MaM
Messaggio del 4 agosto 1986: Desidero che per voi il rosario diventi vita!

Le virtù teologali

07/08/2004    2471     Vita Cristiana    Virtu 
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Per essere vero cristiano e per tendere alla santità è necessario esercitare le tre virtù teologali: la fede, la speranza e la carità, le quali hanno per oggetto Dio. Nella fede: Dio «da conoscersi» per mezzo della rivelazione operata da N.S. Gesù Cristo; nella speranza:
Dio «da possedersi» dopo la morte nella vita eterna in Paradiso; nella carità: Dio «da amarsi» con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze in questo mondo e, soprattutto, nell’altro per tutta l’eternità.
Niente è più dolce e soave dell’amare Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio Lui stesso insieme con il Padre e lo Spirito Santo. Tale ideale di amore si realizza nell’esercizio della carità.
1) Carità cristiana, terza virtù teologale.
Non bisogna ridurre la carità all’elemosina, gesto profondamente cristiano, ma non virtù, e neppure Confonderla con la filantropia, il solidarismo, la beneficenza, l’altruismo, l’umanitarismo che, per lo più, fondano di un lodevole amore verso il prossimo, ma disgiunto dall’amore di Dio, caratteristica essenziale della carità cristiana.
La carità è amore. Ma quale amore? Non qualsiasi amore, ma quello soprannaturale per Iddio: e non per qualsiasi Dio (conosciuto solo con la ragione o creato con la fantasia), ma Dio conosciuto per mezzo della rivelazione, della fede, e cioè Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio Lui stesso insieme con il Padre e lo Spirito Santo. Questo amore — insieme con la fede e la speranza — ci è stato infuso nell’animo dal Santo Battesimo (cfr. Rm. 5,5).
L’oggetto della carità cristiana è duplice:

1°) Dio, conosciuto per mezzo della fede, e questo deve essere amato per se stesso.

2°) Noi stessi e il prossimo, che devono essere amati non per se stessi, ma per amore di Dio.
Due comandamenti che si possono riassumere in uno solo: amore di Dio; perché l’amore verso noi stessi e il prossimo non sono altro che l’espressione e la prova del nostro amore per Dio, secondo l’insegnamento di Gesù: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti» (0v. 14,15) e «In questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti» (lGv. 5,3 e cfr. anche Conc. Vat. TI, «Lumen Gentium», 42).
Di qui risulta che il vero amore di Dio (la carità cristiana) non si può esaurire in sole espressioni di affetto per Iddio, anche sincere, in preghiere, anche ardenti, ma trova il suo compimento nelle opere, che sono la manifestazione concreta dei nostri sentimenti per Dio, secondo l’insegnamento di Gesù: «Non chiunque mi dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è in cielo, questi entrerà nel regno dei cieli» (Mt. 7,21).
Il Signore ci dice anche con quale intensità dobbiamo amarlo: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il massimo e primo comandamento» (Mt. 22,37-3 8). In altre parole, tutta la nostra vita presente deve essere spesa per Dio.

S. Antonio di Padova nei suoi discorsi dice in proposito: «Creato dunque e poi redento, tu devi dare a Dio te stesso, tutto ciò che sei, tutto ciò che hai. Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente. Chi disse «tutto» non lasciò a te una parte dite, ma comandò di offrire a lui te stesso. Infatti, ti comprò tutto con tutto se stesso, per possederti egli solo completamente. Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il cuore. Non volere dunque con Anania e Saffira (cfr. Atti 5,1-11) trattenere per te una parte di te stesso, per non morire tutto insieme con loro; ama dunque con tutto, non con una parte: Dio, che non ha parti ma è tutto dovunque, Egli, che è tutto nel suo, non vuole una parte nel tuo. Se riservi una parte dite stesso per te, sei tuo non suo. Vuoi averlo tutto? Dagli il tuo ed Egli ti darà il suo; così non avrai niente dite, perché avrai tutto da lui con te stesso. Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutte le tue forze» (Da «I Sermoni» di 5. Antonio di Padova, Cantagalli, Siena, 1984, voI. III, pp. 146-147, a cura di C. Varotto, o.f.m. conv.).
Dobbiamo convincerci che Dio è molto esigente — anche se buono, misericordioso e comprensivo — e geloso che ci vuole tutti per Sé. Egli infatti ci dice: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e al denaro» (Mt. 6,24).

Se noi ameremo Dio con tutto noi stessi, troveremo in lui il nostro tesoro e in lui sarà tutto il nostro cuore (cfr. Mt. 6,21) ed allora, l’amore per il prossimo, per il quale Gesù ha tanto insistito, diventerà più facile e più spontaneo; sarà una logica conseguenza.
In questo stato d’animo noi ameremo il nostro prossimo con la quantità e qualità che ci verranno suggerite dallo Spirito Santo, secondo i doni ricevuti, e potremo arrivare anche a dare la vita per i nostri fratelli per amore di Dio, seguendo l’esempio di Gesù e di tanti santi, come in questi ultimi tempi, S. Massimiliano Kolbe, francescano conventuale. Gesù ci ha detto:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv.15,12-13).
Dobbiamo ancora ricordare che l’amore per il prossimo non è un fine, ma un mezzo, una prova del nostro amore per Iddio: quello che dobbiamo amare per se stesso è Dio e il prossimo per amore di Dio.
Dopo queste considerazioni si deve ammettere che la carità è la più grande delle tre virtù teologali.
«Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità» (ICor. 13,13). Essa infatti, secondo l’inno composto da 5. Paolo (ICor. 13,1-7), è la forma di tutte le virtù, che non sussistono se non vengono esercitate con la carità.
Concludendo poi, si deve dire che la carità non avrà mai fine, secondo ancora l’insegnamento di S. Paolo (cfr. iCor. 13,8-12). Infatti la fede e la speranza con la morte finiranno, perché «ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia» (ICor. 13,12).

E S. Tommaso d’Aquino dice: «Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel ‘credo’ si chiude con le parole:
‘vita eterna. Amen’» (Dalle «Conferenze» di S. Tommaso d’Aquino, Torino 1954, p. 216). 2) In Paradiso raggiungeremo anche l’oggetto della nostra speranza. «Ora, ciò che si spera, se visto, non è piu speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?» (Rm. 8,24).
La carità invece ha il suo inizio in questa terra e durerà per tutta l’eternità, perché in Paradiso continueremo ad amare Dio per sempre con quel grado di grazia raggiunto fino al momento della morte.

La Chiesa insegna che le virtù teologali sono tre: la fede, la speranza e la carità. Di esse la più grande è la carità, la quale è posta al terzo posto, perché suppone prima la fede e la speranza. Chi infatti mi spinge ad amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze se non il fatto che Dio stesso mi si è rivelato? E chi mi spinge ad amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze se non la speranza di poter raggiungerlo in una felicità eterna dopo la morte?
Coltivando queste due virtù noi approderemo a due profonde convinzioni:
a) Gesù Cristo è il Figlio di Dio e Dio Lui stesso insieme con il Padre e lo Spirito: per la fede;
b) dopo la morte ci sarà un’altra vita, eternamente felice per i buoni, eternamente infelice per i cattivi: per la speranza.
Gesù Cristo è apparso in questo mondo come un uomo qualsiasi, ma egli ha provato con le parole e con le opere di essere il Figlio di Dio, la seconda Persona della SS. Trinità. Di lui S. Giovanni afferma: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv. 1,1). Solo lui dunque, che era Dio, poteva rivelarci la vera natura di quel Dio che deve essere amato da noi con tutte le nostre forze.
Gesù Cristo, durante la sua vita terrena, ha insegnato la sua religione: ha manifestato agli uomini la natura dell’unico e vero Dio e la sua volontà nei nostri riguardi.

Le religioni di Zoroastro, Confucio, Laotse, Buddha, Maometto e di tanti altri, messe a confronto con quella di Gesù Cristo differiscono non solo di grado, cioè di perfezione, ma di specie; le prime infatti sono dettate da semplici uomini, la seconda è rivelata da Dio direttamente e cioè da Gesù Cristo, il quale non era solo uomo, ma anche Dio, insieme con il Padre e lo Spirito Santo. Il segno della divinità è il miracolo e Gesù Cristo ha compiuto molti miracoli e specialmente il «miracolo dei miracoli»: la sua risurrezione per virtù propria dopo la morte.
Di ogni altro fondatore di religione si deve dire solo: «Nato... morto...». Di Gesù Cristo invece si deve dire: «Nato... morto... risuscitato dopo tre giorni...».
Dobbiamo dunque concludere che l’unica vera religione è quella rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo, perché rivelata da Dio mentre, sottolineano, le altre sono religioni dettate da semplici uomini.
Gesù Cristo ci ha donato anche la speranza: ci ha assicurato che dopo la morte ci sarà un’ altra vita, eternamente felice per i buoni, eternamente infelice per i cattivi. E S. Paolo ci dice: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm. 5,5).

Gesù Cristo è Dio e perché non può né ingannarsi né ingannarci e non può venir meno alle promesse che ci ha fatto: ci può essere una incertezza non per parte di Dio, ma per parte nostra, in quanto noi possiamo venir meno a Dio, resistendo alle sue grazie, commettendo il peccato, che ci toglie la possibilità di ottenere la beatitudine eterna.
Con tutte le nostre forze camminiamo sulla via delle tre virtù teologali, per poterci avvicinare il più possibile a quel grado di grazia, di amore e di santità che Dio desidera da noi. Con tale statura spirituale, raggiunta in questo mondo fino al momento della morte, noi ameremo Dio per tutta l’eternità.