«È un tentativo umile ma concreto di dare una risposta a ciò che sta sotto la crisi economica che è il travaglio dell’uomo nel nuovo millennio. Solo l’io in relazione ci porterà fuori dalla crisi. E questa iniziativa mettendo in relazione la famiglia e il lavoro, cioè due aspetti fondamentali della vita, è un primo passo». Con queste parole l’arcivescovo di Milano Angelo Scola ha lanciato “la seconda fase” dell’iniziativa di solidarietà creata dal suo predecessore Dionigi Tettamanzi. Due milioni di euro, per metà stanziati dall’8 per mille, l’altro milione raccolto dalle offerte dei privati, e il “tesoretto” del Cardinale (135 oggetti preziosi ricevuti in dono durante il suo patriarcato a Venezia) messo all’asta (vedi il catalogo online sul sito www.fondofamiglialavoro.it) per dare un segno tangibile della “compagnia” che la Chiesa fa agli italiani in lotta contro la recessione.
Una lotta, dice il vescovo, che ha per legge fondamentale, appunto, l’“io in relazione”. Essere è comunione. E a immagine della Trinità, direbbe Scola, la vita umana ha nel suo Dna il dinamismo della carità. Nessuno è un’isola. L’autodeterminazione è una fanfaluca. Dipendiamo – prova ne è la crisi globale – gli uni dagli altri. Ecco, in questa epoca piena di “solidarietà” da star che insegnano a credere solo in se stessi («ti mostrerò dove stanno gli uomini che credono solo in se stessi», disse una volta Chesterton, «nei manicomi»), è notevole che il gesto di un successore degli Apostoli sia accompagnato dalla spiegazione del senso che ha la “solidarietà”. Parola usata e abusata in ogni spot. Ma la cui pregnanza ci restituisce non solo a un gesto di bontà, ma a un sano principio di vita esistenzialmente buona.