Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Tutte le informazioni indicano che l’estate 2016 sarà ricordata per un’emergenza profughi mai vista in Europa. Infatti, mentre con la Turchia che ai suoi confini tiene bloccati qualcosa come 2 milioni di civili in fuga dallo Stato islamico l’Unione Europea ha raggiunto un fragile accordo barattando il blocco dei flussi in cambio di soldi, dal continente africano centinaia di migliaia di persone sono in marcia verso le sponde del Mediterraneo. C’è di tutto in queste masse di disperati che si muovono verso nord, sognando un Bengodi che non esiste, grazie alle immagini di ricchezza e benessere che vedono scorrere nelle tv che raggiungono ormai ogni angolo del Villaggio Globale. Ci sono sudanesi, somali ed eritrei che fuggono dai tagliagole islamisti e da regimi di macellai veterocomunisti. Ci sono minoranze etniche e religiose perseguitate. E soprattutto ci sono giovani e giovanissimi emigranti dell’Africa subsahariana e del Maghreb che in cambio di soldi, molti soldi, vengono organizzati, trasportati verso le coste libiche e messi in mare sui barconi dai trafficanti di esseri umani.
Tutto questo cataclisma succede mentre in Medio Oriente i principali supporter del terrorismo che sta spopolando Iraq e Siria preparano i Mondiali di calcio del 2020 con migliaia di lavoratori stranieri messi a regime schiavista o si godono ricchezze stratosferiche al riparo di frontiere rese impermeabili, sigillate rispetto all’entrata di un solo profugo e “fratello musulmano”. È il caso dell’Arabia Saudita, paese che adesso si permette anche di ricattare l’economia mondiale, minacciando disinvestimenti per migliaia di miliardi di dollari se gli Stati Uniti renderanno pubblico il rapporto che dimostrerebbe il coinvolgimento di Riyadh negli attacchi dell’11 settembre 2001 che provocarono più di tremila morti a New York e Washington.
Davanti a un panorama di guerra condotta con tutti i mezzi, dove profughi e migranti sono giocati come carta di ricatto umanitario, non basta denunciare i “muri” europei. Il dovere dell’accoglienza impone infatti anche atti di giustizia. Come richiesto dal documento che le chiese ortodosse hanno sottoscritto a Lesbo col Papa, la prima “carità” è intervenire con «ogni mezzo» per rimuovere le cause che hanno scatenato l’esodo biblico.
«Ci appelliamo a tutti i responsabili politici affinché sia impiegato ogni mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani, possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale di vivere in pace e sicurezza. Sono urgentemente necessari un più ampio consenso internazionale e un programma di assistenza per affermare lo stato di diritto, difendere i diritti umani fondamentali in questa situazione divenuta insostenibile, proteggere le minoranze». L’obiettivo è «una pace giusta e duratura e un ritorno onorevole per coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case».
Foto Ansa/Ap