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Educate i vostri figli alla confessione già in tenera età

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Sebastien Desarmaux / Shutterstock

Edifa - pubblicato il 01/11/20

Insegnare ad un bambino a confessarsi precocemente è un buon inizio per tutta la sua vita sacramentale

di Elisabeth Caillemer

È sorprendente vedere la distanza che separa i bambini piccoli dagli adulti nei confronti del sacramento della penitenza. “Come confessarsi senza riluttanza”, si chiedono alcuni adulti. Mentre Aubin, appena 9 anni, spiega in modo così semplice: “Siccome c’è un prete, ne approfitto per confessarmi”. È inimmaginabile, dall’alto dei nostri quaranta e più anni, dire: “Padre, che fortuna, visto che lei è qui…”.

Questa facilità disarmante con cui i bambini più piccoli vanno a confessarsi, Padre Alexis Garnier la nota regolarmente durante i ritiri familiari e i pellegrinaggi: “I bambini chiedono la confessione fin dal primo giorno, anche dai primi minuti, e a volte ogni giorno, mentre gli adulti tendono ad aspettare fino all’ultimo momento”. Ingrid d’Ussel, autrice di Per favore mamma, portami a confessarmi, ha fatto la stessa constatazione quando ha istituito nella sua parrocchia “I piccoli ostensori”, un gruppo di bambini che si confessa frequentemente. “La loro gioia e il loro entusiasmo sono edificanti per noi adulti”.

“Un buon inizio che è per tutta la vita”

I bambini piccoli hanno in effetti la capacità naturale di connettersi con il Buon Dio. Questo è un buon motivo per non tardare ad accedere a questo sacramento fin da piccolissimi, senza aspettare l’imminenza della Prima Comunione e senza proiettare su di loro i nostri dibattiti interiori. Padre Garnier sottolinea: “Imparare a confessarsi prestissimo nella vita è l’inizio dello sviluppo di tutta la vita sacramentale.

I sacramenti vengono integrati nel proprio cammino di santità permettendo così a Dio di santificare l’anima del bambino. Quando sarà più grande, si sarà abituato a questa confessione regolare”. Un’eco del discorso di San Papa Giovanni Paolo II ai Vescovi del Québec (1999): “La tenera infanzia è un periodo importante per la scoperta dei valori umani, morali e spirituali”.




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A che età un bambino può, e deve confessarsi? La Chiesa dice che “ogni credente che ha raggiunto l’età della discrezione è vincolato dall’obbligo di confessare fedelmente i suoi peccati gravi almeno una volta all’anno” (can. 989 del Codice di diritto canonico). Questa “età della discrezione”, o “età della ragione”, si colloca intorno ai 7 anni, “sia sopra che sotto i 7 anni”, come ricordava il Papa San Pio X nel suo decreto Quam singulari sulla comunione dei bambini. Precisa Padre Garnier : “Questa è un’indicazione, per alcune persone potrebbe avvenire anche prima. I genitori devono essere vicini alla dimensione spirituale del figlio per svegliare la sua coscienza morale, poi si accorderanno col sacerdote”.

Essere vicini alla dimensione spirituale del proprio figlio è una buona cosa che ci ricorda che l’educazione religiosa dei nostri figli non si limita a dire la preghiera serale insieme per poi appoggiarsi alla scuola o al gruppo di catechismo che, in occasione della preparazione alla prima comunione in terza elementare, affronteranno comunque la questione della confessione.

Con il delicato sostegno dei genitori

“I bambini non ricevono più dalla madre questa educazione primaria che rendeva più facile il nostro compito”, rimpiangeva già nel XIX secolo Padre Timon-David. La formula può sembrare obsoleta, ma è ancora attuale. Nel quadro del patronato di cui ha l’incarico Padre Grégoire Leroux, egli sottolinea la difficoltà di iniziare i bambini alla confessione “se non sono accompagnati dai loro genitori e non sono immersi in un ambiente di pratica regolare”.

Padre Philippe de Maistre, cappellano generale della scuola Stanislas a Parigi, in una sorta di radiografia della loro vita spirituale che ci aiuta ad accompagnarli meglio, distingue diverse tappe della formazione della coscienza nei bambini. C’è, dice, “una consapevolezza dell’amore di Dio che precede la consapevolezza del bene e del male”.

Intorno ai 5 o 6 anni, avviene il risveglio della loro interiorità, i bambini sperimentano l’intima presenza di Gesù. S. Teresa diceva che “il regno di Dio è dentro di noi”. Da bambina, credeva più nel Cielo che nelle persone reali che la circondavano! Fin dal battesimo, i piccoli hanno in effetti un rapporto naturale e pregnante con la vita interiore e con il Cielo. Dobbiamo quindi renderli attenti a questa presenza che non è altro che la voce della coscienza: “Ascolta quello che Gesù ti dice””. Alla Stanislas, i bambini sono dunque invitati a confessarsi a partire dai 5 anni. “È una confessione sotto il sigillo dell’amore che permette loro di meravigliarsi di questa presenza divina e di rendersi conto, a poco a poco, che la loro vita non si riferisce più solo a un’autorità esterna (quella dei loro genitori), ma a un’autorità interna”.

Poi si sviluppa la consapevolezza del bene e del male, e questo è il momento in cui il bambino sperimenta veramente un rapporto con il bene e il male di fronte a Dio. “È importante riferire questa coscienza morale alla presenza di Dio in loro”, consiglia il Padre de Maistre, che spiega loro: “Quando fai qualcosa di buono in segreto, ti senti bene, è Gesù che manifesta la Sua presenza. Quando fai qualcosa di brutto, sei triste, perché non hai ascoltato Gesù, Gli hai detto di no, quindi Lui ne è contristato in te”. Il bambino comprende da quel momento cos’è il peccato: non è una sciocchezza, ma ciò che taglia fuori dall’amore di Dio, è ferirLo con il rifiuto volontario di ascoltarLo.


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La parabola del figliol prodigo per far comprendere la confessione

Dobbiamo dirgli che Dio l’ama infinitamente e che gli perdona sempre le ferite che Gli sono state inferte, a patto di chiederGli perdono attraverso un sacerdote, e decidere di non farlo più. La parabola del figliol prodigo è ideale per fargli capire bene cos’è la confessione: un padre che accoglie a braccia aperte il figlio pentito. È un ritrovarsi, e quindi una gioia. “E andare all’incontro di un Padre che riconcilia, che perdona e che festeggia”, riassume papa Francesco.

Più tardi, metteremo in rapporto il peccato e il sacramento del perdono con la passione di Cristo Salvatore delle anime, indica Padre Garnier, spiegando che “ogni peccato è come una spina conficcata nella testa di Gesù”, e che “confessare i propri peccati è schiodare Gesù dalla croce” come diceva il Curato d’Ars.

Infine, i genitori devono aiutare il loro bambino a fare i primi esami di coscienza “senza suggerire idee, ma dicendogli: chiediti quali peccati hai commesso. Devono rispettare quella dimensione che gli sfugge, ma anche prepararli, andare fino alla soglia”, raccomanda il Padre de Maistre. Come suggerisce Ingrid d’Ussel, instaurare un ritmo, “mettere la confessione in agenda come se fosse un appuntamento dal medico”. È meglio andarci in famiglia, raccomanda Padre Leroux: cosa c’è di più eloquente che vedere i tuoi genitori in ginocchio? E sentire il proprio bambino dire: “Visto che c’è un prete, ne approfitto!”

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