IL CASO/ La Serbia “vende” Mladic all’Ue ma a quale prezzo?

- La Redazione

Per SILVIO ZILIOTTO la cattura di Ratko Mladic per la Serbia significa la fine di un passato sanguinoso e l’apertura al futuro, che la vedrà sempre più integrata nell’Europa

mladic-sarajevo1993-r400 Ratko Mladic

«La cattura di Ratko Mladic per la Serbia significa la fine di un passato sanguinoso e l’apertura al futuro, che la vedrà sempre più integrata nell’Europa». A sottolinearlo è Silvio Ziliotto, dell’ufficio Politiche internazionali di Acli Milano, grande conoscitore dei Paesi balcanici come Serbia, Croazia e Bosnia-Erzegovina. Mdladic, ex capo di Stato maggiore dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina nei primi anni ’90, è accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. In particolare, è ritenuto il responsabile dell’eccidio di Srebrenica. Come sottolinea però Ziliotto, «Mladic ancora di recente si recava di persona a ritirare la pensione militare. Viveva indisturbato, non solo grazie alla popolarità di cui godeva in Serbia, ma anche all’inerzia di Paesi come gli Stati Uniti che non volevano riaprire un capitolo della storia che nasconde ancora troppi aspetti oscuri».

Qual è il significato politico della cattura di Mladic?

Il significato è sicuramente una cesura con il passato e con il periodo della guerra voluta da Milosevic, la cui eredità è rimasta viva nel pensiero del nazionalismo serbo. Allo stesso tempo significa sicuramente un’entrata più agevole in Europa. Ma conoscendo la mentalità del popolo serbo, questo momento può essere vissuto anche come una sconfitta e un tradimento. Per una certa parte politica Mladic non è un criminale, ma un personaggio che ha voluto difendere l’identità del popolo serbo in Bosnia.

Perché la Serbia è così desiderosa di essere ammessa nell’Ue?

Nasce dal fatto che l’ingresso in Europa significherebbe un successo della parte più moderna e moderata del Paese, e permetterebbe anche di mettere a tacere le fazioni nazionaliste ed estremiste che non sono affatto una piccola minoranza.

E’ vero che il governo serbo ha protetto Mladic fino al 2002?

E’ molto difficile rispondere a queste domande in un’intervista, ma quello che è certo è che si hanno tutta una serie di conferme e avvistamenti di Mladic anche dopo il 2002. Si sa per esempio che per un certo periodo andava a ritirare di persona la sua pensione militare. Queste segnalazioni non sono però mai state verificate più di tanto, perché c’erano degli interessi a non scoprire né consegnare Mladic. E questi interessi non si trovavano solo in Serbia, ma anche all’estero.

A che cosa si riferisce?

Per esempio, ora che Mladic è stato catturato, potrà raccontare se è vero o no quanto affermato lo scorso dicembre da Karadzic. In un’intervista al Corriere della Sera, dichiarò che Richard Holbrooke, il diplomatico Usa che negoziò la pace in Bosnia, gli aveva promesso l’immunità. Proprio per questo, ci poteva essere l’interesse da parte di qualche attore internazionale a evitare che i protagonisti di questo periodo oscuro della storia d’Europa parlassero troppo.

 

Che cos’è, un’altra teoria complottista?

 

Niente affatto. Karadzic è stato molto netto nelle sue dichiarazioni, anche se è tutto da verificare se si tratti della verità o piuttosto delle affermazioni di una persona che vuole tutelare se stessa. Quello che è certo è che appare abbastanza inquietante che non ci sia stata una sollecitudine maggiore nel ritrovare un criminale come Mladic. Catturato solo cinque anni dopo la morte di Milosevic e tre anni dopo l’arresto di Karadzic, proprio nel momento in cui la Serbia ha la necessità di entrare nell’Ue che pone la consegna del criminale di guerra come una delle condizioni obbligatorie.

 

Ma che cosa avrebbero da nascondere gli Stati Uniti?

 

Per un certo periodo durante la guerra nei Balcani si è visto Milosevic come l’uomo forte che poteva ricostituire la Jugoslavia. Nella fase iniziale quindi le grandi potenze mondiali non hanno fatto tutto il necessario per fermare il conflitto, fornendo anzi un appoggio magari tacito allo stesso Milosevic, al suo braccio armato Mladic e al suo braccio politico in Bosnia, Karadzic.

 

Quale è stata l’origine dell’odio etnico che ha insanguinato i Balcani?

 

Sotto Tito la regione ha vissuto una pace momentanea, perché il suo regime ha cercato di dare un forte senso di appartenenza e di unità al popolo jugoslavo, evitando di farlo sentire diviso in etnie. Sicuramente Tito, anche attraverso i servizi segreti dell’Udba, ha perseguitato anche all’estero tutti quanti proclamavano il desiderio di uno Stato-nazione croato o serbo. Nel 1971 la Primavera croata con la ribellione degli intellettuali fu soppressa nel sangue.

 

Però la Jugoslavia è resistita altri 20 anni…

I rancori nazionalistici covavano quindi da tempo, ma a mandare la Jugoslavia in frantumi fu la crisi economica. Croazia e Slovenia, le aree più ricche del Paese, si sentivano come la vacca grassa munta per sfamare il resto della Jugoslavia. Ma questo sentimento di essere estromessi e marginalizzati da Tito nel 1986 fu espresso anche dall’Accademia serba delle scienze e delle arti.

 

Oggi queste tensioni sono state risolte?

 

Sicuramente la cattura di criminali internazionali come Mladic è un aiuto in questa direzione. Ma soprattutto in Bosnia, dove c’è la presenza di una forza internazionale che mantiene l’ordine pubblico, esistono ancora degli attriti e dei rancori. Nonostante siano passati quasi 20 anni dall’inizio del conflitto, le ferite della guerra non si sono rimarginate. Emblematico l’eccidio di Srebrenica, dove più di ottomila persone vennero trucidate, sepolte nelle fosse comuni e mai completamente identificate. Per non parlare delle ingiustizie che la gente in Bosnia e in Kosovo sente ancora oggi su di sé.

 

Esiste anche il rischio di un’islamizzazione dell’area?

 

Questi rischi ci sono. Antonio Evangelista, ex capo della polizia internazionale in Kosovo e autore del libro La Torre dei crani, descrive le infiltrazioni del fondamentalismo islamico in Kosovo e in Bosnia. Diverse le segnalazioni in questo senso di cui è al corrente anche l’Interpol. L’Islam in Bosnia è sempre stato molto moderato, ma dopo la guerra le cose sono cambiate. Le scuole coraniche sono state incoraggiate, con tutta una serie di sussidi per chi diventava sempre più estremista e ortodosso nella fede islamica, indossando il chador o mandando i figli nei centri di formazione islamici che hanno assunto una connotazione più aggressiva e integralista.

 

(Pietro Vernizzi)





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