IL FATTO/ Morire per caso o suicidarsi a 12 anni: perché la promessa della vita non muore?

- Vincent Nagle

Come giudicare i fatti più tragici che possono accadere nella vita quotidiana? Oggi la notizia di due piccole vite che si sono spente interroga le nostre. Il commento di VINCENT NAGLE

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Difficile trattenere il singhiozzo silenzioso che sale leggendo due notizie tristi, passate oggi sotto gli occhi – due casi di giovanissime vite tragicamente spente.

“La mamma del 13enne ha lanciato un urlo che moltissima gente … ha sentito,” riportava il giornale. Si tratta di un ragazzino ucciso da un vaso caduto dall’alto, mentre camminava sul marciapiede con la mamma e il fratellino. 

“Odio la scuola,” “odio la famiglia” ha scritto una ragazzina di dodici anni, figlia di genitori divorziati, sullo schermo del suo cellulare dopo di essersi alzata per il primo giorno di scuola. Poi si è buttata dalla sua finestra del quinto piano, morendo sul colpo. Rimaneva solo la mamma in casa.

In un caso, una vita, nell’età in cui si raggiungono i primi passi di consapevolezza matura, è stata tolta a causa di quello che ci sembra puro, orrendo caso. Nell’altro, sembra che quei primi passi di consapevolezza matura la povera ragazza non sapesse reggere. E ha gettato via la vita perché si sentiva incapace di sopportare la realtà che le si presentava davanti.

In tutte e due le tragedie sentiamo subito addosso il male del tradimento di quella promessa sacra che è la vita. Sappiamo noi reggere con la dovuta maturità questi avvenimenti? Possiamo noi stare con addolorata compassione al fianco di quella mamma che faceva sentire le sue urla sulla strada, o dell’altra mamma lasciata sola nel silenzio di quell’appartamento ormai vuoto? Cosa può mai ridare il senso confortante della divina provvidenza alla mamma del ragazzo, o ridare un senso di gioiosa promessa alla mamma della ragazza? E di quei ragazzi, che ne sarà?

“Odio la scuola, odio la famiglia,” ha scritto la ragazza. L’odio è quello che proviamo davanti alle cose che ci minacciano. Già, perché la vita è veramente grande; però è percepita o come una grande promessa, oppure come una grande minaccia. Possiamo noi, possono queste mamme continuare a credere nella promessa buona di queste due vite? O chi ha subito questi colpi deve solo difendersi dalla minaccia?

Non possiamo né vorremmo immaginare nessun progetto buono di Dio che vuole la morte di questi due giovani. Possiamo solo lasciarci toccare da una buona parola pronunciata da qualcuno che non ci abbandona, lascarci guardare e abbracciare da chi non fugge né da noi né dal nostro dolore, perché non è minacciato.  

La promessa può tornare a essere credibile nel momento in cui, quasi senza accorgersene, si trova tenuta da un trama di bene che ci comunica la presenza di Colui che è tornato dall’inferno per dire, “Non temere, piccolo gregge… Ecco, io sono con voi tutti giorni, fino alla fine del mondo”. (Lc 12:32; Mt 28:20). Questo trama si fa chiamare Chiesa. Vivendoci dentro percepiamo come questa trama buona si estende fino a dove noi non possiamo vedere, là dove due giovani esseri sono sottratti alla nostra vista.

Questa è la coscienza matura che sa piangere per questi giovani senza disperazione, e far credere ancora in quella promessa che è la vita.





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