MaM
Messaggio del 25 settembre 1999: Cari figli, oggi di nuovo vi invito a diventare portatori della mia Pace in modo speciale ora che si dice che Dio e' lontano,in verità Lui non vi e' mai stato così vicino. Vi invito a rinnovare la Preghiera nelle vostre famiglie leggendo la sacra Scrittura e a sperimentare la gioia nell'incontro con Dio il quale ama infinitamente le sue creature. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!

Don Amorth: La testimonianza di una persona colpita da un maleficio

28/07/2023    2780     Don Gabriele Amorth    Don Gabriele Amorth  Esorcismo  Magia  Testimonianze 
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Questo capitolo non è mio, ma è una testimonianza scritta con rara chiarezza. Pure per l'esorcista più esperto, è sempre difficile immedesimarsi e capire ciò che provano gli ossessi. E anche quella che può apparire un'infestazione di media gravita, nasconde sofferenze che lo stesso paziente fa fatica a descrivere. È stato questo lo sforzo principale di G.G.M.: cercare di esprìmere l'inesprimibile, confidando di essere capito soprattutto da chi è affetto da un male analogo.

Cominciò tutto dopo i 16 anni. Prima ero un ragazzo felice, spigliato e piuttosto allegro, anche se una certa oppressione mi perseguitava e dovunque mi si diceva: "Noi facciamo questo; e tu?". "Noi andiamo lì e tu?". Non capivo il perché, ma allora non me ne facevo un problema. Abitavo in una cittadina marittima; il mare, l'alba e le campagne mi davano un aiuto notevole per tenermi lontano dalle malinconie. Dopo i 16 anni mi trasferii a Roma, lasciai la Chiesa e cominciai a frequentare tutto ciò che in una grande città attira un forestiero, cioè tutte quelle situazioni estremiste che in un paese non sono neanche conosciute. Ben presto conobbi drogati, barboni, ladri, ragazze facili e via dicendo. Avevo una certa fretta nell'imparare tutto questo "rumore" che mi distoglieva enormemente dalla pace che avevo prima. Cominciai a vivere questa nuova dimensione artificiosa, satura, nauseante.

Avevo un padre molto oppressivo, controllava ogni mia mossa ed era sempre disgustato di me. La somma di questi disgusti e di tutte le umiliazioni che mi dava mi spinse come una molla in mezzo alla strada. Me ne andai da casa e conobbi bene fame, freddo, sonno e cattiveria. Frequentavo donne leggere e amici pesanti. Presto sorse in me una domanda senza risposta: "Perché vivo? Perché mi ritrovo per strada? Perché io sono così e gli altri invece hanno la forza per lavorare e sorridere?". A quel tempo frequentavo una ragazza che credeva che il male fosse più forte del bene; parlava di streghe, maghi e scriveva cose da capogi ro. Io pensavo che era molto intelligente perché era fuori dalla portata di un essere umano scrivere tutte quelle congetture sul mondo e sulla vita. Lessi tutti i suoi quaderni e poi le imposi di bruciarli davanti a me perché parlavano solo di male e mi dava un po' paura tenere quei fogli in giro per casa. Fui tanto odiato da quella ragazza senza capirne il motivo; cercai di aiutarla a uscire da quel cono nero, ma non ci riuscii, mi derideva e con me il bene che le proponevo.

Tornai a casa con i miei, mi misi con un'altra ragazza peggiore della prima e per qualche anno fui triste, sfortunato e perseguitato da ogni persona che conoscevo; una specie di buio mi circondava, il sorriso era fuggito da me e le lacrime erano sempre pronte a rigarmi il viso. Ero disperato e ancora mi domandai: "Perché vivo? Chi sono io? Che fa l'uomo sulla terra?". Naturalmente, nel mio ambiente, tutto ciò non interessava a nessuno e dentro di me, in un momento di disperazione molto forte, gridai con un filo di voce: "Dio mio, sono finito! Eccomi davanti a te... aiuto". Pare che fui ascoltato; dopo qualche giorno la ragazza che avevo entrò in una chiesa, fece la comunione e si convertì in un tempo record.

Io, per non essere da meno, feci lo stesso e capitai in una chiesa nella quale portavano in processione la Madonna di Lourdes; mi chiamarono per aiutare a portare la statua e benché mi vergognassi, lo feci e ne fui poi orgoglioso. Feci la comunione e rimasi stupito del confessore che fu buono e comprensivo. Uscii da lì dicendo: "Ce l'ho fatta; sono tornato al bene". E anche se non conoscevo che cosa era il bene, sentivo che era così. Dopo qualche settimana seppi di Medjugorje, dove la Madonna appariva dal 1981. Partii subito con quella ragazza, anche spinto da un prodigio che non sto a descrivere. Tornammo alla Chiesa in forma piena, cambiammo vita, amammo Dio più di noi stessi, tanto che lei si fece suora e io pensai al sacerdozio. Non contenevo più la gioia di avere un motivo per vivere e che la vita non finisse qui. Ma non era che l'inizio; c'era infatti "qualcuno" che non era contento di tutto questo. Dopo qualche anno riandai a Medjugorje e tornando a Roma cominciai a risentire l'eco di quel buio che la mia anima viveva prima di scoprire Dio. Nel giro di qualche settimana, questa sensazione che io attribuivo all'oppressione di mio padre, alla condizione disagiata in cui, per vari motivi, ero vissuto e a un tormento che credevo comune senza capire che per gli altri non era così, questa sensazione, dicevo, divenne realtà. Cominciai a soffrire come mai mi era successo; sudavo, avevo la febbre e la forza mi aveva abbandonato, tanto che non riuscivo neppure a mangiare, ma venivo imboccato. Avevo la percezione di soffrire con qualcosa di diverso dal corpo, infatti esso era come estraneo a questi fatti. Provavo una disperazione fortissima e vedevo, non so con quali occhi, un buio che ottenebrava non la stanza dove stavo, non il letto sul quale ormai da mesi mi trovavo, ma il futuro, le possibilità di vita, la speranza del domani. Ero come ucciso da un coltello invisibile e sentivo che chi premeva questo coltello mi odiava e voleva di più della mia morte. È molto diffìcile spiegare a parole, ma era così come ho detto.

Dopo vari mesi ero impazzito e non ragionavo più, volevano portarmi in un manicomio; non capivo più quello che dicevo perché ormai vivevo in un'altra dimensione: quella in cui soffrivo. La realtà era come staccata da me. Era come se fossi presente nel tempo solo col corpo, ma l'anima si trovasse altrove, in un posto orribile, dove non penetra luce e non esistono speranze.

Rimasi molti mesi così, tra la vita e la morte e non sapevo più cosa pensare. Persi amici, parenti e la comprensione dei familiari. Ero fuori dal mondo e non mi capivano più, né potevo pretenderlo, sapendo ciò che avevo dentro e che mai sarei riuscito a descrivere. Dimenticai quasi Dio e anche se mi rivolgevo a lui con pianti e lamenti interminabili, lo sentivo lontano; di una lontananza che non si misura a chilometri, ma a negazioni; cioè qualcosa diceva no a Dio, al bene, alla vita, a me. Pensai di rivolgermi a un ospedale perché supponevo che la febbre che avevo da mesi dovesse per forza dipendere da una causa fisica e, tolta quella, sarei stato meglio; e poi qualcosa dovevo pur fare. A Roma, solo per febbre, nessun ospedale mi voleva ricoverare e dovetti andare lontano 300 chilometri, dove stetti per venti giorni, sottoposto a esami e prelievi di tutti i generi. Uscii con un nulla di fatto e una cartella clinica che avrebbe fatto scoppiare d'invidia un atleta: ero sano come un pesce, ma una postilla diceva che nessuno si spiegava la febbre e la faccia gonfia e cadaverica.

Ero bianco come i fogli di un quaderno. Appena uscii dall'ospedale, dove tutti i miei mali s'erano un po' attenuati, entrai in una crisi fortissima, vomitai più volte, soffrii tutto ciò che è possibile soffrire per un uomo e mi ritrovai in un punto sconosciuto della città; come ci ero arrivato non lo so; le gambe camminavano da sole, le braccia erano indipendenti dalla volontà e così il resto del corpo. Fu una sensazione orribile; comandavo agli arti che non mi ubbidivano più; non auguro a nessuno di provarlo. Come se non bastasse ritornò il buio che, questa volta, si estese dall'anima anche al corpo. Vedevo tutto come di notte ed era giorno pieno. La sofferenza era arrivata alle stelle; cominciai a gridare, a contorcermi in terra come se avessi il fuoco dentro e invocai la Madonna gridando: "Mamma, mamma, abbi pietà... Madre ti supplico! Madre mia, grazia per me che muoio". I dolori non si attutirono e la sofferenza era talmente esasperata che persi anche il senso dell'orientamento e, strusciando sui muri, arrivai a una cabina telefonica; riuscii a comporre il numero urtando la testa sui vetri e sul telefono; mi rispose l'unica persona che conoscevo e che venne per riportarmi a Roma. Prima che arrivasse capii, come per un insegnamento esterno, che ero stato a vedere l'inferno; non a toccarlo o a viverci dentro, ma solo a vederlo da lontano. Quell'esperienza cambiò la mia vita molto di più che la conversione di Medjugorje.

Ancora però non pensavo a realtà ultraterrene, ma spiegavo tutto con motivi psicologici: disadattamento, padre oppressivo, traumi infantili, shock emotivi e varie altre cose che, come un bel disegno, spiegavano molto bene il perché dell'accaduto. Avevo studiato psicologia per cinque anni come autodidatta e così ero riuscito a formulare uno schema secondo il quale era ovvio che soffrissi. Il giorno della Madonna del Buon Consiglio, e per questo ci credetti avendola invocata, un frate mi consigliò di telefonare a un carismatico che agiva sotto la stretta tutela di un vescovo e aveva il dono della conoscenza. Costui mi disse: "Ti hanno fatto una fattura a morte per colpire la mente e il cuore e otto mesi fa hai mangiato un frutto maleficiato". Scoppiai a ridere non credendo a una sola parola; ma poi, riflettendo, sentivo dentro di me riaccendersi la speranza. Avevo dimenticato questa sensazione e pensai al frutto descritto e a otto mesi prima. "È vero, dissi, ho proprio mangiato quel frutto", e ricordai pure che non volevo mangiarlo per una istintiva repulsione verso la persona che me lo offriva. Tutto corrispondeva e allora ascoltai anche il consiglio sul rimedio suggeritomi, cioè le benedizioni.

Cercai un esorcista e dopo le varie risate dei preti o dei vescovi e le umiliazioni che mi inferse ro, dalle quali scoprivo un aspetto della Chiesa deturpato dai suoi stessi pastori, approdai a don Amorth. Ricordo quel giorno molto bene; non sapevo ancora cosa fosse una benedizione particolare: pensavo a un segno di croce, come fa il prete dopo la messa. Mi sedetti, lui mi mise la stola intorno alle spalle e una mano in testa; iniziò a pregare in latino e non capivo niente. Dopo un po' una rugiada fresca, anzi gelata, mi scese dalla testa al resto del corpo. Per la prima volta, dopo quasi un anno, la febbre mi lasciava. Non dissi nulla; lui continuò e pian piano la speranza tornava a vivere in me, la luce del giorno tornava luce, il canto degli uccelli non somigliava più a quello dei corvi e i rumori esterni non erano più ossessivi, ma erano tornati semplici rumori; vivevo infatti con i tappi alle orecchie perché il minimo rumore mi faceva saltare. Don Amorth mi disse di ritornare e, appena uscito, ebbi una voglia grande di sorridere, di cantare, di gioire: "Che bello, dissi, è finita". Era vero, era tutto vero quello che avevo provato: era la rabbia di "qualcuno" che mi odiava e non una mia follia a farmi tutto quel male. "È vero, ripetevo da solo in auto, è tutto vero". Oggi sono passati tre anni e pian piano, una benedizione dietro l'altra, sono tornato normale e ho scoperto che la felicità viene da Dio e non dalle nostre conquiste o dai nostri affanni.

Il male, la cosiddetta sfortuna, la tristezza, l'angoscia, il saltellio delle gambe, l'irrigidirsi dei nervi, l'esaurimento nervoso, l'insonnia, il timore di schizofrenia o di epilessia avevo avuto infatti alcune cadute e tante altre malattie, di cui ero vittima, sparivano al suono di una semplice benedizione. Sono tre anni che io ho prove su prove che dimostrano, solo a me naturalmente, che il demonio esiste e agisce molto di più di quello che crediamo e che fa di tutto per non farsi scoprire fino a convincerci che siamo malati di questo o di quello, mentre è lui l'autore di ogni male e trema davanti a un prete con l'aspersorio in mano. Questa mia esperienza l'ho voluta descrivere per invitare quanti la leggeranno a prendere in esame questo aspetto della nostra vita che io, purtroppo, ho sperimentato in pieno. Sono, a conclusioni fatte, felice che Dio abbia permesso questa enorme prova per me, perché ora comincio a godere i frutti di tanta sofferenza. Ho l'animo più puro e vedo ciò che prima non vedevo. Soprattutto sono meno scettico e più attento alla realtà che mi circonda. Credevo che Dio mi avesse lasciato e invece era proprio allora che mi stava lavorando, per prepararmi a incontrarlo.

Con questo scritto voglio anche incoraggiare quelli che sono malati come sono stato io a non perdersi d'animo perché, anche se sembra evidente, non bisogna credere neanche all'evidenza, cioè che Dio ci abbandona. Non è così e a cose fatte se ne ha la prova. Basta perseverare, anche se per anni. Devo inoltre fare una precisazione e cioè che le benedizioni hanno un effetto tanto più intenso quanto più Dio lo vuole e non dipendono dalla volontà dell'esorcista o dell'esorcizzato; e che questa intensità, secondo la mia esperienza, dipende molto di più dalla volontà di conversione del soggetto che dalle pratiche esorcistiche. La confessione e la comunione valgono come un grosso esorcismo. Nelle confessioni in special modo, se ben fatte, io ho provato l'immediata scomparsa dei tormenti sopracitati; e nelle comunioni, una dolcezza nuova che non pensavo potesse esistere.

Anche anni fa, prima di tutte quelle sofferenze mi confessavo e facevo la comunione; ma non soffrendo, non potevo vedere, se così posso dire, da che cosa ero reso immune. Ora lo so e invito soprattutto i tiepidi a credere che Dio è realmente presente alla porta del confessionale e nell'ostia, che spesso prendiamo con grande distrazione.

Inoltre invito gli scettici a credere, prima che "qualcuno" li aiuti per forza, come è accaduto a me. Per finire, mi rivolgo con un invito ai poveri, perché più di loro nessuno lo è, agli ossessi, agli odiati da Satana, che si serve dei loro stessi conoscenti per ucciderli o per opprimerli. Non perdete la fede, non rigettate la speranza, non sottomettete la volontà alle suggestioni violente e ai fantasmi che il maligno vi prospetta.

Questo è il suo vero scopo e non quello di dare le sofferenze o di procurare del male. Lui non cerca il nostro dolore, ma qualcosa di più: e cioè la nostra anima sconfitta nel dire: "Basta, sono un vinto, sono un balocco in mano del male; Dio non è capace di liberarmi; Dio dimentica i suoi figli se permette tali sofferenze; Dio non mi ama, il male è superiore a lui". Questa è la vera vittoria del male alla quale dobbiamo rispondere, anche se non abbiamo più fede, perche il dolore ce la offusca. "Noi vogliamo volere la fede"; vogliamo volere; questa volontà il demonio non può toccarla, la volontà è nostra; non è né di Dio né del diavolo, ma solo nostra, perché Dio ce l'ha donata quando ci creò; quindi dobbiamo dire sempre di no a chi ce la vuole abbattere e dobbiamo credere con S. Paolo che "nel nome di Gesù Cristo ogni ginocchio si piega, in CIELO, in terra e sotto terra".

Questa è la nostra salvezza. Se non crediamo con fermezza, il male che ci è stato imposto, con malefici o con fatture che siano, può durare per anni, senza miglioramenti. Inoltre, per coloro che si credono ormai impazziti e non vedono rimedio, io posso testimoniare che dopo molte benedizioni questo male passa come se non ci fosse mai stato; perciò non dobbiamo temerlo, ma lodare Dio per la croce che ci da. Perché dopo la croce c'è sempre la risurrezione, come dopo la notte viene il giorno; tutto è creato così. Dio non mente e ci ha prediletti per accompagnare Gesù nel Gethsemani, a far compagnia al suo dolore per risorgere con lui.

Offro a Maria Immacolata questa testimonianza perché la faccia fruttificare per il bene dei miei fratelli di dolore. Rispondo con l'amore, il perdono, il sorriso e la benedizione a coloro che sono stati strumenti del diavolo per darmi il martirio che ho patito. Prego che la mia sofferenza faccia loro intravvedere la luce che anch'io ho ricevuto gratuitamente dal nostro Dio meraviglioso.
G. G. M.


Fonte: libro Un esorcista Racconta