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 2018  maggio 16 Mercoledì calendario

Gay e lesbiche litigano

Ci sono gli eterosessuali e poi gli omosessuali, il resto è farina del diavolo, anzi peggio: di uomini che si credono nel giusto. La notizia sarebbe che la storica associazione Arcigay di Bologna “Il Cassero” vuole sfrattare la storica Arcilesbica di Bologna appunto da “Il Cassero”, cioè dalla sede di via Minzoni. Perché? In realtà non ce ne frega niente, ma la notizia diventa ghiotta per chi ha voglia di sfottere genericamente entrambi (cioè tutto il mondo omosessuale) ma anche per chi tende a dimostrare che ogni particolarismo tende a crearne (...) :::segue dalla prima FILIPPO FACCI (...) giocoforza un altro, o cento altri, e così accade con ogni fanatismo, pronto a sua volta a essere condiviso e strumentalizzato da altri fanatici che magari sono di tutt’altra estrazione. Dicevamo: il “Cassero LGBT center” è appunto il comitato provinciale Arcigay di Bologna, noto per essere stato tra i precursori dell’unione tra politica e ideologia gay (il Comune di Bologna già nel 1982 riconosceva «l’importanza e la proget-tualità di una realtà associativa gay e lesbica» e concesse l’uso di una sede) che fece da propulsore e creò altri circoli Arcigay in tutto il Paese, e, dal punto di vista di destrorsi o cattolici integralisti, cominciò a diffondere il male. BOTTA E RISPOSTA Ora il direttivo del circolo Arcigay ha chiesto ufficialmente all’associazione Arcilesbica di lasciare i locali, ed ecco le accuse incrociate. I cacciati, anzi le cacciate, dicono: «Ci sfrattano perché non ci siamo allineati al gotha arcobaleno, siamo colpevoli di avere posizioni autonome». Su che? «Noi di Arcilesbica non ci siamo allineati alla richiesta di legalizzare l’utero in affitto, promuovendo invece l’accesso alle adozioni». Parole di Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica, che continua: «Abbiamo denunciato l’assur-dità di rivendicare farmaci bloccanti della pubertà per i bambini e le bambine con comportamenti non conformi alle aspettative di genere, chiedendo invece di lasciare libera l’infanzia di esprimersi al di là degli stereotipi di genere». Comincia a girare la testa, ma facciamola finire: «Abbiamo criticato l’assistenza sessuale alle persone con disabilità, chiedendo per loro il pieno inserimento sociale e la non mercificazione dell’affettività. Abbiamo respinto lo slogan “Sex work is work”, perché non normalizziamo l’uso sessuale delle donne». E gli altri, l’Arcigay quella cattiva, che dice? Nella lettera si limita a comunicare che «ogni accesso agli spazi, se non concordato, sarà considerato da noi e dal Comune, proprietario dello stabile e informato della vicenda, come illegittimo». Vincenzo Branà, presidente del circolo, difende la scelta: «Non è uno sfratto: Lesbiche Bologna è uscito dalla rete nazionale, è venuto meno il legame che rendeva possibile la permanenza della sede legale di Arcilesbica». Chiaro? No, ma in mezzo a tutto questo riescono a schierarsi anche associazioni che hanno in uggia i gay in toto, di qualsiasi estrazione, come le varie associazioni “pro vita” che denunciano il monopolio della famosa “lobby gay” contro chi abbia il coraggio di denunciare l’utero in affitto, fossero pure altre associazioni gay. IDENTITÀ DI GENERE La verità ovviamente è molto più banale e laterale, e si fa paradosso – e farina del diavolo – nel momento in cui una legittima battaglia di minoranza ha smesso di essere solo “civile” e si è fatta ideologica: perché le ideologie si moltiplicano fisiologicamente come pure accadrebbe in un’associazione che volesse occuparsi, chessò, in generale di “politica”. Ma per capirlo però dovete avere la forza di giungere in fondo all’articolo. Sì, perché vedete, la sigla utilizzata per l’associazione (infelice e pochissimo musicale) è Lgbt, adattamento di Lgb che sostituiva “gay” che secondo alcuni non rappresentava per bene tutti i gay. L’acronimo Lgbt doveva enfatizzare la diversità delle culture basate su sessualità e identità di genere, o essere usato per distinguere chi fosse non-eterosessuale e non-cisgender (cominciano i casini) rispetto a chi fosse solo lesbica, gay, bisessuale o transgender. Infatti molti gay (li chiamiamo tutti gay, scusate) rifiutano Lgbt e aggiungono una Q per identificarsi anche nei “queer” o in coloro che stanno ancora “interrogando” la propria identità: da qui la sigla Lgbtq, che esiste da 12 anni anche se altre persone denominate “intersessuali” suggeriscono di estendere l’acronimo a Lgbtqi o di combinare i due acronimi in Lgbtqi. Capito niente? Siete normali. Anche perché le varianti esistono e lottano tra loro. Lgbt e Glbt sono i termini più comuni (Lgbt è più femminista, perché la L sta per lesbica) ma tutto si riduce a Lgb quando non include i transessuali; l’aggiunta della Q può stare per “queer” o per “questioning”, cioè in dubbio (a volte si usa un punto interrogativo) o comunque non facilmente identificabile con L, G, B o T. Ecco perché ci sono anche le varianti Lgbt o Lgbtqq. Ma se esci dalla provinciale italialetta e vai nel Regno Unito, per esempio, trovi lo stilizzato Lgb&t, anche se il partito dei Verdi d’inghilterra e Galles usa il termine LGBTIQ. Insomma fanno casino, e lo fanno apposta, la chiamano “alphabet soup”, zuppa alfabetica. ATTRIBUTI BIOLOGICI Momento, e i bisessuali? In genere includono gli omnisessuali, i fluidi e i queer (mancano solo gli “uomini sessuali” di Checco Zalone) da non confondere col generico mondo transgender: ma molti transessuali e intersessuali non sono d’accordo su questo punto. Per spiegarci meglio, però, dovremmo approfondire l’influente legislazione australiana contro le discriminazioni, secondo la quale l’intersessualità è un attributo biologico distinto sia dall’identità di genere che dall’orientamento sessuale. In altro momento, per non favorire il suicidio, andrebbe poi approfondito come la sigla Slg (“same gender loving”, amore per lo stesso sesso) sia preferito dai neri (o negri) per distinguersi dalle comunità dominate dai bianchi (o biancri). Insomma, tutto chiaro. Si può dire chiaro? riproduzione riservata