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PARADOSSI UE

Se gli amici di Soros fanno le pulci ai fondi pro-vita

Due commissioni del Parlamento europeo tengono una riunione dal titolo: “Interferenze straniere nel finanziamento delle organizzazioni anti-scelta nell’UE”. Obiettivo? Screditare i gruppi pro-vita, sviando l’attenzione dai bambini. Ma è un boomerang, perché le organizzazioni abortiste (legate ai relatori) ricevono decine di milioni da Gates, Soros e altri potentati internazionali.

Vita e bioetica 31_03_2021

Nelle stanze delle istituzioni comunitarie e nei relativi dintorni politico-culturali, è in corso un nuovo attacco non solo verso la vita nascente e la famiglia naturale bensì contro la stessa libertà di difenderle. Il vocabolario e gli argomenti usati per questo attacco sono, come sempre, tra il raffinato e il paradossale.

Il 25 marzo (solennità dell’Annunciazione), due commissioni del Parlamento europeo hanno tenuto a Bruxelles una riunione congiunta dal titolo che è tutto un programma: «Interferenze straniere nel finanziamento delle organizzazioni anti-scelta nell’UE». Legenda: anti-scelta = pro-vita. A riunirsi, nello specifico, sono state la «Commissione sui diritti delle donne e l’uguaglianza di genere» (in sigla Femm) e la «Commissione speciale sulle interferenze straniere in tutti i processi democratici dell’Unione Europea, inclusa la disinformazione» (si chiama proprio così; in sigla Inge), presiedute rispettivamente dall’austriaca Evelyn Regner e dal francese Raphaël Glucksmann, europarlamentari socialisti.

Due gli obiettivi fondamentali nel breve termine: 1) approvare la bozza di risoluzione presentata dall’eurodeputato Predrag Matić, che presenta l’aborto come un «diritto alla salute», chiede l’educazione sessuale fin dalle elementari secondo gli standard dell’Oms (comprensivi, com’è noto, dei multiformi assiomi Lgbt) e attacca l’obiezione di coscienza; 2) pubblicare un rapporto sul finanziamento delle organizzazioni pro-vita europee con il fine di metterle in cattiva luce e magari escluderle dall’arena politico-sociale, dimostrando che sono «pericolose per la democrazia e contrarie ai valori dell’UE».

Alla riunione del 25 marzo, che prevedeva pure collegamenti da remoto, sono stati invitati come relatori solo lobbisti pro-aborto, che hanno avuto come bersagli gruppi quali la Fondazione Lejeune, Citizen Go, l’European Centre for Law and Justice (Eclj), eccetera, nonché singoli attivisti pro-vita come Luca Volontè, Aleksej Komov e altri. Proprio l’Eclj riferisce di aver indirizzato ai socialisti Regner e Glucksmann la richiesta di poter intervenire, ma il tentativo è stato vano. Evidentemente la riunione doveva essere a senso unico.

Il paradosso, specie in tema di interferenze e finanziamenti stranieri, è vedere a quali organizzazioni fanno capo i relatori del 25 marzo. Tra loro Neil Datta, lobbista presso il Parlamento europeo per conto dell’International Planned Parenthood Federation (Ippf), che da sola gode di un budget (miliardario) rispetto a cui le donazioni che possono ricevere molti dei gruppi pro-vita sotto attacco sono briciole. In particolare, riporta l’Eclj, «la sola Fondazione Gates ha contribuito dal 2010 con più di 25 milioni di dollari all’Ippf European Network e con quasi 3 milioni di dollari nel solo 2018 al braccio parlamentare della lobby, l’European Parliamentary Forum (Epf) su Popolazione e Sviluppo, guidato da Neil Datta». Come si può vedere sul suo stesso sito Internet, l’Epf vanta altri donatori di spicco, quali l’Open Society di George Soros, l’Oms, l’Unfpa, le fondazioni Hewlett, MacArthur, Nike, ecc.

Tra i relatori figurava anche Claire Provost di Open Democracy, organizzazione che tra il 2016 e il 2019 ha ricevuto oltre 1,5 milioni di dollari dalla solita Open Society, e che negli anni - vedi ancora il relativo sito Internet - ha avuto tra gli altri contribuenti: Fondazione Avaaz, Fondazione Ford, Rockefeller Brothers, Ipas (una Ong abortista), ecc.

Fa quindi sorridere che di fronte alle fonti internazionali di finanziamento di cui gode l’industria pro-aborto, i promotori della riunione-processo del 25 marzo abbiano pensato di usare come strumento di propaganda le donazioni che alcuni gruppi pro-vita europei ricevono dall’estero, costruendo chissà quale castello di tesi. Naturalmente, possono permettersi una strategia così (da potenziale boomerang) perché il grosso dei media è a favore dell’aborto e, storicamente, si è già dimostrato abilissimo a veicolare menzogne funzionali allo scopo. Del resto, il punto rimane quello di far passare un’uccisione legalizzata per “libertà, scelta”, quindi di rendere la morte preferibile alla vita, facendo sparire dall’orizzonte il diritto naturale del bambino a nascere. E, poi, riguardo ai finanziamenti l'unico ragionamento di buonsenso sarebbe in ogni caso sulla liceità morale della loro provenienza e del loro fine (che per l'aborto procurato è sempre cattivo). Il resto sono cortine di fumo. In questo senso Gregor Puppinck, direttore dell’Eclj, afferma che il metodo usato è quello di attaccare «le persone piuttosto che i loro argomenti». Puppinck, un giurista, denuncia il lavoro ad hominem che da più di dieci anni a questa parte farebbe il già citato Datta: «Nei suoi rapporti, lui non esita a disseminare informazioni personali e familiari sui suoi avversari e sui loro figli, o ad usare documenti dichiarati rubati. Al riguardo è in corso un’indagine giudiziaria».

L’unico intervento a favore della vita - di fatto un “fuoriprogramma” - nelle quasi due ore di riunione è stato quello dell’eurodeputata spagnola Margarita de la Pisa che ha definito la messinscena presieduta dai due politici socialisti una «propaganda per un’unica e totalitaria visione» e ricordato che ci sono tante mamme che rimpiangono i propri aborti ma nessuna che rimpiange di aver dato alla luce un bambino.

La risoluzione a firma Matić, che dovrebbe essere votata a maggio, è un’ideale prosecuzione del Rapporto Estrela, che era stato bocciato nel 2013 grazie alla mobilitazione pro-vita. Secondo la bozza del documento, il fatto che ci siano Paesi in Europa che «hanno ancora leggi che proibiscono l’aborto tranne che in circostanze strettamente definite […] è una violazione dei diritti umani e una forma di violenza basata sul genere». A questa asserzione non è associato nessun documento internazionale vincolante e lo stesso relatore deve riconoscere, obtorto collo, che la competenza in materia è dei singoli Stati membri. Se approvata, la stessa risoluzione - che ha molte probabilità di passare vista l’approvazione a larga maggioranza di altri documenti simili (vedi la recente risoluzione contestata duramente dai vescovi della Comece) - non avrebbe comunque carattere vincolante, ma servirebbe a fare ulteriori pressioni sugli Stati per allargare le maglie dell’aborto. In quale modo si sa: “Ce lo chiede l’Europa”.