Nel tripudio di giochi di parole e calembour semantici escogitati dai vari giornali e critici cinematografici per promuovere al meglio la visione de Il caso Spotlight, nessuno, a quanto pare, ha ritenuto di utilizzare una coincidenza di termini e significati a dir poco prodigiosa, della quale perciò ci permettiamo di approfittare noi.
Se è vero infatti che la parola inglese “Spotlight” (il nome del team investigativo del Boston Globe che fece il famoso scoop sui preti pedofili celebrato nel film da Oscar) in italiano si traduce con “riflettore”, e se è altrettanto vero che si tratta di termini molto adatti a costruire titoli e recensioni efficaci, è vero anche che quella stessa parola, “riflettore”, in tedesco “Scheinwerfer”, era già stata usata nel 1946 dal grande filologo Erich Auerbach nel suo capolavoro di critica letteraria Mimesis (edito in Italia da Einaudi) per descrivere una «tecnica propagandistica» il cui «maestro» era niente meno che Voltaire, somma icona degli intellettuali illuministi anticlericali.
Si tratta appunto della «tecnica del riflettore», spiegata da Auerbach in un brano che è ormai da anni, modestamente, un cavallo di battaglia di Tempi. E che ci permettiamo di riproporre qui ai nostri lettori come una specie di recensione ante litteram de Il caso Spotlight.
Va precisato soltanto che Auerbach esemplifica il “metodo spotlight” di Voltaire utilizzando «un passo tolto dalla sesta delle Lettere filosofiche, in cui sono raccolte le sue impressioni sull’Inghilterra». Il passo è il seguente: «Entrate nella Borsa di Londra, in questo luogo più rispettabile di molte corti; vi vedete riuniti i deputati di tutte le nazioni per l’utilità degli uomini. Qui il giudeo, il maomettano e il cristiano discutono insieme come se fossero della stessa religione, e non dànno dell’infedele se non a chi fa bancarotta; qui il presbiteriano confida nell’anabattista, e l’anglicano accoglie la promessa del quacquero. Uscendo da queste riunioni pacifiche e libere, gli uni vanno alla sinagoga, gli altri a bere; questo va a farsi battezzare in un grande bacino in nome del Padre, dal Figlio, allo Spirito Santo; l’altro fa tagliare il prepuzio di suo figlio e fa borbottare sul bimbo parole ebraiche che non intende affatto; questi altri vanno nella loro chiesa ad attendervi l’ispirazione divina col cappello sulla testa, e sono contenti tutti».
Ed ecco il commento del critico letterario tedesco:
Questo quadro della Borsa di Londra non è scritto proprio con un intento realistico; quello che vi accade l’apprendiamo soltanto in generale. L’intento è invece d’insinuare certi pensieri (…) Non appare il carattere particolare dei giudei o dei quacqueri, il fondamento o la speciale formazione delle loro convinzioni, bensì, e specialmente per i non iniziati, la ridicolaggine del loro cerimoniale religioso. Anche questo costituisce un esempio assai amato dalla tecnica propagandistica che spesso ne fa un uso ancor più rozzo e tendenzioso, così che potremmo chiamarla la tecnica del riflettore.
Essa consiste in ciò, che di tutto un ampio discorso s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e a dare a ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel buio. In questo modo vien detta apparentemente la verità, poiché quanto è detto è incontestabile, e tuttavia tutto è falsato, essendo che la verità è composta di tutta la verità e del giusto rapporto fra le singole parti.
Specialmente nelle epoche agitate, il pubblico ricasca sempre in questo tranello, e tutti siamo in grado di trarre buon numero d’esempi dal passato più recente. Con ciò il trucco nella maggior parte dei casi è facile da scoprire, ma alla gente, nei momenti di grandi passioni, manca la volontà di farlo. Quando una forma di vita o un gruppo sociale ha fatto il suo tempo o ha anche solamente perduto favore o sopportazione, ogni iniquità scagliatagli contro dalla propaganda è salutata con gioia sadica, anche se la coscienza pubblica la trova veramente per metà iniqua.
Perfetto anche quest’altro passaggio di Auerbach, sempre concentrato sulla propaganda voltairiana, ma valido anche per questa recensione:
Prescindendo dall’eccessivo cumulo di disgrazie e dal fatto che in troppi casi non stanno in nessuna intima relazione con le vittime, Voltaire falsifica la realtà anche semplificando oltre misura le cause degli avvenimenti. Le cause dei destini umani che appaiono nei suoi scritti illuministici e realistici sono o avvenimenti naturali o eventi fortuiti o, in quanto le azioni umane possano considerarsi come cause, gli appetiti, la cattiveria e soprattutto la stupidità.
Egli non considera mai le ragioni storiche delle sorti umane, le convinzioni e le istituzioni umane; e così tanto per la storia degli individui quanto per quella degli Stati, delle religioni e della società umana in generale. Come nel nostro primo esempio della Borsa londinese sono assurdi, stolti, dipendenti dal caso l’anabattismo e il giudaismo e il quacquerismo, parimenti appaiono in Candide le spedizioni militari, le leve, le persecuzioni religiose, le opinioni dei nobili e degli ecclesiastici; ed egli insinua come cosa del tutto naturale che nessun uomo con la testa sul collo possa credere a un ordine intimo dei fatti o a una giustificazione intima delle opinioni.
Egli insinua pure come cosa naturale e dimostrata che a ognuno possa toccare qualunque sorte purché sia in accordo con le leggi naturali, senza riguardo alcuno alla possibile correlazione fra carattere e destino, e talvolta si compiace di fabbricare concatenazioni di cause che, comprensibili come avvenimenti naturali, sopprimono consapevolmente l’individuo morale e storico. Si legga ad esempio nel capitolo 4 di Candide l’esposizione che fa Pangloss dell’origine della sua sifilide:
«Voi avete conosciuto Pasquina, la graziosa cameriera della nostra augusta baronessa; fra le sue braccia ho goduto le delizie del paradiso, che hanno prodotto questi tormenti d’inferno da cui mi vedete divorato; lei era infetta, e forse ne è morta. Pasquina aveva ricevuto questo regalo da un francescano dottissimo, che era risalito alla fonte; perché l’aveva avuta da una vecchia contessa, a cui l’aveva data un capitano di cavalleria, che la doveva a una marchesa, che l’aveva avuta da un paggio, che l’aveva ricevuta da un gesuita che, quando era novizio, l’aveva avuta in linea retta da uno dei compagni di Cristoforo Colombo…».
Una simile esposizione che tien conto esclusivamente delle cause fisiche, e che riguardo al lato morale fa soltanto la satira dei costumi ecclesiastici (anche l’omosessualità!), ma che nello stesso tempo sopprime con allegria sbrigativa tutti i fattori individuali che nei singoli casi avevano originato i rapporti amorosi, insinua una visione precisa del concatenarsi degli avvenimenti, in cui è eliminata tanto la responsabilità dell’uomo singolo per le sue azioni che seguono l’impulso naturale, quanto tutto ciò che dalla sua disposizione particolare e dal suo particolare intimo sviluppo conduce ad azioni determinate.
Solo di rado Voltaire si spinge così oltre come in questo passo e in genere in Candide. In fondo è un moralista, e negli scritti storici si trovano anche ritratti dove il carattere individuale è posto in chiaro rilievo. Ma egli è sempre portato a semplificare, e la semplificazione avviene in modo che la ragione sana, pratica, illuministica, quale incominciava a formarsi al suo tempo anche col concorso della sua influenza, sia l’unica misura del giudizio e che, delle condizioni sotto le quali si svolge la vita umana, trovino seria considerazione soltanto quelle materiali e naturali. Ciò s’accorda con quell’animo attivo e strenuo che si realizza nell’Illuminismo: la società umana doveva venir liberata dai fardelli che s’opponevano al progresso della religione; questi impacci erano evidentemente le condizioni religiose, politiche ed economiche che si erano costituite storicamente e irrazionalmente e avevano dato luogo a un groviglio intricatissimo. Non sembrava necessario comprenderle e giustificarle, bensì screditarle.