[ Rosario on line - Libri Cattolici - La mistica citta' di Dio ]

CAPITOLO 30

 

Gesù, Maria e Giuseppe tornano dall'Egitto a Nazaret per volontà dell'Altissimo.

 

702. Il bambino Gesù compì sette anni, mentre dimorava in Egitto; era questo il tempo del misterioso esilio, destinato dall'eterna Sapienza e, perché si verificassero le profezie, era necessario che si facesse ritorno a Nazaret. L'eterno Padre, un giorno, ordinò questa sua volontà all'umanità del suo santissimo Figlio alla presenza della sua divina Madre, mentre essi stavano compiendo insieme i loro esercizi. Ella la conobbe nello specchio di quell'anima divinizzata, e vide come accettava l'obbedienza del Padre per eseguirla. La grande Signora fece lo stesso, benché in Egitto avesse già più conoscenti e devoti che a Nazaret. La Madre ed il Figlio non manifestarono a san Giuseppe il nuovo ordine del cielo, ma in quella notte l'angelo del Signore gli parlò in sogno come dice san Matteo; l'avvertì di prendere il fanciullo e la madre, e di ritornare nella terra d'Israele, perché Erode e quelli che cercavano di uccidere il bambino erano morti. L'Altissimo vuole che tutte le cose create siano disposte in modo ordinato; così, pur essendo il bambino Gesù vero Dio e sua Madre tanto superiore in santità a san Giuseppe, non volle che la decisione del ritorno in Galilea risultasse dal Figlio né dalla santissima Madre, ma rimise tutto a san Giuseppe, che in quella famiglia così divina aveva il compito di capo. Questo fu per dare esempio a tutti i mortali di quanto Dio si compiace che tutte le cose siano governate secondo l'ordine naturale disposto dalla sua provvidenza: che gli inferiori e i sudditi nel corpo mistico, benché siano più eccellenti in altre qualità e virtù, debbano ubbidire e sottomettersi a quelli che sono superiori nell'ufficio visibile.

703. Subito san Giuseppe portò l'ordine del Signore al bambino ed alla sua purissima Madre e tutti e due risposero che si eseguisse la volontà del Padre celeste. Con ciò decisero il loro viaggio senza indugio, e suddivisero tra i poveri le poche suppellettili che avevano nella loro casa. Ciò si eseguì per mano del fanciullo divino, perché la Madre gli dava molte volte quello che ella doveva portare per elemosina ai bisognosi, sapendo che il bambino Gesù, come Dio delle misericordie, desiderava farla con le sue stesse mani. E quando la santissima Madre gli dava tali elemosine, s'inginocchiava e gli diceva: «Prendete, figlio e Signore mio, ciò che desiderate per distribuirlo ai poveri, nostri amici e fratelli vostri'». In quella felice casa, che con l'abitazione di sette anni restò santificata e consacrata a tempio dal sommo sacerdote Gesù, entrarono ad abitare alcune persone tra le più devote e pie che essi lasciavano in Eliopoli. La loro santità e virtù le fecero degne della ricchezza che non conoscevano, benché per quello che avevano veduto e sperimentato si reputassero molto fortunate a dimorare dove i loro devoti forestieri erano vissuti tanti anni. Tale pietà ed affetto devoto furono loro ripagati con abbondante luce ed aiuti del Signore per conseguire la felicità eterna.

704. Partirono da Eliopoli per la Palestina con la medesima compagnia degli angeli, che avevano portato nell'altro viaggio. La grande Regina andava sopra un asinello con il fanciullo divino nel grembo e san Giuseppe camminava a piedi, molto vicino al Figlio e alla Madre. Il commiato dagli amici e conoscenti, che là avevano, fu molto doloroso per questi ultimi, poiché perdevano dei grandissimi benefattori. Tutti, tra lacrime e singhiozzi, si accomiatavano da loro, sapendo e confessando che perdevano il loro conforto, il loro rifugio ed il rimedio per le loro necessità. Per l'amore che gli Egiziani portavano a tutti e tre, sarebbe stato molto difficile che avessero loro permesso di uscire da Eliopoli, se non lo avesse facilitato il potere divino; infatti gli Egiziani, segretamente, sentivano sopraggiungere nei loro cuori la notte delle loro miserie mentre si allontanava il sole che, in mezzo a queste, li illuminava e consolava. Prima di arrivare ai luoghi disabitati passarono per alcuni paesi dell'Egitto ed in tutti sparsero grazie e benefici. Ormai non erano tanto nascoste le meraviglie fatte sino allora che non se ne avesse grande notizia per tutta quella provincia. A causa di questa fama divulgata per tutta la terra, uscivano gli ammalati, gli afflitti e i bisognosi a cercare il loro rimedio e tutti l'ottenevano nell'anima e nel corpo. 1 nostri santissimi pellegrini guarirono molti infermi e scacciarono una grande moltitudine di demoni, senza che questi conoscessero chi li precipitava nel profondo, benché sentissero la forza divina che li costringeva e faceva tanto bene agli uomini.

705. Non mi trattengo nel riferire gli avvenimenti particolari che al bambino Gesù e alla sua beatissima Madre accaddero, cammin facendo, nell'uscire dall'Egitto; ciò non è necessario né sarebbe possibile, senza trattenermi molto in questo racconto. Basta dire che tutti quelli che si avvicinarono a loro con qualche desiderio più o meno devoto ritornarono delucidati sulla verità, soccorsi dalla grazia e feriti dal divino amore. Sentivano che una forza occulta li muoveva ed obbligava a seguire il bene, a lasciare il cammino della morte, e a cercare quello della vita eterna. Venivano al Figlio attirati dal Padre, e ritornavano al Padre inviati dal Figlio, con la luce che egli accendeva nei loro intelletti, perché conoscessero la divinità del Padre. Benché la nascondesse in se stesso, perché non era tempo di manifestarla, sempre ed in tutti i tempi operava gli effetti divini di quel fuoco, che veniva a spargere e ad accendere nel mondo.

706. Compiuti in Egitto i misteri che la divina volontà aveva determinati, e lasciando quel regno pieno di miracoli e meraviglie, i nostri divini pellegrini uscirono dalla terra abitata ed entrarono nei deserti da dove erano venuti. Qui patirono altre nuove sofferenze, simili a quelle che avevano supportato quando erano venuti dalla Palestina, perché il Signore sempre concedeva tempo e luogo alla necessità e alla tribolazione, affinché il rimedio fosse conveniente. In tali ristrettezze, alcune volte il bambino Gesù comandava agli angeli che portassero da mangiare alla sua santissima Madre ed al suo sposo al quale, affinché godesse maggiormente di questo favore, faceva udire l'ordine che dava ai ministri spirituali, come questi ubbidissero, si mostrassero pronti, e faceva vedere quello che portavano. Con questo il santo patriarca riprendeva animo e si risollevava dal timore che gli mancasse il sostentamento necessario per il Re e la Regina del cielo. Altre volte il bambino Gesù, usando del suo potere divino, faceva sì che un pezzetto di pane si moltiplicasse fino a quanto era necessario. Quando giunsero ai confini della Palestina, il sollecito sposo ebbe notizia che Archelao era succeduto nel regno della Giudea ad Erode suo padre. Temendo che questi con il regno avesse ereditato anche la crudeltà verso il bambino Gesù, cambiò strada. Senza andare a Gerusalemme, né passare per la Giudea, attraversò la terra della tribù di Dan e di Issacar per entrare nel sud della Galilea, camminando lungo la costa del mare Mediterraneo e lasciando alla sua destra Gerusalemme.

707. Arrivarono a Nazaret loro patria, perché il fanciullo si doveva chiamare Nazareno. Ritrovarono la loro antica e povera casa custodita da quella donna santa, parente di san Giuseppe in terzo grado, la quale, come si disse nel terzo libro al capitolo diciassettesimo, lo aveva servito quando la nostra Regina si era recata in casa di santa Elisabetta. San Giuseppe, prima di uscire dalla Giudea per partire verso l'Egitto, le aveva scritto chiedendo che avesse cura della casa e di quanto vi lasciavano. Ritrovarono tutto ben custodito, e la donna li accolse con grande consolazione per l'amore che portava alla nostra Regina, benché allora non conoscesse la sua dignità. La celeste Signora entrò col suo santissimo Figlio e con il suo sposo Giuseppe e, subito, si prostrò a terra adorando il Signore, e rendendogli grazie per averli restituiti alla loro quiete, liberi dalla crudeltà di Erode, per averli difesi dai pericoli del loro esilio e in così lunghi e molesti viaggi, e soprattutto per essere ritornata col suo santissimo Figlio tanto cresciuto e pieno di grazia e virtù.

708. Subito la beatissima Madre ordinò la sua vita e i suoi esercizi secondo la disposizione del bambino Gesù; insieme attendevano ad essi, come vedremo nel corso della seconda parte. Anche il santo sposo Giuseppe sistemò ciò che spettava alle sue occupazioni ed al suo compito, per procurare con il suo lavoro il sostentamento del fanciullo, della madre e di se stesso. Fu tanta la felicità del santo patriarca che, se negli altri figli di Adamo divenne castigo l'essere condannati al lavoro delle proprie mani ed al sudore della fronte per alimentare con questo la vita naturale, in san Giuseppe, però, fu benedizione e consolazione senza pari l'essere stato eletto perché col suo lavoro e sudore nutrisse lo stesso Dio e sua Madre, quel Dio a cui appartengono il cielo e la terra e quanto in essi è contenuto.

709. La Regina degli angeli, in cambio della premura e della fatica di san Giuseppe, si prendeva cura di lui, lo serviva, gli preparava il cibo, gli donava sollievo con la sua incredibile attenzione, sollecitudine, riconoscenza e amorevolezza. Gli era ubbidiente in tutto e stava umilmente sottomessa, come se fosse stata serva e non sposa e, per di più, Madre del medesimo Signore e creatore di tutte le cose. Si reputava indegna di tutto ciò che esiste e della medesima terra che la sostentava, perché pensava che, per giustizia, le dovesse mancare ogni cosa. Fondò la sua rara umiltà sulla consapevolezza di essere stata creata dal niente, senza aver potuto prima vincolarsi Dio per questo beneficio, né dopo - a suo parere - per alcun altro. Sempre viveva abbracciata alla polvere, considerandosi più vile ancora di essa nella stima che aveva di sé. Per qualunque beneficio, piccolo che fosse, con ammirabile sapienza rendeva grazie al Signore, come ad origine e causa di ogni bene, ed alle creature, come strumento del suo potere e della sua bontà. Si riconosceva debitrice a tutti: ad alcuni, perché le facevano dei benefici; ad altri, perché glieli negavano; ad altri ancora, perché la sopportavano. Riempiva tutti di dolci benedizioni e si poneva ai piedi di tutti, cercando mezzi, espedienti e attività, affinché nessun tempo ed occasione fuggisse senza che lei avesse realizzato ciò che vi è di più santo, perfetto e sublime nelle virtù, con ammirazione degli angeli, gradimento e beneplacito dell'Altissimo.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

710. Figlia mia, in ciò che il Signore mi comandò, facendomi pellegrinare da una parte all'altra e da un regno all'altro, mai si turbò il mio cuore, né si rattristò il mio spirito, perché sempre lo tenni pronto ad eseguire in tutto la volontà divina. Sua Maestà mi faceva conoscere i fini altissimi delle sue opere, ma non sempre le cause, e ciò perché io patissi maggiormente, poiché per l'obbedienza della creatura non si devono cercare altre ragioni, se non che il creatore così comanda e che egli tutto dispone. Solo per questo si sottomettono le anime che desiderano unicamente dare gioia al Signore, senza considerare diversamente successi ed avversità, e senza badare ai sentimenti delle proprie inclinazioni. Io voglio da te che avanzi in questa sapienza, e che, a mia imitazione, e per quanto sei obbligata al mio santissimo Figlio, tu riceva ciò che è propizio e ciò che è avverso nella vita mortale con uguale atteggiamento, uniformità di animo e serenità, senza che l'uno ti turbi o l'altro ti sollevi in vana allegrezza, ma considerando solamente che tutto è ordinato dall'Altissimo per sua volontà.

711. La vita umana è tessuta con questa varietà di esiti: alcuni piacevoli ed altri penosi per gli uomini; alcuni che essi detestano ed altri che desiderano. Siccome la creatura ha un cuore limitato ed angusto, il disporsi in modo diverso in questi due estremi le proviene proprio dal fatto che accetta con smisurato piacere ciò che ama e desidera e, al contrario, si affligge e contrista quando le succede ciò che ella detesta e non voleva. Questi mutamenti e vicissitudini mettono in pericolo tutte o molte virtù. L'amore disordinato per una cosa che la creatura non giunge a conseguire la induce subito a desiderarne un'altra, cercando in nuovi desideri il sollievo alla pena provata per ciò che non ha conseguito. Se li realizza, si ubriaca e si svia per il piacere di possedere ciò che bramava e, con queste velleità, precipita in maggiori disordini causati dai diversi sentimenti e passioni. Avverti dunque, o carissima, questo pericolo, e procura di estirparlo alla radice, conservando il tuo cuore indipendente e attento solamente alla divina Provvidenza, senza lasciare che si inclini a ciò che tu desidererai e sarà di tuo gusto, né che detesti ciò che ti sarà penoso. La tua gioia sia riposta solo nella volontà del tuo Signore; non ti facciano cadere i tuoi desideri, né i timori di qualunque avvenimento ti disanimino. Né gli uni né gli altri t'impediscano le occupazioni esterne o ti distolgano dai tuoi santi esercizi; ancor meno producano ciò in te il rispetto umano e l'attenzione alle creature, ma in tutto tieni fisso lo sguardo su ciò che io facevo. Segui le mie orme con affetto e diligenza.
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