13/08/2013, 00.00
MONGOLIA
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Missionarie della Consolata, da 10 anni in Mongolia per testimoniare Cristo

In una realtà influenzata dall’epoca sovietica, dove il 40% della popolazione si dichiara atea, le persone “in modo naturale” cercano Dio. Il racconto di sr. Sandra Garay, argentina, che conferma “il nuovo inizio” del cammino pastorale. L’Anno della Fede “fonte di rinnovata speranza”.

Ulaanbaatar (AsiaNews) - Una testimonianza di fede, amore e annuncio della Parola di Dio in una realtà povera, in cui i cristiani sono una piccolissima minoranza e i cattolici non raggiungono il migliaio. È l'opera delle Missionarie della Consolata che festeggiano i 10 anni di presenza in Mongolia, chiamate a evangelizzare una popolazione assetata di Dio e contribuire allo sviluppo di una terra - partendo dall'istruzione e dai beni di prima necessità - in cui oltre il 20% delle persone vive con poco più di un dollaro al giorno. Di loro suor Sandra Garay, di origini argentine, racconta: "Le persone qui in modo naturale sono alla ricerca di Dio e del significato della loro vita".

La Mongolia era uno Stato satellite della galassia dell'Unione sovietica fino al collasso del comunismo. In questa realtà il "fervore missionario" delle suore della Consolata ha saputo portare il sollievo e la misericordia della Vergine Maria a quanti sono "nel bisogno" materiale e spirituale. Il cammino di evangelizzazione "è partito da zero" racconta suor Garay e oggi si assiste a un "nuovo inizio" nella pastorale. In questo Anno della Fede, aggiunge, l'opera dei missionari da 10 anni nel Paese asiatico ha trovato "fonte di rinnovata speranza per il nostro popolo".

La Chiesa deve affrontare sfide durissime partendo dal clima e dalla geografia, in un contesto naturale caratterizzato da steppe e inverni rigidi. Metà della popolazione vive nella capitale UlannBataar, mentre la parte restante conduce un'esistenza improntata al nomadismo. "Ovviamente, provenendo da una cultura, un clima, un paesaggio e una lingua diverse - conclude la religiosa - all'inizio è stata molto dura. Ma in quanto missionaria, è Dio che guida e mi aiuta nel percorso di adattamento".

Secondo le ultime stime, i cristiani - di tutte le confessioni - presenti in Mongolia rappresentano poco più del 2% della popolazione, a stragrande maggioranza di fede buddista mischiata con credenze sciamaniche della tradizione locale. Resta alta anche la quota degli atei, che sfiora il 40% del totale. I cattolici sono poche centinaia (835 nel 2012, anche se il numero dei battezzati ha ormai superato i 900) ma hanno saputo far nascere e crescere col tempo centri di accoglienza per orfani, diseredati e anziani, cliniche mediche - in un Paese in cui le infrastrutture sanitarie scarseggiano - e diverse scuole e istituti tecnici.

Nel 1992, al momento dell'ingresso dei primi missionari stranieri (soprattutto filippini), tra i quali il futuro mons. Wenceslao Padilla della Congregazione del cuore immacolato di Maria, non vi erano parrocchie. E solo qualche mese fa erano ancora quattro rispetto alle sei di oggi nella capitale, a conferma del cammino di sviluppo. Nella lettera pastorale diffusa per i 20 anni della Chiesa in Mongolia, il Prefetto apostolico ha ricordato che oggi vi sono nel Paese 81 missionari di 22 nazionalità diverse, mentre i primi due seminaristi autoctoni si stanno preparando al sacerdozio a Daejeon, in Corea del Sud.

 

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