Sesso, droga, alcol e poi Medjugorje. La Testimonianza di Marco
Ho 36 anni. Sono psicologo e psicanalista in formazione. Vivo e lavoro a Bologna, ma sono nato e cresciuto in un piccolo paese della provincia di Reggio Emilia.
Vorrei che il filo conduttore di questa mia testimonianza fossero i numerosi tentativi di chiamarmi a Sè da parte di Gesù.
Sono cresciuto in una famiglia comunista, atea. In casa mia non si parlava mai di religione di Dio.
Ho ricevuto i primi Sacramenti perchè così andava fatto, a detta dei miei genitori.
Dopo qualche anno dalla mia nascita è nata anche una sorellina. Il Signore ha voluto farci questo dono. Un dono particolare. Mia sorella si chiamava Arianna ed è nata molto malata. Di conseguenza i miei genitori hanno dovuto cominciare a viaggiare molto per ospedali e cliniche in Italia e all’estero.
Io avevo pochi anni quando è nata mia sorella. La mia famiglia mi ha affidato ai miei nonni paterni che erano due contadini della bassa reggiana. Mio nonno era un uomo di poche parole e di tante botte, come tanti uomini di quel tipo e di quella tradizione culturale e sociale.
Non ho visto più i miei genitori per anni, se non ogni tanto per Natale o al compleanno. Vivevo in questa famiglia assieme al nonno e alla nonna e ricevevo le visite di qualche zio. Non comprendevo quello che mi stava accadendo attorno.
In ogni caso la mancanza di un papà, di una mamma e la malattia di mia sorella per me erano incomprnsibili.
Sono cominciati fin da subito i primi problemi a scuola. Tentavo di attirare l’attenzione in tutti i modi. Non trovando il modo di esprimere il mio essere bambino, in quanto in un piccolo paese non c’erano tanti bambini della mia età e il nonno reprimeva sul nascere ogni mio tentativo di gioco o di scherzo, sviluppavo giorno dopo giorno un carattere introverso. Questo ha dato sfogo alle cose peggiori che un essere umano possa fare se confronta i 10 Comandamenti.
Mia sorella, a causa della malattia fisica, è morta qualche anno dopo. E’ morta all’età di 7 anni. Io ne avevo poco più di 10.
Quando mi sono trovato in casa queste due persone, che erano sì mio padre e mia madre, non le conoscevo più come tali.
Capitò un episodio nel quale venni convocato da uno psicologo, adesso mio collega, alla mia scuola. Mi venne chiesto se ero favorevole alla pratica di adozione che i miei genitori volevano fare su un altro bambino. Dopo aver appena perso mia sorella e aver forse appena ritrovato il mio ruolo di bambino presso i miei genitori mi ritrovai subito ad essere nuovamente sostituito. I miei genitori volevano adottare un altro figlio.
In me nacque quella domanda che mi ha portato a Medjugorje: “Ma allora io chi sono? Che cosa ho che non và? Perchè i miei non mi vogliono? Perchè vogliono sostituirmi?”
Arrivò poi il periodo dell’adolescenza. Le pratiche di adozione fallirono dopo due anni e quindi ci trovammo in casa in questo strano nucleo: io, mia madre e mio padre. Tre sconosciuti praticamente.
Io, da quel bambino timido e introverso che ero, grazie all’aiuto delle droghe e dell’alcol che cominciai a bere attorno ai 12 anni, trovai il modo di sfogare tutto quello che in quegli anni mi ero tenuto dentro, la voglia di essere importante per qualcuno, e quel “qualcuno” erano diventate le cattive compagnie . Era un modo per far sentire la mia voce e superare la mia timidezza. Ecco perchè le droghe e l’uso di alcol.
Ho cominciato a bere attorno ai 13 anni; ho perso la verginità a 14 anni e le droghe sono arrivate subito dopo. Era una velocissima escaletion di gravità, di rischio.
Appena ho potuto a 18 anni sono scappato dal mio piccolo paese per andare a studiare a Bologna. Le cose di certo non migliorarono. Anche perchè quando si perde l’appoggio, la vicinanza della famiglia, per quanto l’illusione sia di farcela comunque da soli… Questo credo che sia uno dei gravi problemi del concetto relativista che ormai si è diffuso in tutta la società capitalista, cioè che l’uomo basta a se stesso. La società dà tutti quei gadget che servono all’uomo quando magari inizia a vacillare. Ecco lo shopping compulsivo, gli oggetti di lusso, e tutte le tentazioni. Quelle per i giovani hanno addirittura cambiato nome. Si chiamano: piacere, felicità. Lo vediamo in tantissimi slogan pubblicitari. Anche per quanto riguarda le macchine e i cibi.
Quella più indicativa è quella di uno yoghurt che dice “fare l’amore con il sapore”. Sono concetti che per un adulto possono rimbalzare, ma per un giovane, come ero io, trovano terreno fertile.
Trasferitomi a Bologna per iniziare a studiare all’università non ebbi più freni. Ero lontano dalla famiglia, dai nonni, che per quanto severi avevano tentato di darmi un’educazione, dei valori che io in quel momento non ero riuscito a cogliere.
Certe sberle o cinghiate del nonno per me erano state solamente una punizione senza alcun rinforzo positivo. Le sgridate di mio padre, nelle poche volte che lo vedevo, non riuscivo collocarle in un suo nervosismo emotivo, dovendo seguire mia sorella così malata. Per me erano solamente un’altra punizione.
Di conseguenza a Bologna ho voluto in tutti i modi vendicarmi dei torti che avevo subito.
E’ talmente facile ormai trovare in modo sbagliato ciò che, secondo noi, la vita ci ha tolto, che può essere un familiare, un lavoro, un partner sentimentale, un amico. Lì continuai ad abusare di alcol, di droghe e di sesso, studiando come potevo.
Il Signore, comunque, mi ha dato la grazia di riuscire a laurearmi. Dopo la laurea arrivai perso in tutti i vizi capitali. Ne godevo. Non ci trovavo nulla di male o di deplorevole.
Dopo la morte di mia sorella e dopo la mia dipartita per Bologna il Signore vinse le resistenze della mia famiglia e iniziò a farSi spazio nella vita di mia madre e di mio padre, in modi e tempi diversi.
Se adesso chiudo gli occhi e provo a farmi un’idea di mia madre la vedo con il Rosario in mano.
Se provo a pensare a mio padre, il comunista ateo di ferro, lo vedo in ginocchio a pregare.
Questo è stato il lavoro del Signore dalla morte di mia sorella fino al giorno d’oggi.
Io ci misi molto di più. Dovetti passare attraverso dure prove. Persi per droga il mio migliore amico ed io stesso venni ricoverato in ospedale due volte per overdose di eroina.
La prima volta vennero al mio capezzale i miei genitori, i nonni, qualche amico. La seconda volta non si presentò nessuno. Mi ritrovai in questa camera di ospedale senza sapere cosa era successo. Ero da solo.
Come in tutti gli ospedali d’Italia c’era un Crocifisso appeso alle pareti delle stanze. Me lo ricordo bene: un piccolo e semplice Crocifisso di legno posto proprio davanti al mio letto.
Superare un’overdose di eroina non è affatto semplice. Richiede tanti sforzi, cure mediche, terapie psicologiche. Ma non funzionavano.
Sappiamo bene tutti che non c’è altro come l’aiuto di Dio.
Continuando a fidarmi solamente delle mie risorse e quelle dei medici e degli amici continuai a peggiorare. Dentro di me sentivo una voce che mi dava l’idea dell’invincibilità.
Avevo scampato la morte per due volte; ero riuscito a crescere nella vita senza i genitori. Sappiamo bene da dove arriva questa brutta voce. Io, però, credevo fosse la mia coscenza, la mia buona coscenza.
Ho iniziato a viaggiare per il mondo. Ho vissuto in Australia e in Inghilterra. Tutte esperienze che, come quando mi trasferii a Bologna, avevano il carattere della fuga.
Continuavo a scappare. Scappavo dai luoghi dove vivevo. Scappavo dalle relazioni. Non facevo altro che passare da una ragazza ad un’altra, perchè una volta che era soddisfatto il mio bisogno a cos’altro mi poteva servire? Nessuno si era mai preso cura di me, perchè io dovevo prendermi cura di qualcun altro che non fossi io stesso? Quindi cambiai molte città, molti amici, molte fidanzate, continuando fino ai 30 anni ad abusare di ogni tipo di droga e di alcol.
Poco dopo i 30 anni, nel giro di pochissimo tempo, morì una persona a me molto cara, con la quale, tra l’altro, avevo appena litigato. Avevo perso il lavoro a causa della mia arroganza e presunzione, del mio considerarmi sempre nel giusto e mai nel torto. Quindi mi ritrovai non solo più solo dal punto di vista familiare, sentimentale e di amicizia, ma anche senza lavoro e senza soldi. Tutto questo nel giro di una settimana.
Crollai completamente. In quei giorni il Signore mi guidò non più verso una delle tante piazze di Bologna dove solitamente compravo eroina o cocaina, ma, per un guasto alla macchina, mi portò nel più piccolo paese della provincia di Reggio Emilia, dalla mia famiglia.
Non avendo il supporto delle droghe in quei giorni crollai anche emotivamente oltre che fisicamente.
Quindi raccontai tutto a mio padre e a mia madre. Parlai loro come non avevo mai parlato prima, sentendo dentro un calore che adesso mi piace riconoscere come il calore dello Spirito Santo quando guida le nostre parole e i nostri gesti.
Come vi dicevo dopo la morte di mia sorella i miei genitori cominciarono lentamente a convertirsi. Mia madre fu quella più veloce tra di noi.
Siamo alla fine di agosto di tre anni fa. Mia madre mi disse: “Marco, andiamo a Medjugorje”. Io che, potete immaginare quanto fossi contro la Chiesa e contro i preti, dissi: “Assolutamente no”. Ne avevo sentito parlare, un pò in televisione e un pò sui giornali. La consideravo una truffa pubblicitaria, come se ne sentono tante. Dissi a mia madre: “Ma figurati! Andare là, io? Non ci penso proprio. Aspetto che la macchina sia pronta e me ne torno a Bologna”.
Mia madre insistette e mi disse: “Marco, vicino a Medjugorje c’è il mare”. Eravamo a fine agosto. “Mal che vada ti fai qualche giorno in spiaggia”. Io dissi: “Perchè no, a questo punto? Guadagno una vacanza. Di certo male non mi fa”.
Senza pensarci due volte, prima che io cambiassi idea, mia madre e mio padre fecero le valigie, lo zainetto con qualche panino e partimmo di notte per andare a Medjugorje in macchina passando per l’Istria.
Arivammo là il mattino sucessivo. Io feci tutto il viaggio con diverse dosi di droga nelle tasche, sparlando, bestemmiando e ritenendo del tutto inutile quel viaggio verso Medjugorje.
Quando arrivammo davanti alla chiesa di san Giacomo io ho guardato la cartina della Croazia per vedere quanta strada c’era per andare al mare. I miei genitori parcheggiarono davanti alla chiesa e mi dissero: “Guarda Marco: fai quello che ti pare. Noi adesso andiamo a Messa. Il pomeriggio ci sarà l’Adorazione Eucaristica. Ci possiamo vedere qui alle 6 di sera. Oppure fra qualche giorno, quando torni a prenderci dal mare. Arrangiati”.
Per la prima volta in vita mia vidi i miei genitori entrare insieme in una chiesa.
Spero che tutti voi siate stati a Medjugorje. Per chi non lo sapesse vicino alla chiesa di san Giacomo c’è questa bellissima statua della Madonna che sembra quasi accompagnare i fedeli verso la chiesa. Io rimasi folgorato da quella statua.
Eravamo ancora in estate, a fine agosto. In quel momento quella statua brillava alla luce del sole. E’ una statua in marmo bianco, quindi potete immaginare come si riflettesse la luce. E non riuscii ad andare al mare. Non andai nemmeno in chiesa. Girovagai per le stradine di Medjugorje. Letteralmente non capivo assolutamente quello che mi stava succedendo. Non capivo dov’ero. Non sapevo cosa pensare. L’assenza delle droghe stava già causando nel mio fisico quel rigetto dettato dall’astinenza. Quindi ero molto debole e facevo veramente fatica a concentrarmi. Mi ritrovai su uno dei prati dietro alla chiesa di Medjugorje. Rimasi lì per tutto il giorno, finchè non mi ritrovai con i miei genitori dopo l’Adorazione Eucaristica.
Rimanemmo a Medjugorje tre giorni. Non salii sui colli - il Podbrdo e il Krizevac - non andai a nessuna Messa, non mi confessai, ma rimanevo attorno alla chiesa. Non riuscivo a staccarmi.
L’ultimo giorno mia madre comprò in libreria un libro dal titolo “Con gli occhi di bambina” di Ania Goledzinowska. Per passare il tempo in macchina iniziai a leggerlo e fu un’altra folgorazione, un altro strumento che il Signore ha usato per la mia conversione.
Lessi quel libro tutto d’un fiato. Sembrava quasi di leggere la mia vita. Le droghe, l’alcol, l’assenza di una famiglia, o meglio: la sensazione di non avere una famiglia che ti ami e ti supporti.
Appena tornato in Italia trovai casualmente - all’epoca pensavo fosse casuale - la mail di Ania su internet e le scrissi a cuore aperto. Inaspettatamente il giorno dopo Ania mi rispose con delle parole molto dolci.
In quei giorni in cui stavo affrontando l’astinenza, le crisi fisiche, la disperazione del cuore per quella persona che era venuta a mancare, tornai a Bologna. Ma dopo una settimana, senza sapere il perchè, tornai nel mio piccolo paese dalla mia famiglia e dissi a mia madre: “Torniamo a Medjugorje domani”.
Nel frattempo, come ho già detto, Ania mi aveva risposto e mi aveva invitato a chiamarla nel caso fossi capitato a Medjugorje. Chiamai Ania e le dissi: “Sto arrivando. Domani sono lì”. Già sapevo nel cuore che i miei genitori sarebbero partiti con me ancora quella notte.
Poco più di una settimana dopo al mio primo viaggio a Medjugorje ero di nuovo là. Non sapevo perchè. Non sapevo cosa sarei andato a fare.
Incontrai Ania, un altro degli strumenti che il Signore ha usato per la mia conversione. Siamo ai primi di settembre. La incontrai vicino alla chiesa di san Giacomo, in uno dei prati che ci sono lì attorno. Parlammo fino a sera.
Io le raccontai tutto quello che sto dicendo a voi adesso nei minimi dettagli: le droghe che prendevo, le cose che facevo con gli amici e con le ragazze. Ania non fece altro che ascoltarmi. Quel giorno abbiamo pianto insieme e abbiamo riso insieme.
Come vedete io cercavo delle risposte. Quello che mi disse Ania alla fine di quella lunghissima chiacchierata fu: “Anche se adesso Marco non lo sai questo lo ricorderai come uno dei giorni più belli della tua vita”. Io continuavo a chiederle: “Si, ma adesso? Cosa faccio adesso?” Lei mi disse: “Marco, continua a fare quello che facevi prima. Fai quello che ti senti”. Fu la cosa più inaspettata che mi potesse dire.
Mi ritrovai con i miei genitori arrabbiato nero. Dissi loro: “Basta! Torniamo in Italia. Non ho niente a che fare con questo posto. Basta”.
Scappai di nuovo a Bologna, poi a Milano e poi a Londra con l’assoluta voglia e convinzione di voler mettere in pratica quello che mi aveva detto Ania, con la differenza che non ci riuscivo.
I giorni successivi alla mia seconda visita a Medjugorje furono i più dissoluti della mia vita, ma non riuscivo a bere, non riuscivo a prendere nessuna droga e non riuscivo ad approcciare nessuna ragazza. Era più forte di me.
Le parole di Ania continuavano a girarmi in testa: “Fai quello che ti senti. Fallo!” Eppure qualcosa era cambiato.
Quanti tentativi in quel periodo di farmi davvero del male. Ma le droghe non facevano più alcun effetto sul mio corpo. L’alcol non mi dava più alla testa. Quando era ora di approcciare una ragazza non funzionava più. Ero assolutamente sconvolto, perchè era l’unico stile di vita che conoscevo.
Ho chiamato Ania e le ho detto: “Guarda che qui c’è qualcosa che non quadra. Non so più cosa fare. Davvero”. Ania ha avuto la grandissima virtù di ascoltarmi con pazienza e di non fare come avevano fatto tutte quelle figure che avevo incontrato di correggere il mio stile di vita. Non mi ha dato consigli. Non mi ha fatto la morale. Mi ha lasciato semplicemente libero, ma non più da solo.
Era la prima volta che sentivo una presenza fisica, spirituale così forte vicino a me.
In quei giorni a Bologna si festeggiava, come tutti gli anni, il santo protettore della città: san Petronio. Abitavo vicino ad una delle chiese principali di Bologna. Lo Spirito Santo mi guidò dentro a quella chiesa. Sono entrato per vedere. Mi dicevo: “Beh. Vediamo cosa fanno per festeggiare san Petronio”. Mi ritrovai, invece, ad assistere alla Messa.
Da quel giorno crebbe in me una voglia sempre più crescente di partecipare alle Messe. Ricordo ancora le prime. Mi sedevo in fondo, in fondo. Non prendevo la Comunione. Ma per me già il fatto di sedermi in fondo ad una chiesa era tantissimo.
Purtroppo continuavo lo stile di vita dissoluto. Come vi accennavo prima, con sempre meno piacere. Non c’era più gusto. Non c’era più nulla che mi desse soddisfazione in tutti quei vizi e in tutti quei peccati.
Gesù mi fece incontrare un sacerdote a Bologna. Anche lui mi parlò come nessuno mi aveva mai parlato prima. Con franchezza, ascoltandomi e rimanendomi sempre al fianco.
Furono queste due persone- Ania e don Alberto, gli strumenti che il Signore utilizzò nel cammino mio di conversione. Continuavo a scrivere e a lamentarmi con Ania. Dicevo: “Io non so cosa mi sia successo a Medjugorje, ma non mi sta bene. Rivoglio la mia vita di prima. Cosa è successo a Medjugorje?” Ania, che la sa lunga, mi invitò per la terza volta a Medjugorje nella comunità Oasi della Pace, dove ho conosciuto Arianna, per un ritiro spirituale di diverse settimane.
Arrivai a Medjugorje presuntuoso e arrogante. Non dicevo mai grazie o prego. Facevo i miei porci comodi, ma trovai delle persone, suore, preti, consacrati, che hanno accompagnato il mio ritiro spirituale con tantissime preghiere. Anche nel concreto hanno saputo come smussarmi. Io ero abituato molto, molto bene e loro iniziarono a farmi fare la pulizia delle grondaie dalle foglie. Potete immaginare con che spirito mi mettessi in quel periodo a pulire le grondaie.
Quando videro che la prendevo con uno spirito troppo superficiale e allegro mi misero a strappare le erbacce dai prati. Immaginare me, abituato così bene, chino a strappare le erbacce dai prati… Quando il Signore ti tocca non c’è niente da fare.
Fu quella l’esperienza che mi ha portato qui oggi, insieme a Gesù.
Ho portato a casa da Medjugorje la consapevolezza che non è la mia felicità ad essere importante, al di là della mia conversione di fede, delle salite ai monti e delle Adorazioni, in ogni caso importantissimi.
Oggi, nonostante la conversione, le tentazioni capitano 10 volte di più rispetto al passato. La domanda che mi accompagna ogni istante è: “Tu sei felice, Gesù? Sei felice di quello che sto facendo o sto pensando?” Quando mi accorgo che la risposta è “no” ecco che scattano i campanelli di allarme.
Le tentazioni capitano in modo assiduo e costante. Le occasioni per usare droga e ubriacarsi aumentano.
Mi chiedono “Marco, perchè tu credi? Come fai a credere in qualcosa che non vedi?” Io di certo non posso dimostrare che Dio esiste. So che c’è. Ma rispondo: “Leggetevi la Bibbia. Trovate Dio nella veridicità delle Parole che ci ha lasciato Gesù” Nonostante adesso tutti i miei vecchi amici mi prendano in giro trovo conforto nelle Parole di Gesù: “Come hanno perseguitato Me lo faranno anche con voi”. Questa cosa è indiscutibile.
Ecco la veridicità delle Parole di Gesù. Come nel Getsemani, quando dice: “Pregate e vigilate”. Vedo nella mia vita che appena mollo un pò l’attenzione, appena mi allontano da Gesù, appena smetto di vigilare arriva quell’altro in tutte le forme: una bella ragazza, una bella vacanza, una serata in discoteca. Nuovamente mi accorgo della veridicità dell’insegnamento di Gesù.
Ma quello che ha toccato ancora di più il mio cuore è il dialogo tra Gesù e uno degli apostoli e l’insegnamento che ne consegue: quando tutto sembra che ci venga tolto Gesù ci assicura che ci verrà restituito in modo innumerevolmente maggiore.
Vedo, per esempio, il dono che mi ha fatto della fidanzata che è qui presente oggi e che con me sta condividendo l’esperienza della castità e di “Cuori puri”. Una ragazza che mai avrei sognato di poter incontrare nella mia vita e che mai avrei sognato che avrebbe potuto volermi così bene.
Quelli che consideravo degli obblighi incomprensibili, parlo dei dieci Comandamenti, il Signore mi ha fatto la grazia di viverli in modo sereno e semplice. Ecco perchè prima ringraziavo la mia famiglia e Ania per la semplicità con la quale mi hanno introdotto alla fede.
I dieci Comandamenti sono il modo più semplice e migliore di far felice Gesù. Alla domanda “Gesù, sei felice di me?” so come rispondere. So come farlo.
Con tutte le tentazioni che ci sono oggi posso dire che le chiamate di Gesù sono ancora più numerose delle tentazioni.
Questa è la cosa più meravigliosa.
Grazie.
Fonte: ML Informazioni da Medjugorje