Milano, 4 ottobre 2015 - 10:37

Ruini: «Se vanno avanti sulle unioni civili le proteste non mancheranno»

Parla il cardinale: «Le differenze con Francesco? Io vicino a Giovanni Paolo II e Benedetto. Per le parole di monsignor Charasma provo più pena che sorpresa»

di Aldo Cazzullo

Il cardinale, Camillo Ruini, in un'immagine del dicembre 2005 (Ansa) Il cardinale, Camillo Ruini, in un'immagine del dicembre 2005 (Ansa)
shadow

Cardinal Ruini, quale impressione le ha fatto il «coming out» di monsignor Charamsa?
«Un’impressione di pena, più ancora che di sorpresa, soprattutto per il momento che ha scelto».
L’intervista al «Corriere» ha avuto un’eco molto vasta. Influirà sul Sinodo?
«Non farà certo piacere ai sinodali, ma non avrà alcun influsso sostanziale».
Dice monsignor Charamsa: «La Chiesa capisca che la soluzione proposta ai gay credenti, l’astinenza dalla vita d’amore, è disumana». Lei cosa si sente di rispondergli?
«Gli direi molto semplicemente: come prete ho anch’io l’obbligo di tale astinenza e in più di sessant’anni non mi sono mai sentito disumanizzato, e nemmeno privo di una vita di amore, che è qualcosa di molto più grande dell’esercizio della sessualità».
È parso però che il Papa abbia aperto al dialogo, quando disse «chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?».
«Questa è forse la parola più equivocata di papa Francesco. Si tratta di un precetto evangelico - non giudicare se non vuoi essere giudicato - che dobbiamo applicare a tutti, omosessuali evidentemente compresi, e che ci chiede di avere rispetto e amore per tutti. Ma papa Francesco si è espresso più volte chiaramente e negativamente sul matrimonio tra persone dello stesso sesso».

shadow carousel
Gay, la confessione del monsignore: io felice e con un compagno

Esiste una «lobby gay» ai vertici della Chiesa? Il Papa stesso lo disse, sia pure in un incontro informale.
«Si sentono molte chiacchiere in merito. Se sono vere, è una cosa triste, sulla quale bisogna fare pulizia. Personalmente però non ho elementi per parlare di lobby gay, e non vorrei calunniare persone innocenti».
Dica la verità: al di là del rispetto e anche dell’obbedienza, papa Bergoglio lascia perplessi voi cardinali legati alla stagione di Wojtyla e di Ratzinger.
«Non ho difficoltà a riconoscere che tra papa Francesco e i suoi predecessori più vicini ci sono differenze, anche notevoli. Io ho collaborato per vent’anni con Giovanni Paolo II, poi più brevemente con papa Benedetto: è naturale che condivida la loro sensibilità. Ma vorrei aggiungere alcune cose. Gli elementi di continuità sono molto più grandi e importanti delle differenze. E fin da quando ero uno studente liceale ho imparato a vedere nel Papa prima la missione di successore di Pietro, e solo dopo la singola persona; e ad aderire con il cuore, oltre che con le parole e le azioni, al Papa così inteso. Quando Giovanni XXIII è succeduto a Pio XII, i cambiamenti non sono stati meno grandi; ma già allora il mio atteggiamento fu questo».
In Francesco rivede papa Giovanni?
«Per vari aspetti, sì. Bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa e alla diffusione del Vangelo».
Francesco è un Papa «di sinistra»? Le differenze non sono soltanto nello stile, non crede?
«Certo le differenze non sono solo di stile. Ma non toccano la missione di principio e fondamento visibile dell’unità della fede e della comunione di tutta la Chiesa. Quanto all’essere di sinistra, lo stesso papa Francesco vi è tornato sopra più volte, dicendo che la sua è semplicemente fedeltà al Vangelo, non una scelta ideologica. Ultimamente ha pure aggiunto, scherzando, di essere “un po’ sinistrino”... se ricordo le parole esatte».

shadow carousel
Il coming out del teologo gay sui quotidiani stranieri

C’è il rischio che il Papa sia strumentalizzato sul piano ideologico, come teme il cardinale Scola?
«Che certe prese di posizione del Papa vengano enfatizzate e altre passate quasi sotto silenzio, è più di un rischio; è un fatto. Più che di strumentalizzazioni parlerei di schemi applicati alle personalità pubbliche; schemi ai quali i media si affezionano e difficilmente rinunciano. È successo anche a me: mi collocavano sempre nello schema».
Ad esempio?
«Sul matrimonio gay presi la posizione più aperta che si poteva prendere; ed è stata giudicata la più chiusa».
Lei disse che si potevano riconoscere diritti individuali.
«E ora lo dicono giuristi come Mirabelli. Tutti i diritti individuali si possono riconoscere e molti sono già stati riconosciuti».
Ma l’Italia non ha ancora una legge sulle unioni civili. Le norme di cui si discute in Parlamento richiamano il modello tedesco, non quello francese e spagnolo: niente matrimonio, niente adozioni. Perché un cattolico non potrebbe votarle?
«Proprio il modello tedesco prevede che le copie omosessuali abbiano in pratica tutti i diritti del matrimonio, eccetto il nome. E la proposta di legge su cui si discute in Parlamento apre uno spiraglio pure all’adozione. Si sa benissimo, e alcuni sostenitori della proposta lo dicono chiaramente, che una volta approvata si arriverà presto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e alle adozioni. Personalmente condivido il commento del cardinale Parolin, dopo il referendum in Irlanda: “Il matrimonio omosessuale è una sconfitta dell’umanità”. Perché ignora la differenza e complementarità tra uomo e donna, fondamentale dal punto di vista non solo fisico ma anche psicologico e antropologico. L’umanità attraverso i millenni ha conosciuto la poligamia e la poliandria, ma non per caso il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una novità assoluta: una vera rottura che contrasta con l’esperienza e con la realtà. L’omosessualità c’è sempre stata; ma nessuno ha mai pensato di farne un matrimonio».


Ci sarà anche in Italia un movimento di protesta contro le unioni civili?
«Le avvisaglie ci sono già state con la manifestazione del 20 giugno in piazza San Giovanni. L’organizzazione è stata minima, e il riscontro mi ha colpito molto: si è parlato di 300 mila persone. Se si andasse avanti per una certa strada, difficilmente le proteste mancheranno».
Lei ha detto al «Corriere» che l’ondata libertaria rifluirà, come è rifluita l’ondata marxista. Come fa a esserne così certo?
«Non ho detto che rifluirà, ma che potrebbe rifluire. La possibilità e la speranza, non la certezza, di un cambiamento di direzione è suggerita dal contrasto tra l’ondata libertaria e il bene dell’umanità, che non è una somma di soggetti chiusi in se stessi, ma una grande rete in cui ciascuno ha bisogno degli altri. Mi stupisce che i governanti, che dovrebbero avere a cuore la coesione, non si rendano conto che in questo modo avranno società sbriciolate».
È possibile riammettere alla comunione i divorziati risposati?
«No. I divorziati risposati non si possono riammettere alla comunione non per una loro colpa personale particolarmente grave, ma per lo stato in cui oggettivamente si trovano. Il precedente matrimonio continua infatti a esistere, perché il matrimonio sacramento è indissolubile, come ha detto papa Francesco nel volo di ritorno dall’America. Avere rapporti sessuali con altre persone sarebbe oggettivamente un adulterio».
È possibile pensare a eccezioni caso per caso?
«Non mi piace la parola “eccezioni”. Sembra voler dire che ad alcuni si concede di prescindere dalla norma che li riguarda. Se invece il senso è che ogni singola persona e ogni singola coppia vanno considerate in concreto per vedere se quella norma le riguarda o non le riguarda, questo è un principio generale che va tenuto presente sempre, non solo per il matrimonio ma per tutto il nostro comportamento».
In astratto è possibile quindi che un divorziato risposato riceva la comunione?
«Sì, se il matrimonio è dichiarato nullo».
Le nuove disposizioni al riguardo non rischiano di ammorbidire il vincolo, di introdurre una sorta di divorzio cattolico?
«Il rischio può esistere solo se le nuove disposizioni non vengono applicate con serietà. Bisogna migliorare anzitutto la preparazione dei giudici. Introdurre surrettiziamente una specie di divorzio cattolico sarebbe una pessima ipocrisia, molto dannosa per la Chiesa e per la sua credibilità. Ma la decisione di papa Francesco, che molti di noi - me compreso - auspicavano, non ha niente a che fare con un’ipocrisia del genere».
Se la mancanza di fede di uno degli sposi può portare alla dichiarazione di nullità, non si aprono spazi molto vasti?
«Certo. E per questa ragione papa Benedetto, pur essendo convinto che la fede sia necessaria per il matrimonio sacramentale come per ogni altro sacramento, è stato molto prudente nel trarre da questo principio conseguenze pratiche. Anche papa Francesco si è limitato a indicare la mancanza di fede come una delle circostanze che possono consentire il processo più breve davanti al vescovo, quando questa mancanza di fede generi la simulazione del consenso, o produca un errore decisivo quanto alla volontà di sposarsi. Scherzosamente potrei dire che chi si è spinto più avanti su questa strada sono piuttosto io, nel mio contributo al libro degli undici cardinali che esce in questi giorni...».
Una famiglia di migranti in ogni parrocchia: la convince? O condivide le perplessità dell’arcivescovo di Bologna?
«Il cardinale Caffarra ha messo in luce le condizioni senza le quali l’accoglienza diventa difficile, e può anche essere controproducente. Cercare di realizzarle è un servizio e non un ostacolo all’accoglienza».
Caffarra sostiene che bisogna accogliere i migranti «conosciuti».
«Conosciuti nel senso di identificati. Diciamo la verità: molti anche nella Chiesa non accolgono nessuno; molti accolgono così, alla garibaldina. Bisognerebbe trovare una via di mezzo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT