Più di due milioni di nigeriani sono sfollati in patria a causa degli attacchi di Boko Haram. Altri 141 mila sono fuggiti nei confinanti Niger, Chad e Camerun andando così a riempire i campi profughi che già davano riparo a 66 mila sfollati in Niger, 68 mila in Chad e quasi 93 mila in Camerun, anche loro cacciati dalle loro case dai terroristi islamici.
«NESSUN POSTO DOVE SCAPPARE». I dati sono contenuti nel lungo rapporto di Irin, intitolato “Nessun posto dove scappare, nessun luogo dove nascondersi”, che racconta l’epopea dei nigeriani costretti a fuggire dagli attentati sanguinari di Boko Haram, che dal 2009 devasta il nord della Nigeria per instaurare un Califfato islamico.
TUTTI FUGGONO. Alcuni scappano per non essere uccisi, altri perché non hanno più una casa, altri ancora perché non sanno più dove trovare lavoro o per difendere i propri cari. «Io non sono scappata perché avessi paura dei miliziani», racconta una madre. «Me ne sono andata per impedire che Boko Haram reclutasse i miei figli».
ATTACCARE I CAMPI PROFUGHI. C’è solo una cosa peggiore di dover abbandonare la propria casa dopo che è stata distrutta dai terroristi: doverlo fare più volte. Uno dei dati diffusi dall’Onu dice che oltre il 60 per cento degli sfollati ha dovuto cambiare campo profughi «diverse volte». Boko Haram, infatti, dopo aver distrutto intere città diffonde il terrore attaccando i luoghi dove i profughi trovano un riparo di fortuna, per non lasciargli «nessun posto dove scappare, nessun luogo dove nascondersi».
«DISPERAZIONE E AGONIA». L’11 settembre, ad esempio, è esplosa una bomba nel campo di Malkohi, vicino a Yola. L’esercito nigeriano sta per questo evacuando un po’ alla volta quattromila persone per trasportarle a Maiduguri, dove quasi ogni settimana viene condotto un attentato. Anche i campi di Fufore e Damare devono essere evacuati per lo stesso motivo. «Lasciate che ve lo dica, viviamo in un’atmosfera di disperazione e agonia», racconta Njidda Goni, trasportata da Malkohi a Maiduguri. «Siamo spaventati, potrebbe accadere qualsiasi cosa».
DIFFIDENZA. Halima Babagana, vedova, vive ancora nel vecchio campo e ha paura: «Non posso continuare a stare qui perché nessuno può garantirmi che queste persone, questi Boko Haram, non colpiranno di nuovo. Qui potrebbero esserci dei loro informatori, dei loro uomini».
A ogni nuovo arrivo nel campo è sempre la stessa storia: «I militari portano qui facce sconosciute, questo ci disturba. Guardiamo cos’è successo l’ultima volta: è esplosa una bomba! Chi volete che sia il responsabile?».
«SIAMO NELLE MANI DI DIO». La diffidenza verso gli ultimi arrivati crea divisione all’interno dei campi e così Boko Haram riesce a perseguitare e a intimorire i nigeriani anche quando non li attacca, innescando una guerra tra disperati.
Tutti però sono rassegnati: nessuno ha un altro posto dove andare. Qualcuno si avventura da solo nelle grandi città ma finisce per dormire per strada, nella miseria più totale: «Da quando ho lasciato il mio villaggio, vivo senza un lavoro», dichiara sconsolato Ali Buno, 50 anni, sposato con cinque figli. «Nessuno ci aiuta tranne qualche persona che conosciamo qui a Maiduguri. Siamo nelle mani di Dio».
Foto Ansa/Ap