontà. Chiunque mette in efficienza questo freno, riesce a tenere soggetto il corpo; chi non vuole servirsene, sarà trascinato dalle voglie del corpo nell'abisso della colpa e poi nell'abisso infernale!

LA RICCHEZZA

Tra i doni di Dio sono da annoverarsi anche le ricchezze. Chi nasce in famiglia molto agiata e chi riesce ad arricchire. I beni, ereditati o acquisiti, vengono dalla Provvidenza e quindi da Dio.
E' un bene o un male essere ricchi? Di per sé la ricchezza non sarebbe cattiva. E perché allora Gesù Cristo dice: Guai ai ricchi! E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, anziché un ricco entrare in Paradiso! -? Per il cattivo uso della ricchezza. Non pensano d'ordinario i ricchi che i loro beni sono talenti ricevuti da Dio e che dovranno darne conto.

IO NON LA PENSO COSI'!

Nell'immediato dopo-guerra si pensò di venire in aiuto ai ragazzi poveri ed abbandonati. I Sacerdoti, specialmente appartenenti ad Ordini Religiosi, si misero a capo di questo movimento umanitario. Lo scrivente fu indirizzato ad un ricco signore.
Il palazzo era sontuoso; le scale, le sale e le pareti erano arricchite di fini lavori. Il padrone era vecchio. Gli proposi l'opera di bene; per risposta ebbi un « Oh! » di sorpresa.
- E lei viene qui per domandare offerte per i bisognosi?
- Ed a chi dovrei rivolgermi, se non ai ricchi?
- Lei non avrà niente da me!
- Ringrazio lo stesso. Pero la carità non si fa a me, ma ai bisognosi.
- Ho tante spese da sostenere!
- Comprendo. Pensi però che la carità attira la benedizione di Dio, fa scontare i peccati, apporta gioia all'anima e dispone ad un misericordioso giudizio di Dio. E' Gesù Cristo, che comanda la carità.
- Io non la penso così! Del mio denaro dispongo a mio piacimento... Se non ha altro da dirmi, prego lasciarmi in pace! -
Così si chiuse la visita al ricco signore. Povero e miserabile uomo!... A quest'ora probabilmente sarai morto, data la tua età. E come ti sarai trovato al tribunale di Dio? Avrai avuto la sorte del ricco epulone. Morendo, a chi saranno andati i beni che chiamavi tuoi? Agli eredi, i quali forse avranno sospirato il giorno della tua morte, per usufruire di tutto. Ti saranno grati? Pregheranno per te? Vorrei sperarlo Ma forse non sarà così!... Quanto avresti fatto meglio a compiere un po' di carità!

PARABOLA

Dice Gesù Cristo: C'era un uomo ricco, il quale vestiva di porpora e tutti i giorni dava grandi banchetti. C'era anche un mendico, di nome Lazzaro, il quale pieno di piaghe giaceva alla porta di lui, bramoso di sfamarsi con le briciole che cadevano dalla tavola del ricco; ma nessuno gliene dava; soltanto i cani andavano a leccargli le piaghe. Il povero mori e fu portato dagli Angeli in seno ad Abramo; morì anche il ricco e fu sepolto nell'inferno. Alzando questi gli occhi, mentre era nei tormenti, vide da lungi Abramo e Lazzaro sul suo seno. Allora ad alta voce esclamò: Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del dito per rinfrescare la mia lingua, perché io spasimo in questa fiamma! -
Ma Abramo gli rispose: Ricordati che tu ricevesti parte dei beni durante la vita, mentre Lazzaro ebbe nel medesimo tempo la sua parte di mali; perciò egli ora è consolato e tu sei tormentato. Oltre a ciò, una grande voragine è posta tra noi e voi. -
Quegli replicò: Io ti prego adunque che tu lo mandi in casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, per avvertirli di queste cose, affinché non cadano anch'essi in questo luogo di tormento. -
Abramo rispose: Hanno Mosè ed i Profeti; ascoltino quelli. -
E l'altro replicò: No, padre Abramo; se un morto andrà a loro, faranno penitenza. -
Ma Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non crederanno neppure ad un morto risuscitato. - Fin qui il Vangelo.
Questa parabola del Cristo dovrebbe essere meditata dai ricchi; ma purtroppo non lo fanno. Se ne pentiranno un giorno, quando non potranno più rimediarvi.
Si rifletta che il ricco epulone andò nel fuoco eterno, non per aver bestemmiato, o commesso omicidio o disonestà, ma unicamente per non aver fatta carità, cioè per non aver reso partecipi della sua ricchezza i bisognosi. E quanti ricchi avranno la stessa sorte!
Ma è un obbligo fare la carità? Certamente! Si legge nella Sacra Scrittura: Non frodare la carità al bisognoso che la chiede. -
Frodare significa non dare ciò che si deve dare. I bisognosi hanno il diritto di essere aiutati e chi, potendo, non aiuta, manca all'obbligo della carità.
Gesù dice: Fate elemosina... Quanto avete in più, datelo ai poverelli... Fatevi dei tesori per il Cielo!...

LE DUE SCHIERE

Il Giudizio Universale sarà terribile. La Chiesa lo chiama «Giorno d'ira, di sventura e di miseria; giorno grande ed amaro assai ». Ma questo terrore da che cosa proverrà? Forse dallo sconquasso del creato: mare in tempesta, terremoti, cozzo degli astri?... Si, anche questo concorrerà allo sgomento. Ma il vero e massimo terrore sarà apportato dal Giudice Supremo, il quale verrà sulle nubi del cielo, in grande maestà e gloria, per giudicare l'umana generazione.
E su che cosa si aggirerà il giudizio finale? Forse sulla purezza dei costumi, sulla preghiera, sulla pazienza?... No; il giudizio sarà sulla pratica della carità. Ecco il Vangelo:
Quando il Figlio dell'Uomo verrà nella sua gloria con tutti gli Angeli, allora siederà sul trono della sua maestà. Tutte le genti saranno radunate davanti a Lui ed Egli separerà le pecore dai capretti, (cioè i buoni dai cattivi). Allora il Re dirà a quanti saranno alla sua destra: Venite, o benedetti del Padre mio; possedete il regno che vi è stato preparato sin dalla costituzione del mondo, perché io ebbi fame e voi mi deste da mangiare, ebbi sete e voi mi deste da bere, fui pellegrino e voi mi accoglieste, fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e mi veniste a trovare.
Allora i giusti gli domanderanno: Signore, ma quando ti abbiamo visto aver fame e ti abbiamo dato da mangiare, aver sete e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo veduto pellegrino e ti abbiamo accolto, o ignudo e ti abbiamo rivestito? Quando mai ti abbiamo veduto infermo o in prigione e siam venuti a trovarti? Ed il Re risponderà loro: In verità vi dico, che tutte le volte che avete fatto qualche cosa ad uno di questi minimi tra i miei fratelli, l'avete fatta a me.
Allora dirà a quelli di sinistra: Andate via, maledetti, nel fuoco eterno, che è stato preparato per Satana e per i suoi seguaci, perchè io ebbi fame e voi non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, fui pellegrino e non mi accoglieste, ero ignudo e non mi rivestiste, ero infermo ed in prigione e non mi veniste a trovare. Allora anche costoro domanderanno: Signore, quando ti abbiamo veduto aver fame o sete, essere pellegrino od ignudo, o infermo o in prigione e non ti abbiamo assistito? Ed Egli risponderà loro: Io vi dico in verità che tutte le volte che non l'avete fatto ad uno di questi minimi tra i miei fratelli, non l'avete fatto a me. E costoro andranno all'eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna. -
Chi potrebbe restare indifferente davanti a quest'insegnamento del Divin Maestro? La lezione è data a tutti, ma specialmente ai ricchi.

MENO SPRECO

Possibile che vada facilmente in Paradiso colui che fa carità? E se non praticasse bene gli altri comandamenti di Dio?
La carità attira tanta benedizione dal Cielo, per cui il Signore dà a chi la pratica tanta grazia spirituale da far rimettere il peccatore nell'amicizia sua, almeno prima di morire.
L'obbligo della carità è fatto a tutti, nei limiti della propria possibilità. Chi può dare molto, sia generoso; chi può dare poco, dia poco.
I ricchi non sono molti, ma i benestanti si. Costoro non dimentichino i bisognosi.
Anima cristiana, se tu stai agiatamente in famiglia, pensi a trafficare il talento ricevuto da Dio, facendo carità? Non vorrai essere di coloro che si annoiano quando un poverello si presenta a chiedere! Un rifiuto che fai al bisognoso, lo fai a Gesù Cristo, al tuo tremendo Giudice! Pensaci bene!
Tu mi dirai: - Non sempre si può dare ai poverelli! Ci sono tante spese in famiglia! - Non sempre è vera questa affermazione. Chi ha ricevuto il talento, deve vigilare per non sprecarlo. E non è vero che con un poco di economia e di sacrificio si può trovare modo di fare molta carità? E perché tanti abiti, mentre c'è chi non ha di che ricoprirsi? E perché tante spese per il lusso, mentre c'è chi manca di pane o di medicine? E perché tante spese superflue per divertimenti e capricci? Se tu mettessi da parte in apposito salvadanaio il denaro che consumi in cose non necessarie, vedresti quanta carità saresti in grado di fare! Santa Teresina faceva così da piccola e Gesù le fece raggiungere le alte cime della santità. Dunque, meno spreco di denaro e più carità!

LA PICCOLA BISOGNOSA

La ragazzina, sui nove anni, desiderava una veste nuova. Dopo insistenze, la mamma cercò di accontentarla. - Non avresti proprio bisogno di questa veste; tuttavia, invece di farla tra un po' di mesi, la facciamo adesso. Tu intanto procura di essere ubbidiente e buona in tutto. -
La madre e la figlioletta uscirono di casa per andare al negozio. In una traversa s'imbatterono in una bambina sui sette anni, scalza, ricoperta di poveri cenci e pallida in volto.
La signora disse alla figliuola: Chiama quella poverina, che debbo dirle qualche cosa. -
Così le parlò: Non hai tu una veste decente?
- Il papà non può comprarmela, perché non lavora; appena appena compriamo il pane.
- Allora vieni con me. -
Entrarono nel negozio; fu preso un taglio di stoffa e subito dopo si andò in sartoria.
- Prendete le misure a questa bambina; ecco la stoffa.
- E' vostra figlia?
- No, è una bisognosa. -
Giunte a casa, la figliuola disse piangendo: Perché a quella hai comprata la veste ed a me no?
- Tu sei coperta bene; quella è più bisognosa di te. In seguito l'avrai anche tu. -
Cresciuta negli anni, mi diceva l'interessata: Allora ero piccola e piangevo perché non comprendevo il nobile gesto di mia mamma. Oggi non piangerei più; apprezzo tanto la carità, che seppe infondermi nell'animo mia madre! -

TALENTI SUPERIORI

Abbiamo finora considerato i doni puramente materiali, quali sono il corpo con i suoi sensi e le ricchezze. Ma il Signore ha dato ad ognuno altri talenti, cioè le facoltà dell'anima: la memoria, l'intelligenza e la volontà. Quanto più è nobile il dono, tanto più dev'esserne la responsabilità.
Ora cominciamo a considerare la memoria, cioè la facoltà di ricordare, per cui si rende presente alla mente ciò che è già passato. Anche gli animali hanno la memoria, ma questa è puramente sensitiva; le creature ragionevoli hanno invece la memoria sensitiva e quella intellettiva.
Non tutti hanno la stessa capacità di ricordare. Coloro che hanno avuto dal Signore una buona memoria, non attribuiscano a sé il merito. La memoria si potrebbe perdere in un attimo ed anche irreparabilmente.

PERCHE' CHIAMARMI PRETE?

In un manicomio della Sicilia è attualmente ricoverato un Sacerdote di mia conoscenza. Eravamo compagni d'infanzia, frequentavamo la stessa classe e divenimmo tutti e due Ministri del Signore. Dopo pochi anni di vita sacerdotale, trascorsi nel ministero della predicazione ed in opere di apostolato, il mio amico, in seguito a forte esaurimento nervoso dovuto a troppo studio, fu ricoverato nel manicomio, ove sta da circa trenta anni. Chi va a visitarlo, resta meravigliato a constatare come l'infelice abbia perduto completamente la memoria. Infatti la risposta è questa: Ma perché mi chiamate Prete? Io non sono stato mai Prete! -
Dunque, chi ha felice memoria non monti in superbia, ma la utilizzi in bene, finché Iddio gliela conserva.

FRENARE CERTI RICORDI

Potrebbe esserci abuso di memoria e quindi motivo di responsabilità? Di certo; è necessario vigilare affinché questo talento frutti soltanto in bene.
Per mezzo della memoria, come si è detto, il passato si rende presente. Se quello che si ricorda è un male, potrebbe divenire una spinta al peccato.
Ecco degli esempi. Con l'andare del tempo, sogliono dimenticarsi o attutirsi grandi dolori. In un momento di oziosità si presenta alla memoria una grave offesa, già passata in oblio. Se si dà libertà alla memoria, richiamando persone, parole e circostanze, entra il turbamento nell'anima, rivivono le impressioni e subito si può riaccendere in cuore il fuoco dell'odio, con pensieri di avversione, di vendetta o d'imprecazione. Si è avuta la disgrazia di una cattiva occasione di peccato. Dopo anni, in conseguenza di uno scritto che si rivede, di una fotografia che capita tra le mani, di un fulmineo ricordo, ecco farsi di nuovo presente là scena del male, con tutte le sue attrattive. Se non si tronca subito il brutto ricordo, se non si frena la memoria, pullulano in mente i cattivi pensieri, insorgono i perfidi desideri del mai e si risveglia la passione. Iddio potrebbe dire in simili circostanze - Ma perché, o anima, t’ho dato la memoria? Vuoi servirtene per offendermi?... Dimentica... pensa ad altro!... Invece di ricordare i torti ricevuti dagli altri, ricorda i torti che nel passato hai fatto a me! Domandamene perdono con tutto il cuore e tu perdona di cuore chi ti ha offeso!... Invece di ricordare, o mia creatura, quella persona scandalosa quell'ora di peccato... serviti della memoria che ti ho dato per ricordare la mia Passione! Pensa quanto ho dovuto soffrire a motivo dei tuoi peccati e serviti del ricordo del male operato per piangere le tue colpe!...

L'INTELLIGENZA

L'intelligenza è la facoltà di conoscere il vero; per mezzo di essa quindi si può comprendere, ragionare e dedurre dalle premesse la conclusione.
L'intelligenza è un dono che il Creatore ci ha fatto, a fine di tendere meglio a Lui, che è Verità per eccellenza. Come per la memoria, così per l'intelligenza c'è diversità di misura. Alcuni per comprendere una verità devono fare uno sforzo; altri l'afferrano subito e senza fatica. Alcuni hanno l'intelligenza spiccata in qualche ramo soltanto e sono, per così dire, unilaterali; altri invece sono profondamente versatili in diversi rami dello scibile.
E' il caso di andare pettoruti ed essere gonfi di se per l'eminente grado d'intelligenza? Sarebbe come fare un furto a Dio. Chi è più intelligente, pensi che dovrà dare al Creatore più conto degli altri.

ESEMPI

Visitavo un manicomio; mi accompagnava il vice Direttore. Quante miserie! Nel reparto furiosi risuonavano urli e bestemmie. Quanta tristezza a veder legati con la camicia di forza certi infelici! L'impressione più dolorosa io l'ebbi quando assistetti alla refezione.
Un uomo trentenne teneva in mano una scodella e mangiava come i bruti. Chiesi a chi mi guidava: Chi sarebbe costui?
- E' un ragioniere, da tempo ricoverato... Quel tale, silenzioso, che passeggia, è un Sacerdote. Quell'altro è un professore di lettere. Guardi quel signore, fiero nel volto! E' un Tenente Colonnello d'artiglieria, che crede di essere divenuto re. Quest'altro è un medico... -
Sentendo ciò, rientrai seriamente in me: Un giorno costoro ragionavano bene; la loro intelligenza era limpida e forse tra i colleghi di studio erano i più eminenti. Oggi invece sono pazzi!...
E chi potrebbe ardire d'insuperbirsi di un talento, che si potrebbe perdere da un momento all'altro? La natura umana è cosi debole!
A Marsala mi fu presentata dai parenti una signorina, affinché la benedicessi. La giovane era robusta e rubiconda. Dall'aspetto si sarebbe detta sanissima; ma l'improvviso ridere e lo sguardo irrequieto rivelarono il suo stato miserevole.
Chiesi ai parenti: E' stata sempre così la giovane?
- No; è impazzita due anni addietro. - E la causa? - Un sogno spaventoso. Sino alla sera precedente era tranquilla. Nella notte sognò cose terrificanti e l'indomani si alzò pazza! -
A voler riflettere sulla debolezza del sistema nervoso, ci sarebbe davvero da preoccuparsi. Che Iddio ci liberi da simili disgrazie!

IL GRANDE ABUSO

Quanto si è detto serva a mantenerci nell'umiltà, qualora avessimo un'intelligenza superiore. Intratteniamoci ora sulla responsabilità del talento dell'intelligenza. Quale uso si fa, d'ordinario, di questa nobile facoltà mentale? Osserviamo quello che si fa nel mondo e che è frutto d'intelligenza.
Taluni, avendo un buon corredo di istruzione ed anche capacità di scrivere, si danno alla pubblicazione di romanzi o di riviste. Non è il bene del prossimo che li sprona al lavoro, bensì l'interesse personale, che ordinariamente è il denaro. Conoscendo i pubblicisti che facilmente vengono letti gli scritti che accarezzano le impure passioni, mettono su dei libri pornografici, seminando così la immoralità. Un libro cattivo in circolazione è come un demonio che va in giro per il mondo. Chi può misurare il male della cattiva lettura?
Allorché lo scrittore immorale si presenterà a Dio per rendere conto della sua vita, si sentirà dire: Servo iniquo! Io ti affidai il talento dell'intelligenza. Se tu non l'avessi trafficato per niente, se avessi nascosto il talento sotto terra, io ti avrei giudicato con un certo qual rigore. Ma poiché te ne sei servito per rovinare le anime, per spingerle al peccato, poiché mi hai rapito coloro che io avevo redento, quale rigore devo ora usare con te?... Va' a soffrire tanti inferni, quante anime mi hai rubato!... Se avessi io dato la tua intelligenza ad altra persona, quanto bene avrebbe fatto!... -
Certi scrittori, che hanno la penna di oro e la intingono nel fango, meditino il rendiconto finale e facciano marcia indietro.
La musica diletta. Iddio fa sorgere qua e là dei piccoli o grandi geni musicali. Alcuni si danno alla musica sacra, altri a quella profana, ma moralmente sana. Taluni invece impiegano il talento musicale per spingere le anime alla disonestà, al fango del vizio, con quelle armonie che dovrebbero sollevare gli animi al Creatore. Questi musici compositori che adoperano in male il talento ricevuto, come si troveranno un giorno davanti al sommo Dio?
La pittura e la scultura sono arti belle. Ma quando gli artisti riproducono immagini indecenti, di quanti sguardi e desideri cattivi sono causa?... Questo è l'uso dei talenti dell'arte?
Gli artisti della televisione e dei films, che impiegano la loro intelligenza nell'escogitare scene provocanti, pensano alla loro grande responsabilità?
L'inferno c'è; Gesù Cristo l'ha assicurato ripetutamente. Vi andranno inesorabilmente gli operatori del male. A coloro che abusano del talento avuto, dirà un giorno Gesù: Andate nel luogo dei tormenti, servi infedeli! A voi è riservato il pianto e lo stridore dei denti! -

SCELTA INFANTILE

La famiglia è raccolta in casa. Il padre approfitta delle poche ore di libertà che gli sono concesse, per trattenersi con i bambini. Si trastulla con loro e crede di non abbassarsi.
In un dato momento i suoi occhi cadono sopra un assegno bancario di cento mila lire; è posto casualmente sul tavolo.
- Enrichetto, dice al frugolino di quattro anni, vediamo se sai scegliere. Ecco qui due caramelle ed ecco un assegno! Scegli! -
Il bambino non ci pensa due volte: afferra le caramelle e sorride.
- Hai preferito le caramelle?... Vedi però che l'assegno vale di più. Sei ancora in tempo di scegliere. Che cosa vuoi?
- Le caramelle! - ripete Enrichetto. Il babbo sorride e dice tra sè: E' piccolo e non può apprezzare!... - Quanti, pur forniti di buona intelligenza, agiscono come questo bambino! Preferiscono un piacere terreno momentaneo al gaudio eterno del Paradiso; corrono dietro alle cose create e si dimenticano del Creatore; amano il diletto del corpo e disprezzano le gioie dello spirito. Costoro sono da paragonarsi ai bambini o ai pazzi? Gesù li paragona ai pazzi. Ecco l'insegnamento del Vangelo.

I VERI BENI

Ad un uomo ricco, dice Gesù, aveva fruttato bene la campagna ed egli andava ragionando così fra se stesso: Come farò che non ho dove riporre la mia raccolta?... Farò così: Demolirò i miei granai e ne fabbricherò dei più vasti e ci metterò tutti i miei prodotti ed i miei beni e dirò all'anima mia: Anima, tu hai messo da parte i beni per molti anni; riposati, mangia, bevi e godi - Ma udì una voce, quella di Dio: Pazzo, questa notte stessa tu morrai e ti sarà domandata l'anima tua. E quanto hai preparato di chi sarà?... -
Dunque, il Divin Maestro chiama pazzo, cioè senza intelletto, colui che preferisce i beni terreni ai veri beni, che sono quelli spirituali ed eterni.
Di questi pazzi ce n'è nel mondo? A più non dire! Dice la Sacra Scrittura: Il numero degli stolti è pressoché infinito. Iddio ci ha dato l'intelligenza per comprendere, per saper distinguere i veri beni. Chi non fa questo, rende inutile il talento avuto dal Creatore.
E quali sono, in particolare, i beni reali di cui bisogna arricchirsi? Lo dice Gesù: Fatevi delle borse che non si logorino, un tesoro che mai vien meno nel Cielo, dove il ladro non si accosta e la tignola non consuma! - I veri beni, dunque, sono quelli dell'anima. I beni materiali sono pure necessari, ma semplicemente come mezzi, non come ultima finalità.

LO SCEMO

Chi fa la breve strada che unisce Catania alla Barriera del Bosco, facilmente è colpito dalla vista di un infelice. Costui percorre la via, poco curandosi delle vetture, ed è intento a cercare qualche cosa. Scorgendo un pezzetto di carta, o un filo di paglia, o un piccolo legno, con avidità si abbassa per raccoglierlo e lo conserva. Quando ha fatto, secondo lui, un buono acquisto, depone tutto sopra un muricciolo od in un angolo, e ricomincia la ricerca. Non si cura più dei mucchietti che lascia.
La gente lo guarda e lo compiange: E' uno scemo! -
Non fanno forse così coloro che si mettono a capofitto nella ricerca dei beni terreni, senza darsi pensiero dell'anima?
Quell'infelice si affatica tanto a raccogliere pagliuzze e poi le abbandona; chi tesoreggia per questa vita soltanto, si affatica, si sobbarca a grandi sacrifici, logora la sua esistenza e poi, in un attimo, suona l'ora della morte e lascia tutto.
Che cosa resta ai più ricchi commercianti ed ai banchieri appena giunge la morte? Lasciano tutto e non vi pensano più. Proprio come lo scemo della Barriera!

I FIGLI DELLE TENEBRE

- I figli delle tenebre, dice Gesù Cristo, sono nel loro genere più prudenti dei figli della luce. - I figli delle tenebre sono quelli che tesoreggiano solo per questa vita. Costoro come sono intelligenti negli affari! Come sanno fare bene i loro calcoli! Se sbagliano una volta, non sbagliano tanto facilmente un'altra. Come sanno approfittare del tempo opportuno per fare un acquisto o una vendita! Come conoscono l'economia nei viaggi, nei trasporti, nei depositi!... La loro intelligenza è così affinata da poter fare da maestri nel loro campo. Ma Iddio a costoro ha dato l'intelligenza soltanto per gli affari temporali? Non c'è un altro affare, il più necessario ed impellente? Non dice Gesù: Una sola cosa è necessaria: salvarsi l'anima! -? I figli delle tenebre, così prudenti ed intelligenti negli affari materiali, non capiscono niente degli affari spirituali. Parlate loro di anima, di vita eterna, di Dio, di morte..., vi risponderanno: Son cose che non mi riguardano; non ho tempo da perdere con queste sciocchezze! - Intanto avranno da comparire al cospetto di Dio. E come risponderanno per giustificare la loro condotta?

UN CIECO

Parecchi lustri or sono, andai a visitare un cieco, ricoverato nello stabilimento degli invalidi, a Caltagirone. Era costui un vecchietto arzillo e lepido; aveva fatto parlare tanto di sè in Italia ed all'estero. Il cieco era Paolo Ciulla, grande falsificatore di biglietti di banca.
- Come trascorrete qui il tempo? - chiesi io.
- Nella noia! Sono cieco e non posso svagarmi. Mi sollevo l'animo, soltanto quando posso intrattenermi in seria conversazione. I ricoverati sono vecchi, poco istruiti e non c'è gusto a conversare con loro. - Se non vi riesce di peso, raccontatemi qualche episodio della vostra vita. - E' stata un romanzo la mia vita! Ero abile in nove professioni; aspiravo a divenire un esponente delle banche d'Italia e non potevo riuscirvi. Cominciai a falsificare la moneta italiana. Lavoravo nei pressi di Catania; di giorno lavoro, di sera un po' di aria in campagna. Il mio socio mi tradì e fui condotto al tribunale. Diversi direttori di banca assistevano alla disputa ed io facevo da imputato e da avvocato. I miei biglietti erano così perfetti, che i più competenti si ingannavano. Domandai metà condanna, rivelando i segreti della falsificazione e dello smercio. Mi fu accordata. Finito il tempo del carcere, pensai di andare all'estero, nella speranza di non essere conosciuto e così lasciato in pace. A New York cercai lavoro; non ne trovavo. Ad ogni stabilimento, la solita risposta: Non c'è lavoro! - Una sera sul giornale lessi l'avviso di ricerca di operai specializzati. L'indomani, di buon mattino, mi presentai e mi fu risposto: Non c'è lavoro! --... La questura aveva messo sull'attenti tutte le ditte, informandole del mio arrivo in America. Allora fui costretto a falsificare il dollaro. Avevo preparato sessanta mila lire, che allora erano una somma. Nei giorni della lavorazione, quando uscivo verso sera a respirare un po' d'aria pura, i poliziotti entravano per la finestra nella mia camera, al sesto piano, e verificavano il lavoro. Appena pronta la moneta e mèssala in tasca, mentr'ero in un viale, due poliziotti mi fermarono e mi tolsero il denaro. Fui condannato altri sei anni. Ritornato in Italia, lottando con la miseria, fui colpito anche dalla cecità, eretto dei molti acidi della lavorazione della moneta. Ecco in breve la mia storia. -
Una grande intelligenza, un intenso lavoro, che cosa fruttarono a Ciulla? Fatica, miseria, carcere e cecità! Così sarà davanti a Dio per coloro che impiegano in male il talento della loro intelligenza!

LA VOLONTA'

La volontà è la facoltà regina; per mezzo di essa si deve tendere al vero bene, che è Dio. Prerogativa della volontà è la libertà.
Essere liberi vuol dire potersi decidere ad una cosa o ad un'altra, appigliarsi al bene oppure al male. La libertà è necessaria, diversamente non si potrebbe meritare né il Paradiso né l'inferno. Iddio non violenta la libertà ad alcuno; dà la sua legge, dà i mezzi per osservarla,prospetta il premio ed il castigo e poi ascia che ognuno cooperi alla propria salvezza eterna. Se manca la cooperazione individuale, non ci si può salvare. Sant'Agostino dice: Chi ti ha creato senza il tuo concorso, non ti salverà senza il tuo concorso. - Come si vede, la volontà libera è un talento preziosissimo, ma pericoloso assai. Guai ad abusarne! Per fare il bene, per decidersi anche alla più piccola opera buona, è necessario l'atto della volontà; e poiché la natura umana è rimasta ferita dalla colpa originale, il fare il bene costa sacrificio. Intanto è necessario sforzarsi per reprimere le voglie della guasta natura ed agire conforme alla retta ragione. Dice Gesù Cristo: Il regno dei Cieli richiede violenza e soltanto i violenti lo rapiscono. -
Tutti, uomini e donne, rispettano il talento della libertà? Purtroppo no; il sacrificio ripugna e ci si lascia trascinare dal piacere. La volontà, se non agisce fortemente, è trascinata dalle passioni e presto o tardi diventerà schiava delle cattive voglie.
Quelli che dicono: Io sono libero e faccio quello che voglio! - meditino bene che dovranno rispondere a Dio di ogni atto umano che compiono.

RAFFORZARE LA VOLONTA'

La vista è fatta per la luce, l'udito per i suoni... la volontà per il bene. Chi opera il male, abusa del talento della volontà.
Gl'ignoranti, o meglio i malvagi, per scusare la loro cattiva condotta, sogliono dire: Se mi do in braccio alle passioni, la colpa non è mia; esse sono più forti di me! - Non è vero. La volontà umana ha tanta energia da superare, con la divina grazia, qualunque assalto del male. E' necessario però l'aiuto divino e questo si ottiene con la preghiera e con l'uso dei Sacramenti. Chi dice di non poter resistere alle forti tentazioni, ne ha sempre la colpa, perché non ha la volontà di appigliarsi con energia ai mezzi lasciati da Dio. Conosciuta la debolezza della volontà, si lavori per fortificarla e questo si ottiene compiendo con frequenza opere buone e fuggendo le cattive occasioni. II fuoco piega l'acciaio; l'occasione cattiva piega la volontà.

META DA RAGGIUNGERE

Il giovane studente si sottopone a tanti sacrifici: limita il sonno, si priva di certe passeggiate per andare a scuola, subisce dei rimproveri e delle correzioni, paga le tasse scolastiche... Ma perché, giovanotto, compi tanti sacrifici?... Per una promozione, che in seguito ti darà il pane.MIO C210
Parecchi giovani, levatisi per tempo da letto, camminano verso una meta. Comincia la salita. Gronda il sudore, si affanna il respiro, la sferza del sole spossa di più, un passo falso fa rotolare e sanguina il ginocchio... Ma perché, voi giovani, vi sobbarcate a tanta fatica?... Per aggiungere la vetta del monte, per godere d'un bel panorama, per mettere un articolo di gloria sul giornale!...
Naturalmente, chi compie dei sacrifici, ha uno scopo da raggiungere; per niente, si fa niente. Si tratta ora di raggiungere la gloria eterna, cioè il Paradiso. Quale premio maggiore?... Ebbene, per una ricompensa terrena, non si misurano i sacrifici, si fanno atti eroici di volontà; per una ricompensa eterna, per essere ammessi tra gli Angeli alla visione beatifica di Dio, non si vuole soffrire, non si è disposti a compiere forti atti di volontà.
Dirà un giorno il Creatore: Perchè negli interessi materiali avevi tanta forza di volontà? Non potevi averne almeno altrettanta per l'anima tua? -

L'ATLETA DI CRISTO

Il giovane era intelligente, buono e di bello aspetto. L'imperatore Diocleziano lo amava assai e lo mise a capo della prima coorte romana. I due animi però erano differenti: l'imperatore perseguitava fieramente i Cristiani, mentre il giovane era fervoroso seguace di Cristo.
L'ufficiale romano comprese la sua delicata situazione: Se Diocleziano conoscerà i miei sentimenti religiosi, il suo amore per me si cambierà in odio; o rinuncio al Cristo, e quindi al Paradiso, o metto in pericolo il mio nobile ufficio, la mia ricchezza e la mia stessa vita. Meglio perdere i beni terreni anziché gli eterni. Il Divin Maestro ha detto: Che cosa giova all'uomo guadagnare tutto il mondo, se perderà l'anima sua? Che cosa potrà dare in cambio di essa?... Chi ama la sua vita più di me, non è degno di me!... E' meglio andare al Paradiso con un occhio, con un braccio, con una gamba, anzichè all'inferno con due occhi, con due braccia o con due gambe. - Il giovane, di forte volontà, preferì dare la vita per il Re del Cielo, piuttosto che per l'imperatore sui campi di battaglia.
Allorché Diocleziano seppe che il suo prediletto ufficiale era seguace di Gesù Cristo, lo rimproverò aspramente; ricorse poi alle promesse e, non riuscendo, gli minacciò la vita.
La volontà del giovane era salda; rifiutò i doni e si disse pronto a morire. Fu legato ad un palo e quindi colpito da numerose frecce; si abbatté il corpo e fu creduto morto. Una pia signora segretamente rilevò l'ufficiale e lo curò a casa sua.
Il giovane, ristabilitosi, sfidando la morte, si presentò di nuovo all'imperatore, il quale impallidì a vedere vivo colui che credeva morto. Con coraggio sovrumano, l'ufficiale rinfacciò a Diocleziano i suoi misfatti, dicendosi pronto a morire per il Signore. Venne di nuovo legato e battuto con verghe, finché emise l'ultimo respiro. Il cadavere dopo fu gettato nella Cloaca Massima. L'atleta di Cristo è il Martire S. Sebastiano.

L'AMORE

Il cuore è simbolo dell'amore. Anche il cuore è un talento divino.
L'amore nel mondo è la maggiore delle leve. Ma perché Iddio ha dato il cuore alle sue creature? Qual è lo scopo principale di questo talento? La Sacra Scrittura lo dice espressamente: Il primo e massimo comandamento è: amare Dio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta l'anima. - Ma quanti amano Iddio in questo modo?
Vediamo ora quale sia l'amore voluto da Dio e quale sia condannabile. Quando l'amore è rivolto alle persone secondo l'ordine stabilito da Dio, allora é buono e degno di ricompensa eterna. Lo sposo ama la sposa; i genitori amano i flgli; questi amano i genitori. Nessuno potrebbe dire che quest'amore sia riprovato da Dio. Una donna coniugata palpita d'amore per un uomo, che non è il suo sposo; quest'amore è condannabile. Due persone, non legate dal matrimonio e senza intenzione di sposarsi, si amano svisceratamente; hanno gelosia che altri entri in quest'amore; il loro cuore è così legato, che per non dispiacersi sarebbero disposte a violare anche la legge di Dio; quest'amore non è buono e potrebbe trascinare al fango morale.
Chi si lascia trasportare smoderatamente dagli affetti sensibili, ha il tormento del cuore e non può godere la vera pace. Dice Sant'Agostino: Tu, o Signore, hai fatto il nostro cuore per te ed esso è inquieto finché in te non riposa. -
Le anime pie stiano attente a non cadere nella debolezza del cuore! Come potrebbero dire al mattino ed alla sera, pregando: Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore? Direbbero una bugia.
Nel rendiconto finale, quando Dio Giudice vedrà comparirsi le anime che hanno profanato il cuore, dirà: Che uso avete fatto del talento del cuore?... Non mi avete amato nel tempo, non mi amerete neppure nell'eternità! -

LA FIGLIOLANZA

Un uomo ed una donna si giurano fedeltà ai piedi dell'Altare; il Ministro di Dio benedice il loro matrimonio. Quale fine si propone Dio dalla convivenza dell'uomo e della donna? Popolare il Cielo di angioletti. Intanto non si vogliono fastidi nella vita; sposare, si; figliuoli, no!
Il Creatore vorrebbe regalare dei bambini alla nuova famiglia; ogni bambino, ogni anima che viene all'esistenza, è dono di Dio, è un prezioso talento.
I genitori si oppongono ai disegni del Sommo Creatore, ostacolano la vita e, se qualche fiore sboccia, lo sradicano. Questi infelici esseri, dopo la breve vita terrena, quale conto rigoroso non dovranno rendere? - Servi iniqui ed infedeli, dirà loro il Signore, cosi avete disprezzato i miei talenti? Andate nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti! - Altri genitori, pur ricevendo i doni di Dio, cioè i figliuoli, non sanno custodire i preziosi tesori; anche costoro daranno conto.
- Datemi conto, dirà il Divin Giudice, dei vostri figli!... Voi avete avuta tanta cura del loro corpo e del loro benessere materiale. Quale cura avete avuta dell'anima loro? Vi affidai preziosi talenti e non li avete custoditi. Perché non davate ai figli il buon esempio? Perché non v'interessavate della loro istruzione religiosa e della pratica della vita cristiana?... Avevo data la vocazione sacerdotale a quel vostro figlio e la vocazione religiosa alla figliuola. Perché avete ostacolato il cammino da me segnato? Vi avevo dato i talenti per i miei fini, non per i vostri capricci!... Vi tocca ora la sorte dei servi infedeli!... -
I genitori ci pensino bene alla loro grande responsabilità, se vogliono presentarsi a Dio con la coscienza serena.

QUATTRO CONDANNATI

A Verona, nel grande ospedale, si raccolgono le Suore in Cappella per ascoltare la Santa Messa. Un buon numero di ricoverati, uomini e donne, fa compagnia.
Entrano pure quattro uomini, dall'aspetto dignitoso e sereno. Alcune guardie passeggiano nell'atrio della Cappella e chiacchierano sommessamente. Al comparire dei quattro celebri personaggi, alcuni sollevano lo sguardo e mirano con occhio di compassione.
Chi sono costoro?... Quattro condannati a morte, i quali fra un paio di ore dovranno essere giustiziati. Nel numero c'è anche il generale De Bono e Costanzo Ciano. Vicende politiche hanno trascinato costoro alla sentenza di morte. Da alcuni mesi sono stati custoditi in un reparto dell'ospedale in attesa dell'ultima ora; questa è prossima a scoccare.
Il cappellano ha impartito loro la Sacramentale Assoluzione, li ha disposti al gran passo ed ora essi ascoltano l'ultima Messa e ricevono l'ultima Comunione, come Viatico.
Con quanta fede si comunicano! Con quale fervore pregano il Dio Sacramentato!... Il balsamo divino scende nei cuori a purificarli ed a rafforzarli.
Finita la funzione, i condannati vanno a consumare una piccola colazione. Ma chi ha voglia di mangiare? De Bono legge la mestizia sul volto dei colleghi.
- E che, esclama, volete rinunziare alla colazione? State allegri!... Abbiamo Gesù nel cuore!... Da buoni fratelli, mettiamoci a tavola. - Ritorna la serenità.
Intanto suona la campana della vicina Parrocchia.
- E' il suono dell'Angelus! - dice De Bono. Salutiamo la Madonna per l'ultima volta sulla terra. A mezzogiorno, al suono dell'altro Angelus, saluteremo la Vergine in Cielo! -
Tutti si alzano per dire la preghiera. Il generale intona l'Angelus in lingua latina; gli altri tre non sanno rispondere.
- Mi sembrate dei bambini! - continua De Bono! Non siete capaci di rispondere in latino! Finita la colazione, i condannati s'intrattengono in conversazione, finché giunto l'ordine, si avviano al luogo della sentenza.
Con la fortezza e la serenità, che soltanto può dare la fede, i quattro uomini vanno incontro alla morte, sicuri di non morire del tutto, perché prossimi ad entrare nella vita eterna. Cade il loro corpo sotto la mitraglia, ma il loro spirito va a Dio. O fede, come sei grande e preziosa!

SAPERE APPREZZARE

La fede è un dono di Dio; per mezzo di essa si crede pienamente a quanto Dio ha rivelato e si vive, su questa terra, in un'atmosfera di pace soprannaturale. Quanti milioni di creature non hanno avuto il dono della fede! Nell'Antico Testamento usufrui di questo dono il solo popolo ebreo, mentre gli altri popoli brancolavano nelle tenebre dell'errore. Il Cristo portò al mondo la Buona Novella ed ordinò agli Apostoli di portarla a tutte le genti: Predicate il Vangelo ad ogni creatura ed insegnate a praticare quanto ho insegnato a voi. - In venti secoli di Cristianesimo la luce del Vangelo non è penetrata in ogni angolo della terra. Quanti ignorano ancora la Redenzione compiuta dal Figlio di Dio e perciò vivono senza fede!
Noi siamo nati in paesi, ove la Religione Cattolica sussiste da secoli. E non è forse un dono di Dio essere nati in quel lembo di terra, ove risplende la luce del Vangelo? Ma tutti apprezzano il grande dono?
Nell'atto del Battesimo il Signore ha messo nel nostro cuore i germi delle virtù teologali ed il primo è quello della fede. Questo seme da non pochi è trascurato, da taluni anche disprezzato.
- A chi più è dato, più sarà domandato! -
Il Sommo Padrone farà un giorno i conti con i suoi servi. Agli infedeli, a quelli cioè che saran vissuti nelle foreste, nelle plaghe selvagge, ove non sarà penetrata la luce del Vangelo, a costoro sarà usata più misericordia. A chi sarà nato in paesi cattolici, a chi avrà ricevuto il Battesimo e sarà stato innestato al Corpo Mistico del Cristo, sarà domandato stretto conto.
- Quale frutto, dirà il Giudice, ha apportato la tua fede? Hai creduto a tutto ciò che ho rivelato? Sei vissuto in conformità alla tua fede, praticando i miei divini insegnamenti?... - Come si scuseranno coloro che non apprezzano oggi la fede?

IL RISPETTO UMANO

Milioni di Martiri hanno dato la vita per la loro fede; altri ferventi Cristiani l'hanno professata e la professano ancora a fronte alta, fieri di appartenere alla sequela di Gesù.
Tanti invece hanno la fede languida, quasi morta, e si vergognano di apparire religiosi, restando vittima del rispetto umano.
Che dire di quel soldato che si vergogna del suo re? Di quel figlio che si vergogna del proprio padre? Di quel Cristiano che ha paura di apparire tale? - Chi si vergognerà di me, dice Gesù, davanti agli uomini, io mi vergognerò di lui davanti al Padre mio ed ai suoi Angeli! -
Ma perché non praticare la fede? Per paura della critica altrui. - Chi sa che cosa diranno di me!... Forse rideranno alle mie spalle!... Mi diranno: Bigotto!... - Oh, povere animucce! Sono degne di compassione, come l'uomo dell'apologo.
Un contadino andava al mercato, in compagnia del figlio decenne. Volendo approfittare dell'asinello, disse al figlio: Monta tu sulla bestia, così non ti stancherai; la via è lunga. -
Cammin facendo, incontrarono un tale, il quale si sentì in dovere di dire: Ragazzo ineducato, non ti vergogni di andare a cavallo e di lasciare a piedi tuo padre? -
Il contadino, per non essere criticato, invitò il figlio a scendere dall'asino e vi montò lui. Da lì a poco, un altro viandante esclamò: Contadino ignorante! Lui, abituato alla fatica, a cavallo; il figlioletto, dalle membra tenere, a piedi! Per evitare la critica, il padre invitò il ragazzo a cavalcare. - Essendo a cavallo tutti e due, nessuno parlerà! -
Un terzo viandante si fece sentire: Povero asinello! Portare due sul dorso; arriverà sfinito a destinazione! - Il contadino, sempre per evitare la critica, disse al figlio: Andiamo a piedi tutti e due! Vedrai che nessuno più parlerà! -
Dopo breve tratto, si udi una clamorosa risata: Ma guarda un po' che scena! Hanno l'asino e vanno a piedi! - Il contadino indispettito disse: Ma come dovrei fare per accontentare la gente? Ho tentato ogni mezzo e non ci sono riuscito. Non mi resterebbe che portare io sulle spalle il mio asino. Ma questo sarebbe troppo! La gente riderebbe di più... Ed allora, basta! Ognuno dica ciò che vuole; io faccio come credo meglio!... Figlio mio, montiamo daccapo sull'asino e non badiamo più a quello che gli altri potrebbero dire! - In tal modo arrivarono al mercato. L'apologo è molto significativo.
Chi non pratica la Religione, è criticato dai fedeli; chi la pratica, è criticato dai cattivi. Non resta che darsi generosamente alla vita cristiana e disprezzare gli appunti degli sciocchi e dei perversi. Quanti sono buoni con i buoni e cattivi con i cattivi! Ma la fede di costoro può piacere a Dio? No! Dice Gesù: Nessuno può servire due padroni. -
Dunque, o si serve il demonio, facendo il male, o si serve Dio, operando il bene. Chi dice di avere la fede e non l'accompagna con le opere, si sbaglia. La fede senza le opere è morta.

IL SANTUARIO DELLA FAMIGLIA

Dimorare in paesi cattolici è dono di Dio; ma essere nati in famiglia cattolica ed esemplare è maggior dono. Quanti, se avessero avuti genitori religiosi, sarebbero vissuti rettamente!
Tu, o lettore, sei venuto al mondo in famiglia cristiana; avrai avuto una mamma molto pia, la quale, sin dai tuoi primi anni, ti avrà guidato al bene con l'esempio e con la parola. Crescendo negli anni, tu avrai soffocato i buoni insegnamenti materni, per seguire i perfidi consigli dei cattivi compagni.
Al giudizio di Dio ti sarà chiesto conto anche di ciò. Ti dirà il Signore: Quale frutto ha apportato all'anima tua l'essere appartenuto a famiglia religiosa? Perché non hai approfittato dell'esempio della madre, di quella sorella pia, di quel fratello devoto?... Se io, tuo Dio, avessi fatto un simile dono ad altra anima, ne avrebbe usufruito e si sarebbe salvata! Va', infelice, nel numero dei servi infedeli! -

GUAI A TE!

Gerusalemme, la città santa, era decantata dai Profeti. Vi sorgeva il Tempio del vero Dio. Avrebbe avuto l'onore di vedere il Messia, di ascoltarne la voce, di assistere ai suoi prodigi. Quante benemerenze! Quale città avrebbe avuto un simile dono?
Gerusalemme comprese il dono di Dio? No, anzi lo disprezzò e si rese rea di deicidio.
Gesù non si riprometteva tanta ingratitudine dalla città santa ed in un momento di grande dolore pianse. Esclamò allora: Gerusalemme, Gerusalemme, tu uccidi i Profeti e lapidi coloro che sono inviati a te! Quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto! Oh, se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che vuoi mettere a morte! Ma i tuoi occhi sono chiusi! Poiché non hai conosciuta l'ora della tua visita, verrà giorno in cui sarai circondata d'assedio e sarai distrutta! - Il castigo predetto da Gesù piombò su Gerusalemme.
Altre città della Palestina furono predilette dal Signore; in esse operava frequenti miracoli. Ma gli abitanti ne apprezzavano il dono? Corrispondevano ai disegni di Dio? Tutt'altro!
Gesù Cristo, conoscendo la grande responsabilità di queste città, esclamò addolorato: Guai a te, Corozain, guai a te, Betsaida! Che se in Tiro e Sidone fossero stati operati i prodigi fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza in cilizio ed in cenere. Nel giudizio perciò Tiro e Sidone saranno trattate meno rigorosamente di voi. E tu, Cafarnao, già esaltata sino al Cielo, sarai sprofondata sino all'inferno! -

RIFLETTI BENE!

Le città di cui parla Gesù sono simbolo delle anime più favorite. E' un fatto che Iddio è vario nei suoi doni; il numero dei talenti non è uguale per tutti.
Ci sono anime sulle quali Gesù concepisce grandi disegni e quindi le ricopre di grazie speciali; Egli si ripromette buoni frutti ed abbondanti.
Anima cristiana, non sei forse anche tu nel numero di costoro? Non ti ha fatto sentire Gesù la sua voce dall'infanzia? Non ti ha fatto gustare le delizie del suo amore? Non ti ha liberata da tanti pericoli? Non ha nutrito il tuo spirito col venire frequentemente nel tuo cuore per mezzo della Comunione? Non ti ha fatto comprendere la nullità delle cose del mondo? Non ti ha illuminato la mente con tante grazie speciali?... Come hai corrisposto tu a tanti doni? Ti sei forse resa indegna, come Gerusalemme e come Cafarnao? Rifletti bene: A chi più è stato dato, più sarà domandato!
Per qualche tempo sei stata generosa con Gesù; ma poi ti sei stancata. L'esempio altrui, le attrattive del mondo, il fuoco delle passioni, la debolezza del cuore... hanno ridotto il tuo spirito in uno stato di paralisi e di cecità. Quali sono i frutti che tu dài al presente al tuo Dio?
Forse, più che gioie arrechi dispiaceri a Gesù!... Risorgi dal tuo stato e medita la parabola, che Iddio stesso ti narra: Avevo una vigna in un colle fertile. La circondai di siepe, ne tolsi le pietre, la riempi di scelte viti, edificai nel mezzo di essa una torre, vi costruì un frantoio ed aspettai che facesse delle uve; ma non fece che delle lambrusche. Che cosa avrei dovuto fare di più per la mia vigna e non l'ho fatto? Ed allora, perché dopo avere aspettato che mi facesse l'uva, mi ha fatto delle lambrusche? Ma ora farò conoscere quello che intendo are alla mia vigna: ne toglierò la siepe ed essa sarà devastata; ne toglierò la cinta di pietre e sarà calpestata. La lascerò in abbandono e non sarà né potata né sarchiata; sarà ricoperta di sterpi e di spine ed inoltre comanderò alle nubi di non lasciar cadere l'acqua sopra di essa. -
Guai alle anime predilette se non corrispondono alle premure di Gesù!

LA DIVINA CHIAMATA

Un giovane si presentò a Gesù: Maestro buono, che cosa devo fare per entrare nella vita eterna? - Rispose Gesù: Osserva i Comandamenti. - Li ho osservati sin dall'infanzia. - Allora, continuò il Signore, se vuoi essere perfetto, va', vendi quanto hai e dallo ai poveri; poi vieni e seguimi; avrai un tesoro in Cielo. - Il giovane si contristò; era molto ricco e non voleva rinunziare ai piaceri della vita. Gesù lo guardò con occhio di compassione e disse: Com'è difficile che un ricco entri in Paradiso!... Nessuno, che dopo aver messa la mano all'aratro volge indietro lo sguardo, è adatto per il regno dei Cieli. -
Quel giovane aveva udito la voce di Gesù «Vieni e seguimi! », ma non volle seguire la divina chiamata. Si sarà poi salvato? Dio solo lo sa.
Il Signore fa sentire la sua voce a certe anime, invitandole a vita più perfetta; non fa a chiunque un tale dono. Si dovrebbe stimare molto questo atto di predilezione, che comunemente si chiama «vocazione a vita più perfetta». La vocazione è varia: al Sacerdozio, alla vita del convento, al celibato nel mondo, ovvero all'apostolato laico. Chi risponde alla divina chiamata e traffica il talento ricevuto, avrà il centuplo in questa vita ed il Paradiso nell'altra. Chi chiude l'orecchio alla voce di Gesù, il quale batte alla porta del cuore, e preferisce la vita, meno perfetta, potrà salvarsi ancora, ma con difficoltà, privandosi delle grazie di predilezione.
Il dono della vocazione è unito al peso cella responsabilità. Dice il Signore nel libro dei Proverbi: Poiché io chiamai e voi non ubbidiste, io pure nella perdizione vostra riderò e vi schernirò –

I MOVIMENTI DELLA GRAZIA

Le ispirazioni sono doni che Iddio fa all'anima, illuminando la mente e muovendo il cuore al bene. Con le ispirazioni noi siamo alimentati spiritualmente, come la pianta è alimentata dall'acqua ed il fiore dalla rugiada. In mille modi lavora il Signore nelle anime e desidera la corrispondenza. Che cosa sono certi buoni pensieri, se non doni della grazia? Una predica udita, un buon libro letto, un consiglio del Confessore, un buon esempio avuto, una delusione del cuore, una riflessione davanti ad un cadavere, il ricordo doloroso dei peccati... di tutto ciò e di tante altre cose si serve Iddio per giovare alle anime. Le ispirazioni non sono frutto nostro, ma della grazia; se vi corrispondiamo, le ispirazioni diventano efficaci; diversamente, restano inefficaci e di esse daremo conto a Dio.
Quante volte, o anima cristiana, hai avvertilo i movimenti della grazia nel tuo cuore! Ne hai saputo approfittare o sei rimasta insensibile? Di ogni ispirazione avuta darai conto a Dio.

PADRE, DAMMI GESU'!

Un Missionario aveva un esteso territorio da accudire spiritualmente. Quantunque si moltiplicasse nel lavoro, non poteva giungere a fare il puro necessario. Si fermava alcune settimane in un villaggio, o in un isolotto, o in una plaga abitata presso un fiume, e il gettava a larghe mani il seme della parola di Dio, raccogliendone presto i frutti: battesimi, matrimoni regolati, amministrazione di Sacramenti. Dopo parecchi anni ritornava sul posto, per assodare il bene seminato prima.
Ora avvenne di ritornare in un villaggio dopo otto anni. Mentre una mattina si disponeva a celebrare la Santa Messa, gli si fece innanzi un uomo, di età matura, che gli disse: Padre, durante la Messa dammi Gesù; voglio comunicarmi.
- Bravo! Lodo la tua buona volontà. Ed allora confessati subito.
- Confessarmi? E perché? Io non ho bisogno di confessarmi. Tu hai detto che chi non ha gravi peccati, può comunicarsi. In questi otto anni, dopo che mi confessai con te, non ho commesso alcun peccato grave. Sono stato sempre attento a fare quanto tu mi hai insegnato. -
Il Missionario si commosse ed andò col pensiero a coloro che abitano nei paesi civili e cattolici. Quanta diversità!
Il perdono dei peccati, che Iddio ci concede per mezzo del Sacramento della Confessione, è un dono prezioso. Ed in realtà, non è un gran dono essere riammessi all'amicizia del Signore?
Tu, anima cristiana, hai riflettuto mai sulla responsabilità di questo Sacramento? Te ne servi sempre in bene, oppure abusi del dono di Dio? Sei forse di coloro che dicono: Per adesso pecco... e poi mi confesserò! -? Per certi infelici la facilità di ricevere il perdono dei peccati è un mezzo di più facile caduta. Anche dell'abuso di questo dono di Dio si sarà giudicati.

CONCLUSIONE

Essendo Gesù uscito di casa, se ne stava in riva al mare; subito si radunò attorno a Lui molta folla, tanto che, entrato in barca, vi si pose a sedere mentre la folla stava sulla riva. E parlò ad essa di molte cose per via di parabole, dicendo: Ecco che il seminatore uscì a seminare. E mentre spargeva il grano, una parte del grano cadde lungo la strada; vennero gli uccelli del cielo e lo beccarono.
Un'altra parte cadde in luoghi sassosi, dove non c'era molta terra, e subito germogliò, perché la terra non era molto profonda; ma, levatosi il sole, fu riarsa e non avendo radici seccò.
Un'altra parte ancora cadde tra le spine e crebbero le spine e la soffocarono. Il resto finalmente cadde nella terra buona e diede frutto, dove il cento per uno, dove il sessanta e dove il trenta. Chi ha orecchi per intendere, intenda! - Questo scritto, con le sue argomentazioni, è un ammasso di grano spirituale, destinato a scendere nei cuori. Tutti faranno fruttare il buon seme? Qualcuno leggerà queste pagine con leggerezza, quasi sorvolando, più per curiosità che per interesse. Il buon seme in costui non darà alcun frutto; sarà come il grano caduto lungo la strada.
Altri leggeranno con un poco d'interesse, ma non riceveranno utilità alcuna, perchè il loro cuore è duro, è pieno di sassi, simbolo dell'impurità. - L'uomo animale, dice la Scrittura, non comprende le cose spirituali. - Per il lettore, vittima dell'impurità, questo buon seme sarà sterile, non potrà mettere radici. Altri ancora leggeranno questo scritto, dicendo in cuor loro: Sì, bisognerà dar conto di tutto al Creatore! Ma intanto come si fa a vivere con tanta vigilanza ed in mezzo alle rinunzie?... - Costoro hanno il cuore ricoperto di spine, sono troppo ingolfati negli affari temporali e presto resteranno soffocati i buoni sentimenti avuti.
Altri lettori, desiderosi di progredire nel bene, leggendo queste pagine prenderanno generose risoluzioni. Costoro faranno fruttare il buon seme o con il cento per uno, o con il sessanta o con il trenta.

Anima, cristiana, in quale categoria di lettori vorrai metterti?... Questo scritto è un dono di Dio. A suo tempo darai conto al Signore anche di questa pia lettura.
In questo piccolo trattato si è considerata la Divina Giustizia. Il cuore umano potrebbe sgomentarsi al pensiero dei rigori di Dio. E' necessario non abbattersi; però bisogna pentirsi del male operato e sperare in Dio.