11/01/2011, 00.00
LIBANO
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La Chiesa degli arabi è una sola, sofferenza e gioia sono di tutti

di Fady Noun
I libanesi visitano la Kadisha, la Valle santa, ogni anno. Oggi le “valli sante” da visitare sono Baghdad e Alessandria. I cristiani orientali devono difendersi, e essere pronti ad accettare il martirio. E accettino di “abitare la storia”, luogo dell’incontro con Dio.

Beirut (AsiaNews) - E’ scrutando i volti chiusi delle personalità che assistevano alla messa di mezzanotte, nella cattedrale del Cairo, e lì vicino il viso grave del patriarca Gregorio III dei greco-cattolici, che mi ha colpito un’idea. Perché gli altri patriarchi orientali non erano presenti anch’essi all’incontro? Perché le volute di incenso di Bkerké,  Balamand, Damasco, Antiochia, Gerusalemme e Baghdad non si sono alzate, questa notte, con quelle che profumavano Alessandria?

E, per associazione di idee, mi sono messo a pensare all’attentato di Baghdad, all’immenso slancio di solidarietà che l’ha contrassegnato, e nello stesso tempo, ai limiti di questo ardore verbale che ha fatto dire a più d’uno: questo non basta, bisogna agire.

Agire. I mezzi non mancano. E, come prima cosa, recandosi sul posto. Le delegazioni libanesi di Offre-Joie e gli scout cristiani che sono andati a Bagdhad a Natale hanno fatto la sola cosa logica e conseguente. Sono andati “là dove Dio piange” per manifestare la loro solidarietà umana e la loro speranza. Noi visitiamo, noi libanesi, la Valle santa, la Kadisha, in ogni stagione dell’anno. Oggi le valli sante sono quelle di Baghdad e Alessandria.

La Chiesa è una, è il corpo mistico del Cristo. La sofferenza degli uni è la sofferenza di tutti. E la gioia degli uni, la gioia di tutti. Se c’è un solo mondo arabo, non c’è dunque che una sola Chiesa degli arabi, quella che formiamo tutti insieme, le Chiese orientali.

Nel quartiere di Soufanieh, a Damasco, non si parla mai di unità delle Chiese, ma dell’”unità della Chiesa”, e dal 1985 le stigmate della Passione sul corpo diventato simbolo di Myrna el-Akrass non si mostrano che negli anni, come questo, in cui cattolici e ortodossi celebrano insieme la festa di Pasqua.

Sulla cupola della chiesa di Al-Warrak, al Cairo il 10 dicembre 2009, Nostra Signora è apparsa a migliaia di egiziani, cristiani e musulmani insieme, e alcuni hanno potuto fotografare una figura luminosa, che assomigliava molto a quella della sua apparizione a Zeitoun, nel 1968, e a Mousseitbé, nel 1970.

Basta, per assicurarsene, entrare sul sito che porta quel nome. Il suo messaggio silenzioso era quello di una madre che conforta nelle prove, che siano passate, presenti o future, che tocchino i copti, i cristiani d’Iraq o ogni uomo che la onora e la invoca.

L’agonia, o il parto. Benedetto XVI non ha dato una terza scelta ai padri sinodali riuniti in Vaticano, nell’ottobre scorso, per riflettere sulla situazione delle Chiese cattoliche in Medio Oriente. Tracciando a grandi linee la storia della Salvezza, ha parlato profeticamente degli “idoli” abbattuti dopo l’arrivo del Cristo, a cominciare dall’Imperatore romano, venerato all’epoca come un dio.

Parallelamente, ha aggiunto, “le false divinità”  di questi tempi – “ capitali anonimi che riducono l’uomo in schiavitù…le ideologie terroristiche…la violenza praticata in nome di Dio…le maniere di vivere diffuse dall’opinione pubblica…la droga” cadranno anch’essi.

“Assistiamo  a un processo reale della storia, la caduta degli dei” ha detto Benedetto XVI. “Ma anche la perdita di potenza delle forze che dominano la terra è un processo doloroso. E’ il sangue dei martiri, il dolore, il grido della madre Chiesa che risuona – nel Libro dell’Apocalisse – che li fanno cadere e trasformano così il mondo”.

Per restare in Oriente, i cristiani devono aspirare alla santità e essere pronti, se bisogna, a soffrire il martirio “dopo aver fatto tutto quello che è umanamente possibile”  per difendersi, con i modi legittimi a disposizione, ha detto il patriarca emerito dei Latini di Gerusalemme, Michel Sabbah, l’anno scorso, in una conferenza a Beirut.

“Dopo aver fatto tutto ciò, e se la minaccia continua a pesare su di lui, che il cristiano accetti di abitare la sua storia. Fuggire la storia, è fuggire la volontà di Dio. La storia è il luogo del nostro incontro con Dio” ha aggiunto questo arabo cristiano, che veniva, per così dire, dal cuore della sofferenza del popolo palestinese.

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