Non esiste un diritto al matrimonio omosessuale e gli Stati non sono obbligati a introdurre le nozze gay, anche se sono invitati a legiferare per garantire diritti a queste coppie. È quanto ha stabilito la quinta sezione della Corte europea per i diritti dell’uomo, rispondendo al ricorso 40183/07 diretto contro lo Stato francese da Stéphane Chapin e Bertrand Charpentier.

I due uomini si erano sposati in Comune di fronte al leader ecologista Noël Mamèredi, sindaco di Bègles, nel giugno 2004, nonostante l’opposizione della magistratura: in Francia all’epoca non esisteva il matrimonio omosessuale. Le nozze erano state in seguito annullate. I due ricorrenti hanno ritenuto di essere stati discriminati e citando gli articoli 12 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sono ricorsi alla Corte

La notizia della sentenza è stata anticipata da «La Cuarta columna».

Che cosa recitano i due articoli citati dai ricorrenti? L’articolo 12 stabilisce che «A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto». Mentre l’articolo 14 afferma che «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

La Corte europea ha però fatto osservare che «gli Stati restano liberi ai sensi dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 di non aprire il matrimonio alle coppie eterosessuali e godono di un certo margine di valutazione nel decidere la natura esatta dello statuto conferito dalle altre modalità di riconoscimento giuridico» delle coppie omosessuali.

L’articolo 8 della Convenzione, citato dalla Corte, è quello che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare e che stabilisce: «Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

Come si ricorderà nel luglio 2015 la stessa Corte aveva individuato un deficit nella legislazione italiana, invitandoci a legiferare sull’argomento, ma già in quella sede aveva ribadito che non esiste il «diritto umano al matrimonio» e nemmeno quello «all’adozione»: gli Stati restano liberi di disciplinare la materia come meglio credono e l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non impone alcuna obbligazione a garantire l’accesso al matrimonio per le coppie dello stesso sesso.

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