MaM
Messaggio del 9 ottobre 1986:Cari figli, voi sapete che io desidero guidarvi sulla strada della santità, però non desidero costringervi ad essere santi per forza. Io desidero che ciascuno di voi aiuti se stesso e me, per mezzo dei propri piccoli sacrifici, in modo che io vi possa guidare ad essere di giorno in giorno più vicini alla santità. Perciò, cari figli, non desidero neppure costringervi a vivere i miei messaggi, ma questo lungo tempo in cui sto con voi è segno che io vi amo immensamente e desidero che ciascuno di voi diventi santo. Grazie per aver risposto alla mia chiama

Gradi della preghiera

03/07/2016    2939     Imparare a pregare     Preghiera 
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TAPPE DI CRESCITA

La preghiera è un cammino con delle tappe di crescita.
Il bambino che va a scuola prima deve imparare a tenere la matita in mano, poi imparerà a fare i segni; solo più tardi imparerà a scrivere; alla fine, cresciuto, sarà in grado di imparare anche a stenografare.
Ma l’apprendimento della scrittura procede per tappe ben precise, che l’interessato spesso non percepisce neppure.
Così è il cammino della preghiera. Se c’è metodo e applicazione, c’è sviluppo e crescita graduale e armoniosa. Se non c’è metodo nè applicazione, sono impediti la crescita e lo sviluppo.
Non si deve lasciare la preghiera a se stessa, è una incoscienza. Se in un orto volete una buona produzione di ortaggi dovete darvi da fare. Un orto lasciato a se stesso vi dà solo qualche ciuffo d’insalata.

LA MONTAGNA

L’esperienza sembra suggerirci di poter affermare che la preghiera ha cinque tappe di crescita, è come una montagna da scalare.

Prima tappa:possiamo chiamarla la tappa “parole vuote “.

E’ la preghiera non “informe” ma “deforme “, cioè la non-preghiera. Potremmo non considerarla preghiera, non merita questo nome, ma essendo un tipo di preghiera tanto diffusa siamo costretti a parlarne.
Gesù Cristo l’ha condannata, l’ha esclusa:
“quando pregate non moltiplicate vane parole come i pagani “. (Mt. VI, 7)

Purtroppo è diffusissima: i rosari malmenati, le messe alla svelta, i sacramenti buttati alla rinfusa, le comunioni, le confessioni diventate una “routine” sono abitudini molto diffuse.
E’ una desolazione. E’ una bestemmia. E’ una eresia. E tante persone vivono legate a quel tipo di preghiera tutta la vita.
Si esce? Certo! Ma è come guarir dal cancro. Il verbalismo infatti è il cancro della preghiera. Il cancro non si cura con una iniezione: ci vuole l’intervento chirurgico o le applicazioni al cobalto che brucino i tessuti infetti.
Ci vuole coraggio. La prima cura è esserne inorriditi.
Chi non si sente malato non esce. Chi dorme sonni beati non guarisce.

Seconda tappa:quando la preghiera si fa monologo.

Quando cioè pregando, di tanto in tanto ci si rende conto che si sta parlando con Dio e si fa un po’ di attenzione a quello che si dice, ma Dio è ancora lontano mille miglia, Dio non è persona, Dio non è vivo, Dio non è sentito, è una realtà della stratosfera, non è una presenza, allora siamo al monologo.
Il monologo è parlare a se stessi, interloquire con se stessi. Non è comunicare, comunica forse con gli altri uno che parla con se stesso? No, è solo un tipo strano, che probabilmente non comunica nemmeno con se stesso. Gira a vuoto.
E’ molto frequente questo modo di pregare. E’ un pregare anche pericoloso, perché chi prega così ha l’illusione di fare, ma non fa. Se non pregasse affatto forse guadagnerebbe, perché presto o tardi cercherebbe un rimedio.
E questo tipo di preghiera non opera sui nostri mali; lascia il tempo che trova.
Non guarisce i mali. Addormenta la coscienza.

Terza tappa:Il dialogo.

Siamo approdati alla preghiera.
Quando sappiamo instaurare un dialogo con Dio, preghiamo.
Quando Dio diventa persona, persona viva che sente, ci vede, ci ama, partecipa (lui lo è sempre, ma non lo è per la nostra superficialità). E noi, anche noi diventiamo persone vive, comunichiamo veramente con lui, e lui può così comunicare veramente con noi.
La preghiera si fa calda, apriamo a lui i problemi con fede e lo ascoltiamo.
La differenza con le due tappe precedenti è enorme. Prima il centro della preghiera eravamo noi, ora comincia a esserci anche lui, noi e lui, lui e noi. Nasce l’amicizia. Nasce il sondaggio della coscienza. Nasce il ponte con Dio. I nostri problemi ora possono essere influenzati da Dio.
Dio può toccarci. Dio può guarirci. Dio può trasformarci.
Siamo approdati alla preghiera. Se siamo stabilmente a questo grado di preghiera facciamo grandi progressi nella carità, nella fedeltà al dovere, nel distacco dal male.
Ma bisogna imparare a vivere stabilmente lì. Esige sforzo, anche metodo: occorre imparare a concentrarsi, perchè è un problema grosso di concentrazione.
Dio sfugge ai sensi! I sensi non operano mai un contatto sensibile con Dio.
Dio è spirito, è pensiero puro, solo se anch’io mi faccio pensiero, ho modo di raggiungerlo.
Esige sforzo, ma la preghiera dà i primi risultati sorprendenti.

Quarta tappa:ascolto.

Giunti al dialogo verrebbe da chiedersi: ma si può andare oltre?
Non “si può “, “si deve” andare oltre. La vetta della preghiera non è ancora qui. Occorre giungere all’ascolto. Quando la preghiera si fa abitualmente ascolto siamo molto in alto nella preghiera. Naturalmente bisogna essere lì stabilmente non a sprazzi.
Chi non è allenato alla preghiera può anche far una puntatina a questo grado di preghiera, poi Cala subito giù. E’ faticoso. Come si fa?
Occorre partire dalla purificazione, bisogna imparare a scorticare l’orgoglio.
Bisogna farsi verità. Diventar verità. Dio non riesce a parlarci finché non abbiamo imparato a toglierci le maschere dal volto.
Ecco la prima operazione importante: dirci la verità, calarci nella verità, fare la verità dentro di noi.
Metterci davanti alle nostre miserie con grande coraggio, dir pane al pane, vino al vino.
Viviamo di sotterfugi. Prima di entrare in contatto con Dio bisogna capovolgere la nostra situazione di comodo, capire l’orrido delle nostre miserie, metterci in povertà assoluta davanti a lui. Quando siamo diventati schiettezza, allora Dio può veramente irrompere... e parlare. Dio parla.
Per quali vie parla? Normalmente, si potrebbe dire che Dio usa cinque canali di trasmissione per comunicare con l’uomo di buona volontà.

La mente

Dio ci fa capire.
Fa capire i problemi in una luce nuova, spesso in modo così chiaro che crollano le illusioni e si fatica ad avere la pace.
Ma Dio non agita. E’ Satana che agita, Dio no. La voce di Dio è sempre così composta, così delicata che basta un nonnulla a soffocarla.

La volontà

Dio ci fa volere.
La volontà è mossa verso una direzione di chiarezza. E’ come se un pezzetto di ferro entrasse in un campo magnetico; la volontà si orienta a Dio, si fa docile come un pezzo di ferro a contatto di una calamita.
Si sente ciò che si deve fare e si ha la forza per farlo. E’ Dio che ci ha toccati.

Le emozioni

Tutti hanno sperimentato forse dei momenti intensi di gioia dopo la preghiera prolungata. E’ una cosa difficile a spiegare: a volte è gioia, a volte è solo pace profonda, a volte è commozione. E’ probabile che Dio abbia toccato la nostra sensibilità.
Se seguono frutti concreti di bene, è quasi sicuro che quella emozione è frutto di un contatto vero con Dio. Diciamo: “è quasi sicuro “, solo perché il mondo dello spirito come può essere controllato?
Ma “dai frutti conoscerete l’albero” ha detto il Signore. Se questi momenti di intimità con Dio scatenano la nostra generosità, maturano alla carità, ci distaccano dall’egoismo, ci rendono umili, i frutti ci sono.
Occorre aggiungere: Dio non parla alle nostre emozioni sempre in tono piacevole; quando ci parla col rimorso, la scontentezza, il vuoto, non è piacevole, ma Dio attende che rispondiamo. Sentire i nostri limiti è già un’azione di Dio in noi, è già un vero dono di grazia. Dio attende la risposta.

L’immaginazione

Nel dialogo di Giovanna d’Arco di Bernard Shaw, il giudice dice alla fanciulla: “quelle voci che senti provengono dalla tua immaginazione “. Naturale! — risponde Giovanna d’Arco all’inquisitore — Dio non ha altra via che la nostra immaginazione per parlarci. Ma è Dio che parla! “. Nella nostra vita ci sono momenti di grande lucidità in cui Dio ha parlato in modo chiarissimo:
quasi tutti l’hanno sperimentato.
Certo è un discorso che non va fatto ai sognatori. In certi momenti la voce della coscienza è così netta, così in contrasto con tutto quello che vorremmo noi che non si può dubitare di una presenza divina che “conta i capelli del capo” e interviene in momenti determinati della nostra esistenza influenzando le nostre decisioni.

La memoria

Dio a volte ci parla facendoci ricordare dei passi sbagliati che abbiamo fatto, ci influenza coi ricordi passati: pene o gioie, fallimenti o successi, richiami sentiti, parole, consigli, testimonianze avute, cose viste e imparate, ma che avevamo dimenticato. Qualche volta ci parla con delle nostalgie del passato, quando abbiamo amato intensamente, o ci parla ricordando l’amarezza d’uno sbaglio o di un peccato. Dio parla! Quanto parla!
Il problema è solo rispondergli.
Quando poi vogliamo provocare Dio nella sua voce diretta c’è la sua parola scritta, la Sacra Scrittura. E’ un argomento che merita una trattazione a parte, tanto è importante per la preghiera.

Quinta tappa:amore.

E’ la vetta della preghiera. Quando la preghiera diventa semplicità assoluta perché si cambia in amore. Quando la preghiera si fa vita. Quando la preghiera diventa un abbandonarsi assoluto alla sua volontà. Quando la preghiera diventa azione, donazione, offerta. Quando le parole non servono più perché impacciano, ritardano, complicano. Quando basta guardare a lui e con un semplice sguardo si coglie tutto, si fa tutto, si dà tutto.
E’ la vetta della montagna. Sulla vetta si arriva, ma quasi sempre si arriva per ridiscendere; non si pianta la tenda per stare; si prova l’ebbrezza della vetta, ma anche le raffiche di vento e di tempesta. Sulla vetta si gode, poi si scende. Noi poveri uomini, si scende; i santi restano. Ma il ricordo della vetta è sempre là per dirci quanto Dio ci ama.
Chi riesce a stare a lungo è a posto, è sotto un dono grande di Dio; chi ci sta sempre è un santo. Per tutti è un richiamo nostalgico, un confronto, uno sprone per la battaglia della preghiera di tutti i giorni.
Ma bisogna puntare alla vetta per dare nerbo alla nostra preghiera: che la nostra vita diventi amore, tutto amore, solo amore. Sovente la montagna della preghiera ci sta davanti e noi, come ragazzetti, invece di arrampicarci, scorrazziamo su e giù. La preghiera ha i corsi e i ricorsi, va su e giù, ha l’alta e la bassa marea, ha le quattro stagioni.
Ma dobbiamo abituarci ad uno stile di preghiera robusto, che ci porti al livello più alto possibile. Più la preghiera è fatta di ascolto, più è ricca, più è fatta di amore più è qualificata.
Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno, ma chi fa la volontà del Padre mio “.
La preghiera non è fatta di gingilli, di parole, di bei pensieri; è fatta di cose sode, di ubbidienza seria alla volontà di Dio.




UN CONSIGLIO PER I PRINCIPIANTI

Chi è principiante?
Non è facile accettare di essere principianti. Nessuno ama restare nelle classi inferiori. Eppure è una tattica sbagliata voler essere adulti se si è ragazzetti, voler indossare il vestito dell’adulto se si è solo bambini. Chi, nella preghiera, vuoi fare il passo più lungo della gamba, incespica e cade e poi non marcia più. Crearsi delle frustrazioni nel la preghiera non serve.

Dunque, chi è principiante nella preghiera?
E’ principiante:
chi non ha ancora capito l’importanza della preghiera, chi si annoia tremendamente a pregare, chi si smarrisce se non ha le formule scritte o le parole da recitare a memoria, chi considera la preghiera una delle tante cose della vita cristiana, non la prima cosa, chi la sente solo come dovere, non come bisogno, chi la lascia con facilità, chi la sente come un peso insopportabile, chi la usa come porta-fortuna, o come moneta di acquisto per contrattare con Dio, chi la cerca come un rifugio dai propri doveri, chi va a caccia di consolazioni con troppo accanimento.


Ecco un consiglio pratico per il principiante che vuole tendere alla vera preghiera:
ogni giorno crearsi l’angolo di Dio, un quarto d’ora in cui, abolendo le formule, ci si cala nel problema più scottante della giornata, interrogando Dio con schiettezza così: Signore, in questo problema, che cosa vuoi da me? Sei contento di me? In che cosa sbaglio? Parla Signore, il tuo servo ti ascolta.
Un quarto d’ora al giorno di questa cura specifica per calarsi nei propri doveri, alla luce di Dio, allena ad entrare lentamente in uno stile completamente nuovo nel nostro rapporto intimo con lui. Non è difficile, esige solo buona volontà.
Ecco quali sono gli elementi fondamentali da teacre presenti per un quarto d’ora di vera preghiera:
riflessione —. decisioni —. implorazione.
Per fare una casa per prima cosa ci vogliono le fondamenta, la riflessione, poi si alzano i muri, le decisioni, poi, se non c’è il tetto, non c’è ancora la casa, ci vuole il tetto: è l’implorazione.
Ecco la casa della preghiera.
La riflessione da sola non è sufficiente, anche se è fatta in ginocchio davanti a Dio. La riflessione deve portare a decisioni precise e concrete, capaci di orientare a orizzonti nuovi il problema che urge, orizzonti nuovi ispirati dalla preghiera.
Poi la terza dimensione: bisogna implorare! Fare scendere la forza di Dio sulle decisioni prese, bisogna implorare la forza di Dio; non si vive in una casa che ha soltanto i muri, ci vuole il tetto.
Senza l’implorazione i nostri progetti possono fallire e ciò che abbiamo costruito con fatica in quel quarto d’ora può essere spazzato via da una ventata di cattiva volontà.

Fonte: Il Cammino della preghiera - Centro Missionario P. De Foucauld - Cuneo 1982