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IL LIBRO

Sesto comandamento, tornare alla teologia del corpo

"Non commettere atti impuri" non è un divieto di esercitare le funzioni naturali della sessualità. Piuttosto, è un modo per definire un quadro favorevole affinché la sessualità sia al servizio della realizzazione dell’intera persona umana, nella vita presente e futura, nella beatitudine eterna. Pubblichiamo alcuni estratti dall'intervento del cardinale Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nel libro “Dieci x Dieci - Dieci comandamenti per Dieci cardinali”

Ecclesia 29_09_2021
Il cardinale Besungu

Pubblichiamo alcuni stralci della catechesi sul Sesto Comandamento (Non commettere atti impuri) del cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, contenuta nel libro “Dieci x Dieci - Dieci comandamenti per Dieci cardinali”, uscito in questi giorni per i tipi di Ares.

«Fuggite le relazioni proibite. Qualsiasi peccato l’uomo commetta, resta fuori dal suo corpo; ma con la fornicazione, si pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6, 18-20).

(…) Il sesto Comandamento riguarda ciò che san Paolo, nel brano del testo sopra citato, chiama «relazioni proibite» che si devono evitare. Perché queste relazioni contaminano il corpo che è considerato il tempio dello Spirito Santo. (…) Applicare questo precetto significa proteggere il tempio dello Spirito Santo, amare e adorare Dio, in definitiva amare e rispettare il prossimo. (…)

Credo che al centro del sesto Comandamento ci sia un invito a rispettare e salvaguardare due realtà essenziali: il corpo e le relazioni. Infatti, per gli esseri umani, il corpo è il principio di identificazione o distinzione personale, il principio dell’inserimento nel mondo e nella società, in definitiva il principio di «relazionalità».

Il corpo è stato visto in modo diverso nel corso dei secoli. L’antica cultura greca concepiva l’incarnazione e la risurrezione, nel senso di un ritorno alla vita carnale, come una caduta, una decadenza. (…)
Il cristianesimo, essendo una religione dell’incarnazione, andrà nella direzione opposta. Riconosce un grande valore nel corpo umano, anche se questo non è stato sempre ben compreso né enfatizzato nei secoli passati. La sua dottrina sul valore del corpo umano si opporrà anche al dualismo manicheo. Una visione negativa del corpo favoriva il fatto che questo doveva essere sottoposto a esercizi fisici e spirituali per consentire il dominio dell’anima su di esso. Perché è il corpo che conduce al peccato. In questo contesto, santificare il corpo era, paradossalmente, spogliarlo delle funzioni naturali: sensazioni, desideri, bisogni naturali. (…)

San Giovanni Paolo II, che tanto ha sviluppato la teologia del corpo, ricorda che la concezione cattolica del corpo è diversa dal manicheismo. Interpretando Mt 19, 5-6, ritiene che «il corpo, nella sua mascolinità e femminilità, è “dal principio” chiamato a diventare la manifestazione dello spirito. [...] Questo significato etico non ha nulla in comune con la condanna manichea, ed è invece profondamente compenetrato del mistero della “redenzione del corpo”, di cui san Paolo scriverà nella lettera ai Romani (cfr Rm 8, 23). La “redenzione del corpo” non indica, tuttavia, il male ontologico come attributo costitutivo del corpo umano, ma addita soltanto la peccaminosità dell’uomo, per cui questi ha, tra l’altro, perduto il senso limpido del significato sponsale del corpo, in cui si esprime il dominio interiore e la libertà dello spirito. Si tratta qui [...] di una perdita “parziale”, potenziale, dove il senso del significato sponsale del corpo si confonde, in certo qual modo, con la concupiscenza e consente facilmente di esserne assorbito».

Purtroppo, l’evoluzione delle società, soprattutto quelle occidentali, supportata dalla tecnologia, e l’avvento di una nuova cultura moderna e postmoderna hanno portato una concezione libertaria del corpo, totalmente in contrasto con la visione cristiana. Il corpo umano è stato liberato dal “giogo” di ogni visione, considerata umiliante, del bene dell’anima. Da un lato, qualsiasi uso del corpo è consentito, tollerato: esibizione, commercializzazione, manipolazione, pornografia, soddisfazione di tutti i suoi bisogni senza una legge o un quadro stabilito, le cosiddette nascite indesiderate, l’aumento e la legalizzazione degli aborti ecc. D’altronde, un’attenzione sempre più profonda al corpo umano viene posta grazie alla tecnologia che gli permette di funzionare al massimo: trapianti, trapianti di organi, fino alle teorie del transumanesimo ecc.

Per questo è necessario cogliere il valore del corpo umano nella sua integrazione del valore della persona umana, immagine di Dio, composta dal corpo e dall’anima.

Pertanto, non è appropriato intendere il sesto Comandamento come un divieto di esercitare le funzioni naturali della sessualità. Piuttosto, è un modo per definire un quadro favorevole affinché la sessualità sia al servizio della realizzazione dell’intera persona umana, nella vita presente e futura, nella beatitudine eterna. Non bisogna disconnettere la sessualità dalla visione del Creatore della persona umana.

L’altra realtà coinvolta nel sesto Comandamento è la tutela della qualità delle relazioni interpersonali. Una cattiva concezione del corpo porta inevitabilmente allo sviluppo di cattivi rapporti con gli altri (uomini e donne): sfruttamento, oggetto di piaceri puramente carnali (concupiscenza); da qui la comparsa di varie forme di relazione con gli altri che la dottrina cattolica descrive: poligamia, sessualità fuori dal matrimonio, transgender, relazioni instabili, autoerotismo (sessualità senza la dimensione del dono), incesto, spersonalizzazione delle relazioni interpersonali (relativizzazione del contatto reale) ecc.

È il caso dei moderni mezzi di comunicazione che tendono a disincarnare relazioni per le quali il corpo è però spesso ancora il principale supporto. Nella maggior parte dei casi, questo porta inevitabilmente a relazioni senza verità: migliorare le prestazioni sessuali consumando il viagra, modificare eccessivamente il corpo attraverso pesanti interventi chirurgici per sedurre gli altri, gli scambi di coppia ecc. Come sappiamo, creato a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo è anche un essere di relazione. Non è nato soltanto per sé stesso e si realizza soltanto in relazione con gli altri. Così l’uomo, nello stesso tempo in cui nasce alla vita divina, nasce anche a sé stesso, riproducendo il mistero trinitario. Il fallimento della maggior parte dei rapporti interpersonali deriva dal fatto che lo sguardo non si apre verso l’altro, e anche perché l’altro ignora implacabilmente chi gli sta davanti o accanto a lui nella sua realtà personale. Sogniamo una vita fusionale che abolisca ogni differenza, ogni distinzione, ogni dualità, ogni alterità. In verità, vogliamo semplicemente riportare l’altro al sé: l’altro è quello che voglio io o come lo vedo. Se osa uscire da questa camicia di forza, diventa spregevole, un nemico, un avversario. La vera comunione interpersonale (fratellanza) può esistere solo nel riconoscimento e nell’accettazione dell’altro nella sua unicità, come all’interno della Trinità. È questo tipo di relazione che esprime e sostiene il vero amore che fa crescere.

Esiste quindi un legame molto stretto tra il modo di guardare al corpo umano, le relazioni interpersonali che ne derivano e il modo di concepire e sperimentare l’amore. È proprio attraverso queste due realtà (corpo e rapporti interpersonali) che l’amore si manifesta pienamente nei suoi diversi settori: amicizia, vita coniugale, sessualità, carità, amore a Dio. In altre parole, una cattiva concezione del corpo e dei rapporti interpersonali ferisce gravemente la natura e la profonda comprensione dell’amore secondo l’intelligenza del Creatore. Per san Paolo VI, al contrario, il matrimonio articola armoniosamente il valore del corpo e dei rapporti interpersonali e li eleva a livello teologico: «L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è “Amore”, che è il Padre “da cui ogni paternità, in cielo e in terra, trae il suo nome”. Il matrimonio non è quindi effetto del caso o prodotto della evoluzione di inconsce forze naturali: è stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno d’amore. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite. Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l’unione di Cristo e della Chiesa». Il matrimonio è quindi giustamente considerato il contesto ideale per la sessualità.

Una delle qualità di una buona sessualità è la castità. Quest’ultima non si riduce, inoltre, alla continenza sessuale, ma a una trasformazione dello sguardo rivolto all’altro, che non è “la mia cosa”, ma un essere diverso, con il quale entro in relazione in uno scambio di corpi, in una nudità dove il dono si unisce al rispetto, alla pazienza, alla longanimità e all’attenzione.

Nella fede cattolica, infatti, il quadro ideale della vita sessuale, nella sua dimensione carnale, è il matrimonio. Al di fuori del matrimonio, il rapporto sessuale va nella direzione opposta, a causa della sua natura temporanea e generalmente priva di rispetto e attenzione, in atti di dissolutezza. Il sesso al di fuori del matrimonio costituisce adulterio in senso stretto. Per questo la Chiesa raccomanda soprattutto la castità nel suo modo di vivere l’amore. Perché «la castità deve distinguere le persone nei loro differenti stati di vita: le une nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso; le altre, nella maniera quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi. Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza». (…)