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Quando le monache cullavano Gesù Bambino

BABY JESUS, SKY, HAND

Antoine Mekary | Godong

Lucia Graziano - pubblicato il 29/11/22 - aggiornato il 29/11/22

Questa dolcissima devozione natalizia nacque sul finire del Medioevo; e, in alcune zone d’Europa, sopravvisse fino al XIX secolo. Aveva l’apparenza di un gioco, ma in realtà era preghiera; forse, alle famiglie potrebbe piacere riscoprirla.

Le tradizioni di Natale sono così abbondanti e variegate da renderne impossibile anche solo l’enumerazione. Alcune, recentissime, hanno impiegato pochi anni per consolidarsi e diventare must immancabili; altre, di origini antiche, hanno man mano perso popolarità finendo con l’essere dimenticate. Rientra senza dubbio nella seconda categoria quella che, a mio giudizio personale, era la più tenera in assoluto tra tutte le devozioni: ovverosia, la consuetudine di preparare fisicamente la culla e il corredino per Gesù Bambino, nelle settimane che precedevano il Natale. Nella notte del 24 dicembre, un Bambinello in formato bambolotto sarebbe arrivato per davvero nella culla: e allora avrebbe potuto godere di tutti i preparativi che così amorevolmente erano stati fatti e di tutte le coccole e le preghiere che gli sarebbero state dedicate da quel momento in poi.

Quando le monache giocavano con le bambole

Sembrerebbe una devozione per l’infanzia; in realtà, si sviluppò nel tardo medioevo nei monasteri femminili di tutta Europa. Proprio lì apparvero per la prima volta questi “divini” bambolotti: che (attenzione!) non vanno confusi con le normali statuette di Gesù Bambino che ancor oggi compaiono nelle nostre chiese nel periodo natalizio. Le effigi di cui stiamo parlando erano “bambole” a tutti gli effetti, o quantomeno erano usate con le stesse modalità che noi oggi associamo ai balocchi: venivano cullate, cambiate d’abito, messe a sedere su un seggiolino nelle ore diurne e poi coricate in un lettino quando arrivava l’ora di ritirarsi. 

A giudicare dal numero elevatissimo delle fonti che ne parlano, questa buffa devozione dovette essere davvero molto popolare, nei primi secoli dell’età moderna. Ne fanno cenno numerosi scritti spirituali, ma non solo: la testimonianza più eloquente ci arriva dagli archivi storici dei monasteri, che ancor oggi conservano inventari dettagliati in cui si dà conto di questi divini infanti e di tutti i piccoli accessori che le monache creavano via via per loro.

Ancor più interessante, in tal senso, è la storia del convento di San Domenico di Lucca, che verso la metà del XVI secolo versava in condizioni di grave crisi economica. A risollevarlo dalla bancarotta fu l’inventiva di suor Costanza Micheli, la quale avviò una massiccia produzione di Bambinelli in stucco che venivano venduti “pronti all’uso”, con il loro piccolo corredino di abitini già confezionati. Ebbene: questi bambolotti devozionali ebbero un successo travolgente, che non solo permisero a suor Costanza di risanare le casse del suo convento, ma diedero il via a una intensa attività di export che disseminò questi Bambinelli in Italia, Spagna, Francia e addirittura in America e Giappone (!). Doveva trattarsi d’una tipologia di prodotto che davvero godeva di grandissima richiesta. 

I Bambinelli di alcune suore celebri

Arrivava da Lucca anche il Bambinello posseduto da suor Orsola Benincasa, la mistica napoletana che fondò le suore teatine. Dopo la morte della religiosa, le sue consorelle parlarono a lungo delle attenzioni che la loro amica riservava a quella statuetta. Di giorno, il Gesù Bambino se ne stava seduto su un piccolo trono in miniatura nell’oratorio della comunità; ma, quando calava la sera, suor Orsola lo prendeva e se lo portava in cella, adagiandolo in una culla vicino al suo letto: a quanto pare, quella suggestiva vicinanza la aiutava a pregare con particolare intensità. 

Ma non fu certo suor Orsola Benincasa l’unica religiosa a possedere questo tipo di bambolotti: per citare un altro caso celebre, una grande estimatrice fu la venerabile Margherita del Santissimo Sacramento, suora carmelitana, che ricorse spesso a queste statuette per propagare in Francia la devozione a Gesù Bambino. E stando a quanto scrisse Francesco Ribera, il confessore di santa Teresa d’Avila,anche la mistica cullava spesso una «pueri Jesu effigiem»: il termine è sufficientemente generico da poter indifferentemente indicare un quadro così come una statua tridimensionale; ma vista la popolarità di cui godeva all’epoca questa pratica devozionale, potrebbe non essere eccessivo ipotizzare che anche la santa possedesse uno di quei bambolotti. 

Anche la venerabile Eleonora Ramirez de Montalvo, pedagoga e fondatrice di collegi femminili per ragazze, possedette e utilizzò molti di questi bambolotti: per comprensibili ragioni, la suora riteneva che questa pratica fosse preziosa le sue giovani ospiti, dando loro l’occasione di dedicarsi a un gioco divertente, ma istruttivo e pio al tempo stesso. 

Perché, ovviamente, il fulcro della devozione non era quello di tenersi in monastero la versione aureolata di Cicciobello. Quella che le suore portavano avanti accudendo simbolicamente quell’effige sacra era una vera e propria forma di preghiera; o, per citare le parole del sacerdote Giovanni Trabucco, «un atto di devozione, che comporta[va] o conduce[va] alla volontà di distaccarsi e di spogliarsi dei propri peccati per conformarsi e rivestirsi piuttosto dei suoi abiti e dei suoi comportamenti». Mentre le donne cucivano simbolicamente i loro corredini per il Bambinello, erano ovviamente ben consapevoli di come avrebbero dovuto ornare Divino Infante anche e soprattutto con «le pratiche devozionali, con le preghiere, con i sacrifici e le promesse». 

Una dolcissima devozione di Natale

Se, in molti monasteri, queste devozioni venivano portate avanti lungo tutto l’anno, era ovviamente nel periodo di Natale che esse godevano di particolare popolarità. Testimonianze dolcissime ci arrivano dalla città belga di Bruges, dove quest’usanza era ancora viva sul finire dell’Ottocento: nel monastero benedettino di Sante-Godeliève, nei primi giorni dell’Avvento le religiose posizionavano una culla decorata ai piedi della statua della Madonna. Trascorrevano le settimane successive ad arricchirla di giorno in giorno con materassini, cuscinetti, copertine, pizzi e vestitini: insomma, tutto il necessario per accogliere il Bambinello che presto sarebbe arrivato. E quando il divino infante effettivamente arrivava (ovverosia: quando l’effige di Gesù Bambino veniva adagiata nella culla, dopo la Messa di Natale), le religiose gli tributavano simbolicamente le più tenere e affettuose delle cure: a turno, si inginocchiavano davanti alla culla e la facevano dondolare dolcemente, recitando intanto alcune preghiere. E qualcosa di molto simile accadeva, a pochi isolati di distanza, nel convento delle agostiniane che vivevano presso l’Hôpital Saint-Jean: nei giorni che andavano dal Natale alla Candelora, le monache si riunivano dopo cena per cantare inni sacri, mentre la più giovane di loro “cullava nel sonno” il Bambinello, facendo dondolare la sua culla. 

Ma, con forme e sfumature diverse, devozioni simili erano diffuse in buona parte d’Europa. In Germania, anche il clero diocesano finì col farsi contagiare dalla moda, riproponendola in parrocchia a vantaggio dei fedeli laici. Nacque così, nel tardo medioevo, la dolcissima tradizione del Kindelwiegen: al termine della Messa di Natale, un’immagine del Bambinello veniva cullata a turno dal sacerdote, dai chierichetti e poi da tutti i fedeli. Anche in quel caso, al termine di questi vezzeggiamenti, il Bambinello sarebbe stato posato in una culla al fondo della chiesa e poi lasciato a disposizione dei parrocchiani, che in qualsiasi momento durante le feste natalizie avrebbero potuto raggiungerlo per indirizzargli le loro carezze e le loro preghiere, i loro baci e le loro richieste di grazia.  

Una devozione forse da riscoprire?

Davvero incredibile pensare che una devozione così dolce, e ancora viva in molte zone d’Europa alla fine dell’Ottocento, possa essere passata di moda proprio in quegli anni in cui il Natale diventava “la festa dei bambini” per eccellenza. Forse, agli occhi dei nostri avi, parve d’un tratto troppo infantile l’idea di donne adulte che passano il loro tempo a cullare un pupazzo e a preparargli una culla-giocattolo. «Non è il caso di scherzare con le cose sacre», si sente dire spesso; e fu probabilmente questo atteggiamento rigoroso a suggerire un graduale abbandono di pratiche che forse sembravano ormai troppo ingenue e bambinesche.

Certo è che una devozione di questo tipo sembra essere fatta apposta per i bambini (per l’appunto). E se non nei monasteri, forse potrebbe essere il caso di rispolverarla nelle nostre famiglie: quale modo migliore per coinvolgere i più piccoli nei preparativi per accogliere un Bambinello che sarà presto tra noi? 

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